Vischio

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<Ehi, Amy?>
<Si?>
<Che cosa vorresti per Natale?>
Ethan non mi guarda neppure mentre mi porge la domanda, e questo è un bene, perché se lo facesse noterebbe il rossore che mi ha invaso le guance. Il suoi capelli castani luccicano sotto le lucine di Natale, e i colori si riflettono sul suo viso.
<Non serve che tu mi faccia un regalo.>
Gli rispondo spostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, e a quel punto lui alza lo sguardo su di me, abbandonando gli addobbi natalizi con cui stava armeggiando.
<Lo so che non serve, ma io voglio farlo.>
Gli sorrido, e come al solito cado in una voragine che mi solletica.
<Io...non so che cosa voglio.>
Te, vorrei dirgli. Voglio te per questo Natale, e per tutti quelli che verranno.
Sono anni che lui è il mio unico desiderio per Natale, e adesso che ne ho sedici sono pronta. Pronta ad ammetterlo, pronta a gridarlo al mondo.
<Vorrà dire che ti stupirò, allora.>
I nostri sorrisi si accarezzano, e il mio cuore inizia a battere velocissimo.
<Che te ne pare?>
Solleva la pallina di Natale che stava decorando, con sguardo fiero.
Sono ore che mi aiuta a decorare le palline per l’albero di Natale del Saudade’s, e non ho neanche dovuto chiederglielo. Ho sempre decorato gli addobbi con la mamma, addobbare il casinò è sempre stato il nostro compito per Natale. Ma adesso che lei e papà si sono lasciati, e che lei è tornata in Spagna dai nonni, mi rattristava molto l’idea di farlo da sola. Per fortuna è arrivato Ethan, come se sapesse che me ne stavo seduta a fissare gli addobbi, con le lacrime che minacciavano di bagnare la carta da regalo natalizia.
<È bellissima.>
Prendo tra le mani la pallina per osservarla meglio, e i suoi colori mi rallegrano l’anima.
Ethan ci ha disegnato sopra dei fiocchi di neve bianchi, e ha aggiunto una scritta in corsivo al centro.
“Possa il Natale regalarti giorni felici”.
Sorrido, ripetendomi la frase in mente, pregando con tutta me stessa che sarà così.
<Guarda qui.>
Ethan tira fuori dalla scatola degli addobbi un ramoscello rinsecchito e pallido, e me lo sventola davanti sorridendo.
<Che cos’è?>
Chiedo, come se fossi una bambina che va a caccia di fiori con il papà.
<È vischio.>
Gli strappo dalle mani il ramoscello, e lui allarga un sorriso, guardandomi.
<Questo coso secco sarebbe vischio?>
Scoppio a ridere, osservando il ramoscello più da vicino.
<Proprio così. E vuoi sapere un’altra cosa, Amy?>
Continuo a girare e rigirare il ramoscello davanti al mio naso, finché lui non ferma la mia mano poggiandoci sopra la sua. Si avvicina al mio viso, alzando le nostre mani unite sopra le nostre teste, mentre io tengo ancora stretto il ramoscello di vischio.
<Anche se adesso è un coso secco, come dici tu, non ha ancora perso il suo potere.>
Deglutisco, mentre lui si avvicina ancora un po'.
<E questo cosa significa?>
Chiedo, con la voce quasi in un sussurro.
<Significa che voglio baciarti.>
Il mio cuore forse smette di battere, oppure inizia a farlo troppo veloce, non saprei dirlo. Il mio petto inizia ad alzarsi e abbassarsi in maniera frenetica, ma d’istinto mi avvicino ancora di più alle sue labbra.
Un soffio, adesso ci separa solo un soffio. I nostri nasi si sfiorano e i respiri si mescolano, mentre io gli do il mio e lui mi regala il suo.
<Allora fallo.>
La sua bocca tocca la mia nell’istante stesso in cui finisco la frase, e le sue labbra morbide catturano le mie con la dolcezza di un bacio che  aspetto da quando avevo dodici anni.





Mi rigiro la pallina di Natale tra le dita, accarezzando ogni singolo fiocco di neve, la scritta in corsivo che brilla sotto le luci.
“Possa il Natale regalarti giorni felici”.
Sembra quasi una bella barzelletta, adesso.
<È una bella pallina.>
Alzo la testa dall’addobbo natalizio, e incontro gli occhi di ghiaccio di Colin.
Sono passate settimane da quando l’ho assunto, e lui non mi ha mai dato modo di pentirmene.
Ha costruito un rapporto solido e pieno di rispetto con tutto il resto dello staff, perfino con Betty e Daniel, che adesso lo adorano. Nel suo lavoro è davvero il meglio a cui il Saudade’s poteva ambire, e tutte le volte in cui il mio sguardo si è perso nel vuoto, rapito dalle ombre del passato, lui si è fatto avanti munito di parole gentili e giuste.
Sono passate settimane anche dall’ultima volta che ho visto Logan, un mese forse, o addirittura una vita. Ogni tanto ho sentito Maverick parlarci al telefono, ma tutte le volte ho finto di non accorgermene. Ho fatto finta che non me ne importi un accidente, anche se a volte, quando sentivo la sua voce provenire dal telefono di Maverick, mi si apriva un buco allo stomaco grande quanto la via lattea. Come si può, tra l’altro, sentire la mancanza di qualcosa che non ti è mai appartenuto e che non hai mai neppure desiderato?
<Si>
Mi sforzo di abbandonare i miei pensieri per tornare alla realtà.
<È davvero una bella pallina.>
La sistemo dentro un grosso scatolone con scritto sopra “addobbi natalizi” a lettere cubitali.
<Non la metti sull’albero con le altre?>
<Quest’anno no.>
Richiudo la scatola e incontro lo sguardo di Colin, che sembra osservarmi con attenzione per cercare di capire cosa mi affolla la mente.
<Ti dispiacerebbe riportarla di sotto?>
Gli chiedo, indicando la scatola con tutti gli addobbi che ho scartato per quest’anno, compresa la pallina di Ethan.
<Questo posto ha anche un piano inferiore?>
Maverick sbuffa al mio fianco, muovendosi sullo sgabello, a me scappa da ridere.
<Proprio così. Ci sono le caldaie, gli impianti elettrici e tantissime stanze stracolme di roba inutile. Cose tipo gli addobbi natalizi che non servono.>
<Oh, d’accordo.>
Colin prende la grossa scatola tra le mani, e non fa nessuno sforzo, nonostante sia di sicuro pesante.
<Dove vado?>
Si guarda intorno, alla ricerca della strada giusta.
Rifletto un attimo sulle indicazioni da fornirgli per trovare le scale e poi lo stanzino in cui riporre lo scatolone, ma mentre percorro la strada con la mente mi rendo conto di quanto sia più facile a dirsi che a farsi.
<Sai una cosa?>
Salto giù dal mio sgabello, e lui si ferma a guardarmi dall’alto della sua statura.
<Ti accompagno.>
Colin si fa da parte per darmi la precedenza, e non appena inizio a camminare intravedo Maverick con la coda dell’occhio, che si affretta a venirci dietro.
<Non serve, Mav.>
Gli dico, voltandomi a guardarlo.
<Col cazzo.>
Colin alza gli occhi al cielo, mentre Maverick indurisce i suoi lineamenti.
<Ti prego.>
Sfoggio il mio sguardo da gattino dolce e carino, e in un secondo i suoi muscoli si rilassano. Lascia uscire l’aria dalle narici, e si lascia ricadere sullo sgabello. Siede stravaccato, con le gambe aperte e i gomiti poggiati al bancone alle sue spalle.
<Se non torni entro dieci minuti vengo a cercarti.>
Non mi guarda neppure mentre parla, però io sorrido vittoriosa.
<Dieci minuti servono solo per arrivare alle scale.>
<Non mi importa, fatteli bastare.>
Allargo un sorriso, e mi sporgo quanto serve per baciargli una guancia. Mi allontano con Colin, mentre la guardia del corpo si colora di rosso imbarazzo.
Quando arriviamo al piano di sotto Colin non fa che parlare, forse per evitare di cadere in un silenzio imbarazzante. A me non dispiace, mi piace ascoltare i suoi racconti. Parla sempre dei luoghi che ha visitato, delle grandi città, dei mari e i fiumi e le montagne che potuto osservare da vicino.
Lo invidio per questo, perché io al contrario non ho mai visto niente del mondo.
Quando passiamo accanto a uno stanzino particolarmente buio, però, mi invade una nausea fortissima. Mi blocco di colpo, e Colin neppure se ne accorge, continua a camminare dritto e a parlare, con lo scatolone tra le mani.
Il mio sguardo si posa d’istinto all’interno della stanza immersa nel buio, ma la luce del corridoio arriva ad illuminare un angolo preciso. Il pavimento è ancora macchiato di rosso, in quel punto, e la parete sembra aver preso la forma della mia schiena.
Il respiro viene a mancarmi, e improvvisamente le mie gambe si fanno molli, come se fossero stanche di reggere il peso di tutto il mio corpo. Inizia a farmi male il petto, mentre la mia pelle sotto i jeans inizia a bruciare e pulsare.
Quel pezzo di pelle diverso, quello rovinato, quello sempre più freddo.
Cado in ginocchio, con la gola chiusa, mentre cerco in tutti i modi uno spiraglio d’aria. Non ricordo più come si respira, era così facile prima, ma adesso non so più come si fa.
<Amanda?>
Colin si volta, dal fondo del corridoio, e quando mi vede accasciata a terra lo scatolone cade sul pavimento con un forte tonfo che mi fa sussultare.
Corre da me, e in un secondo è in ginocchio anche lui, con le mani sulle mie guance.
<Che cos’hai?>
Mi chiede, come se io potessi rispondergli, come se sapessi cosa mi sta succedendo.
Continuo ad annaspare, boccheggio come un pesce alla ricerca dell’acqua, ma io cerco solo un respiro.
Non mi ricordo come si fa.
Non mi ricordo come si fa.
<D’accordo, d’accordo, d’accordo.>
Gli occhi di Colin sono spalancati, invasi dal panico.
<Ci penso io.>
Sussurra, aiutandomi a sedermi sul pavimento.
<Ci sono io, non preoccuparti.>
Si sistema anche lui sul pavimento, senza mai lasciare le mie mani, mentre io lo osservo con la bocca spalancata e lo sguardo in preda al terrore.
Prende la mia mano destra e l’appoggia sul suo petto, poi poggia la sua sul mio.
<Respira con me, guarda come faccio io.>
Abbasso lo sguardo sul suo petto, osservandone i movimenti.
<Guarda, Amanda, fai come faccio io.>
Inizia ad inspirare ed espirare, con calma, abbandonando ogni briciola di panico.
Osservo le sue spalle che si alzano e si abbassano, le sue narici che si dilatano per inspirare, e la bocca che si schiude per espirare.
Sembra così facile.
Lo imito, mi perdo ad osservare i suoi movimenti e li replico, identici.
<Ecco fatto.>
Finalmente trovo il coraggio di alzare lo sguardo, e lo trovo a sorridermi.
<Stai respirando.>
Cado sul suo petto, ci appoggio la fronte e rilasso le spalle.
Lui infila le dita tra i miei capelli, e mi accarezza con dolcezza, rassicurandomi.
<Sto respirando.>
Sorrido tra le pieghe del suo collo.
<Sto respirando.>
Ripeto, come se respirare fosse una cosa del tutto nuova per me, come se l’avessi appena imparato.
<Ehilà.>
Una voce attira la nostra attenzione dal fondo del corridoio, e di scatto entrambi ci voltiamo verso quella direzione.
<Interrompo qualcosa?>
Il serpente mi sorride velenoso, con le mani in tasca e i suoi occhi d’argento che mi arrivano dritti al cuore.

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