Insegnami a combattere
Ti mostrerò come vincere
sei il mio difetto mortale
e io il tuo peccato fatale
Lasciami sentire il colpo
Il dolore
il bruciore
sotto la mia pelle
mettimi alla prova
ti mostrerò che sono forte
Non lascerò credere a me stessa
che quello che proviamo è sbagliato
Finalmente vedo ciò
che tu sapevi fosse dentro me
per tutto il tempo
che sotto questo dolce aspetto
si nasconde una guerriera.Da “Warrior” di Beth Crowley
<Perché saltelli?>
Papà si gira di poco per guardarmi di sottecchi.
Lo sto accompagnando al suo ufficio, dopo aver cenato insieme nel mio, ed esserci persi tra le chiacchiere.
È quasi l’ora di chiusura al Saudade’s, i corridoi sono affollati da chi torna alla propria stanza, e dal casinò proviene un leggero brusio, che rappresenta la tensione palpabile che deve esserci ai tavoli.
<Perché sono felice.>
Gli rispondo, continuando a saltellare come una bambina, attirando i sorrisi dei passanti.
<Ah, si?>
Arriviamo davanti la porta del suo ufficio, ed io mi chiedo perché non torna in camera a farsi una bella dormita.
<E cos’è che ti rende tanto felice?>
Apre la porta ed entrambi entriamo nella calda stanza, che subito viene illuminata dalla lampada che papà accende sulla scrivania.
Ci penso per un attimo, appoggiandomi allo schienale di una delle due poltrone.
<Il cambiamento.>
Rispondo, mentre lui si siede al suo posto e mi sorride con le mani giunte sotto al mento.
<Cos’è cambiato?>
<Io.>
Giro intorno alla scrivania per avvicinarmi a lui.
<Tu.>
Gli poso un morbido bacio sulla guancia.
<È cambiato tutto e niente.>
Concludo, sorridendogli.
Lui ride, di pancia, di gusto, come se stesse guardando la sua bambina mentre impara a camminare.
<Sai cosa non è cambiato?>
Mi chiede, inclinando il capo.
<Che cosa?>
<Il mio lavoro.>
Indica le pile di fogli sulla sua scrivania.
<Eh, già.>
Alzo le spalle e mi allontano dalla scrivania.
<Questo posto ci da un gran da fare.>
Passo la mano sul bordo della sua scrivania, accarezzandola come se lei potesse sentirmi.
Quando ero bambina, credevo che questo posto fosse un po' come il castello della Bestia, del cartone animato La bella e la bestia. Credevo che ogni cosa fosse viva, che parlasse quando nessuno potesse vederla, che provasse emozioni, amore, paura.
E così, da piccola, facevo attenzione a trattare con cura ogni cosa, ogni angolo di questo posto. Ci tenevo a fargli sentire il mio amore.
<Però lo amiamo.>
Dice papà, mentre io mi perdo nel ricordo di una bambina che si aggira nel suo castello.
<Si.>
Sussurro.
<Lo amiamo.>
Guardo papà che mi sorride, e senza aggiungere altro mi avvio verso la porta.
<Mandy?>
Mi richiama, quando ho già la mano sulla maniglia. Mi rigiro con un sorriso.
<Amo tanto anche te.>
Aggiunge, scaldandomi il cuore.
<E io te, papà, tantissimamente tanto.>
Ridiamo entrambi di fronte a quella parola grammaticalmente sbagliata, ma che da piccola mi piaceva tanto dire.
Senza parlare oltre, apro la porta ed esco, lasciandolo al suo lavoro.
Logan, Maverick, e Tom, saranno qui non appena il Saudade’s chiuderà.
Così abbiamo stabilito, per poter organizzare in tranquillità, e in uno spazio sicuro, il nostro piano.
Ho perfino dato la giornata libera a Betty e Daniel, così che possano arrivare all’incontro freschi e riposati.
Per fortuna sono riuscita a calmare Logan, ieri notte, e a convincerlo di farsi aiutare.
Le sue lacrime mi appaiono ancora quando chiudo gli occhi, e mi fanno male.
Vederlo piangere, così perso nel suo temporale, mi ha lasciato un segno indelebile.
Poi abbiamo fatto l’amore, forse per sancire la nostra promessa, e stamattina sembrava molto più tranquillo e convinto di farsi aiutare.
Mentre cammino per i corridoi, con l’intento di raggiungere il casinò in attesa che si svuoti, mi sorgono alla mente un po' di pensieri.
Ethan una volta mi chiese se sapevo come riescono i fotografi a catturare un momento che potrebbe essere irripetibile.
Me lo chiese proprio mentre mi insegnava a giocare a poker.
Quando io gli risposi che non ne avevo idea, perché allora ero ancora una bambina con gli abiti colorati, lui mi accarezzò la guancia sorridendo.
Sanno osservare, Amy, osservano tutto. Anche quelle piccole cose che un occhio meno esperto non noterebbe.
Da che parte tira il vento, se ci sono degli animali anche microscopici, dove arriva la luce del sole.
Lo stesso vale nel poker, e anche nella vita, bisogna sapere osservare. Ogni cosa, ogni dettaglio, tutto può essere fondamentale.
E adesso, mentre cammino per il mio grande castello, le sue parole mi tornano in mente ed io sento come se non avessi osservato, come se mi fosse sfuggito qualcosa.
Mi fermo davanti le scale che conducono al piano di sotto, lì dove tutto ha cambiato colore per me.
Questo è un nuovo inizio, le cose cambieranno, io sono già cambiata.
Ho abbandonato la paura, e ho promesso a me stessa che non sarò mai più impaurita e indifesa come quella notte in fondo a queste scale.
Questo è un nuovo inizio, ed è il momento di dire addio al passato.
Tiro un lungo respiro e prendo coraggio, poi, con gambe tremanti ma con tenacia, inizio a scendere i gradini.
Non so bene cosa fare qui sotto, so solo che voglio affrontarlo, rivivere quel momento per riuscire a lasciarlo andare per sempre.
Logan mi ha insegnato ad essere forte, mi ha insegnato a difendermi, ad amare, a lasciarmi amare.
Grazie a lui ho conosciuto meglio me stessa, e ho imparato ad accogliere il mio dolore, a benedire la pioggia che a volte mi scende dagli occhi.
Ho capito che anche dopo il temporale più violento può nascere l’arcobaleno, e che non devi per forza cercarlo ossessivamente, perché se prima non apprezzi la pioggia non potrai poi gioire del sole.
Adesso sono diversa, e non ci sono più mostri barbuti nei miei sogni.
Ci sono solo due meravigliosi occhi d’argento, occhi che io amo.
Il silenzio mi assale non appena scendo l’ultimo gradino, e l’umidità mi penetra la pelle.
Nonostante il gelo che percepisco nelle ossa, non mi fermo, procedo mentre i miei passi rimbombano tra le pareti.
Raggiungo quella stanza semi buia, e per un attimo mi fermo sulla soglia, la mia ombra che si proietta per terra.
Là, sul pavimento immerso nel buio, una macchia più scura mi fa battere il cuore.
Niente più paura, niente più paura, niente più paura.
Sono un drago.
Gli occhi mi si appannano di lacrime quando entro nella stanza, ma comunque le accolgo, le benedico perché sono necessarie.
Mi accosto al muro, mi ci premo contro proprio come quella notte, ma stavolta sono da sola, e non ho paura.
Mi abbraccio il corpo, e lascio che insieme alle lacrime vadano via i ricordi, il terrore, i fantasmi.
<Commovente.>
Sibila una voce, e un’ombra si ferma davanti alla porta.
Rialzo il capo di scatto, con le guance bagnate di pianto, gli occhi appannati.
È un uomo alto e robusto, ma c’è troppo buio, non riesco a vedergli il volto.
Ma, come se avesse udito i miei pensieri, incrocia le braccia al petto appoggiandosi al bordo della porta che non c’è mai stata, e questo lo fa andare incontro alla luce del corridoio.
<Colin.>
Dico, alleggerendomi il cuore e asciugandomi le lacrime con il dorso della mano.
<Cosa fai qui sotto?>
<Ti cercavo.>
Colin, di sicuro, è un bravo osservatore, perché da quando lavora al Saudade’s spunta all’improvviso ogni volta che divento fragile.
Ha un sesto senso, forse, o ha osservato abbastanza attentamente da imparare a leggermi.
<Va tutto bene, non ti devi preoccupare.>
Avrei voluto più tempo per riuscire a dire addio a quei ricordi, ma comunque sono riuscita a rientrare in questa stanza e non mi fa neppure male il petto.
È comunque un traguardo, è abbastanza.
Mi scosto dalla parete e muovo un paio di passi per raggiungerlo.
<Ti sbagli.>
Dice lui, con una voce che mi gela il sangue.
<Non va tutto bene.>
Resto a fissarlo confusa per un po', la sua faccia è illuminata per metà, ma tra i suoi lineamenti non riesco a trovare traccia del calore che di solito mi regala.
<Che vuoi dire?>
Mi blocco di colpo, esattamente su quella chiazza scura sul pavimento.
<Sai, Amanda Martin.>
Ricalca il mio nome e cognome come se gli facesse ribrezzo.
<A diciassette anni avevo un amico.>
Alza una mano e inizia ad ispezionarsi le unghia, inclinando la testa.
<Lui era un cazzo di genio, io praticamente lo veneravo.>
Muovo i piedi come a voler indietreggiare, eppure non riesco a compiere un passo.
Perché mi racconta questa storia?
<E gli volevo bene, cazzo se gliene volevo.>
Sbuffa una risata che assomiglia più a uno spunto, e torna a guardarmi.
<Poi, un giorno, mi ha portato con sé ad uno dei suoi “incontri d’affari”.>
Mima le virgolette con le dita, palesemente scocciato.
<Non avevo idea di cosa si trattasse, ma ero un ragazzino e volevo fare soldi. Volevo diventare un cazzo di sceicco.>
Scoppia a ridere, e il mio cuore inizia a martellare nel petto.
<Lui fece un gran casino, però, perché non sapeva giocare lealmente. E quando le cose si sono messe male, è scappato.>
Muove un passo dentro la stanza ed io sono ancora immobile.
C’è qualcosa di strano, questo non è il Colin che conosco.
Bisogna sapere osservare, Amy.
Osserva.
<Mi ha lasciato lì a morire, eppure guarda.>
Muove le mani dall’alto al basso per indicare sé stesso.
<Non sono morto.>
Lui ride, ed io deglutisco per sciogliere il nodo che mi si è formato in gola.
<Perché mi stai raccontando questa storia?>
Riesco a dire, cercando di non far tremare la voce.
<Te la racconto>
Muove passi sicuri e lenti verso di me, e adesso sono di nuovo padrona del mio corpo, ma non voglio più indietreggiare.
Se lo facessi, rimarrei un’altra volta schiacciata contro quella parete.
<perché il figlio di puttana che mi ha lasciato a morire è lo stesso che ti scopi tu.>
Qualcosa mi cade sul cuore, con violenza, con un tonfo.
Mi fa male, mi colpisce e mi atterra.
Cosa significa tutto questo?
<Da quel giorno ho un solo scopo.>
Continua, fermandosi a pochi passi da me con un dito sospeso in aria.
<Trovarlo e dare a lui quella morte che a me hanno risparmiato.>
Fa male come uno stiletto nel cuore, come un pugno allo stomaco.
Non ho osservato.
Non ho guardato con attenzione, perché la persona che ho avuto davanti per tutto questo tempo non è come credevo.
È stato tutto un bluff, ed io non me ne sono accorta.
<Io...>
Riesco a ritrovare la voce, ma esito senza sapere cosa dire.
<Io non c’entro con questa storia.>
Mento, cercando di portare avanti la messa in scena creata per Ade.
Devo solo prendere tempo, poi il Saudade’s chiuderà e a quel punto Logan e gli altri saranno qui.
Logan mi salverà.
Ma chi salverà lui da Colin? È lui quello che cerca.
Pensa, Amanda, osserva.
<Ah, no?>
Se la ride lui, torreggiando su di me.
<Credevate che non ci saremmo accorti della sim nel cellulare di Ade?>
Cazzo.
<Allora tu lavori per loro.>
Trovo il coraggio di dire, mascherando la paura che mi sovrasta i pensieri.
<Io sto, con loro. Non lavoro per nessuno.>
<Perché?>
Dico poi, chiudendo le mani a pugno, cercando una via di fuga.
<Per orgoglio?>
Abbozzo una risata, con la speranza di intimidirlo.
Quando Logan e Maverick si trovavano nel vecchio magazzino con Ade, Tom in ostaggio, ho avuto del tempo per osservare.
Logan ha sempre mantenuto un sorriso di sfida sul volto, non si è mai mostrato incerto o spaventato, stava dritto con il mento alto.
Questo lo faceva sembrare potente, sicuro di sé, imbattibile.
Anche se sono impaurita e indifesa, prendo esempio e lo imito.
<Per vendetta.>
Confessa lui, e io rido di nuovo, scuotendo la testa.
<E pensi che ucciderlo ti farà sentire meglio?>
<Lo farà.>
<Stronzate.>
Sputo per terra, incrociando le braccia al petto.
<Sei ancora quel diciassettenne impaurito, e pensi che compiere un tale gesto ti aiuterà a liberarti dei mostri che infestano i tuoi sogni. Però sei in errore.>
Schiocco la lingua, e lui sembra indurire i muscoli.
<Sei patetico.>
Sentenzio, girando il viso per evitare che scorga la paura che mi dimora negli occhi.
<Non sai recitare la parte della dura.>
Ride, portandosi le mani in tasca e divaricando le gambe.
<Non sto recitando.>
Ribatto.
<No?>
Si muove e inizia a girarmi attorno come un avvoltoio.
<Secondo me stai solo cercando di prendere tempo, con la speranza che qualcuno venga a salvarti.>
Mi sforzo per evitare di girare su me stessa per tenerlo d’occhio, anche se significa non poterlo controllare quando si trova alle mie spalle.
Devo solo tenere a mente le lezioni con Logan e Maverick, ce la posso fare, almeno è solo uno.
<Ma, notizia del giorno, non verrà nessuno.>
Deglutisco, cercando di non lasciarmi spaventare.
<E sai perché ne sono sicuro?>
<Illuminami, testa di cazzo.>
Senz’altro un azzardo, provocarlo potrebbe portarlo a reagire, ma devo lasciargli credere che non mi fa paura.
<Harris non verrà, perché a quest’ora è di sicuro già morto.>
L’aria mi si blocca in gola, la mente smette di pensare e il cuore quasi mi esce dal petto e inizia a correre.
<È sempre stato testardo, anche a diciassette anni. Sempre un egoista, tra l’altro, e un egocentrico.>
Mi arriva di nuovo di fronte, e si ferma gustandosi l’espressione di terrore che adesso mi contorce i lineamenti.
<Lui non aiuta nessuno, e non gliene frega un cazzo di farsi aiutare. Nel suo mondo c’è solo lui, non c’è spazio per nient’altro.>
Si avvicina a me, ad un soffio dal mio viso, ed estrae qualcosa dalla tasca sventolandomelo davanti.
<Guarda qui. Lo riconosci, non è vero?>
Si tratta di un nastro, uno di quelli che si usano per incartare i regali, per farci grossi e paffuti fiocchi.
È verde, lo stesso verde che c’era sul pacco che mi è arrivato per natale.
È il nastro con cui Logan ha incartato il mio regalo.
<Ce l’aveva in tasca, ho pensato che ti avrebbe fatto piacere avere un ricordino.>
Apre le dita facendo cadere il pezzo di nastro per terra, e d’istinto io mi inginocchio per recuperarlo dal pavimento.
È lo stesso nastro.
<Che cazzo vuoi dire?>
Quasi urlo, con la voce rotta e il nastro tra le dita.
<Voglio dire che è arrivato alla chiesa ore fa. Da solo.>
Lo shock mi immobilizza, le mani mi tremano e il nastro ricade per terra.
No, non può essere vero.
Lui verrà, penseremo ad un piano, insieme. Lo ha promesso.
Ha promesso che si sarebbe lasciato aiutare.
<Tutti credevano che sareste arrivati insieme, come una squadra di mentecatti, ma io lo sapevo. Sapevo che non si sarebbe lasciato aiutare, perché ehi, lui è Logan Harris. L’invincibile.>
Scoppia a ridere, guardandomi dall’alto mentre io mi lascio scivolare per terra.
<Che testa di cazzo.>
Si piega sul pavimento, ed io non ho neanche la forza per guardarlo, sono pietrificata e la pioggia mi bagna gli occhi.
Non può averlo fatto, non posso crederci, non può essere andato da solo.
<Siamo soli adesso, gattina rossa. Lui non verrà.>
No.
Non può essere vero.
Lui me l’ha promesso, io devo salvarlo.
Ha promesso che l’avremmo fatto insieme.
<Guardati.>
La sua mano afferra i miei capelli, e mi tira la nuca indietro strappandomi un urlo di dolore.
<Sono per lui queste lacrime? Credevi di poterlo salvare, come nei film?>
Ride, tirandomi i capelli, strappandomi urla e lacrime salate.
<Lui era già morto, la sua morte è stata scritta tanto tempo fa. Tu eri solo una pedina, per noi, e per lui.>
No.
Non può essere così.
Lui mi ama.
Lui...me l’ha promesso.
<Adesso...>
Sibila, avvicinandosi al mio viso e tenendomi ferma dai capelli.
La sua presa mi fa male, mi brucia la nuca, mi fa male il collo.
Ma mi fa male anche il cuore, perché tutto è andato in pezzi, e perché il mio serpente è troppo lontano da me.
<Mi divertirò un po' con te, e poi andrò a ballare sul suo cadavere.>
Promette, avvicinando il naso al mio collo e ispirando il mio profumo, facendomi tremare l’anima.
Ti sento, Logan, e tu? Riesci ancora a sentirmi?
Un urlo straziante mi esce di bocca, così forte che mi fa bruciare la gola, e quasi mi sembra di sentire le pareti tremare.
Un urlo di dolore, di paura, d’ amore.
Un urlo coraggioso, ma spaventato, devastato e distrutto.
Un urlo che dice ti amo, e che implora di aspettare.
Aspetta, anima di ghiaccio, aspettami.
L’urlo arriva dappertutto, zittisce il silenzio, fa tremare la terra, colma i vuoti e solca i mari.
Ma qualcosa fa più rumore.
Uno sparo, un proiettile che fonde l’aria, e un urlo che non è il mio.
<Merda!>
Urla Colin, premendosi la gamba con una mano e lasciando andare i miei capelli.
Mi alzo immediatamente, e corro verso l’ombra che impugna una pistola davanti alla porta.
Corro perché quella è la salvezza, perché mi è arrivato l’odore di casa.
Mi getto tra le sue braccia, disperata, tremante, con le lacrime che mi soffocano.
<Mav!>
Grido, scuotendo la testa.
<Mav, lui...>
<Lo so.>
Mi prende il viso tra le mani, e quando lo guardo negli occhi sento il suo dolore come se fosse il mio.
Ma in realtà è anche un po' mio, perché è esattamente lo stesso.
<Ascoltami, Mandy.>
Mi sposta i capelli dal viso con gesti veloci ma delicati.
<Va’ alla chiesa.>
Dice, facendomi sussultare.
<Puoi ancora salvarlo.>
<Cosa? Io...io non...>
<Devi andare.>
Mi prende le mani e mi posa la pistola ancora calda sul palmo.
<Salvalo.>
Mi guarda come se mi stesse supplicando.
<Lo affido a te.>
Mi bacia la fronte e poi mi gira intorno per spingermi verso l’uscita.
<Affido a te la vita di mio fratello.>
Le lacrime mi graffiano il viso, e dopo le sue parole sembrano diventare più taglienti.
Nel frattempo, alle sue spalle, Colin si rialza e qualcosa di affilato luccica tra le sue mani.
<Vieni con me!>
Gli urlo, tra i singhiozzi.
Lui gira il viso e guarda l’ombra alle sue spalle con la coda dell’occhio.
<Non posso.>
Dice, frantumandomi il cuore.
<Vieni, Mav. Vieni con me!>
Lo supplico, facendo un passo verso di lui, ma lui mi sorride e inizia ad indietreggiare.
<Corri, piccolo arcobaleno.>
Mi dice, perdendo una goccia di pioggia dagli occhi.
<No, Mav...>
<Ti voglio bene, te ne voglio dal primo istante.>
Un singhiozzo disperato mi scappa di bocca, e quasi la pistola mi scivola dalle mani.
<Salvalo, ti prego.>
È l’ultima cosa che dice, prima di girarsi e lanciarsi su Colin, facendomi urlare disperata.
Eppure, con il cuore rotto e logorato, gli volto le spalle e inizio a correre.
Ti voglio bene, gigante buono, te ne voglio dal primo istante.
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Bluff
RomanceLa vita a volte somiglia ad una partita di poker, e Amanda lo sa bene. Per questo motivo ogni giorno mette in pratica gli insegnamenti di Ethan, il suo primo amore. Ethan le ha insegnato tutto sul poker, regole e trucchi, e Amanda custodisce le su...