Se c’è una cosa che detesto nel mondo, è di sicuro l’attesa.
Quella, e un altro centinaio di cose, in realtà.
Però odio attendere, aspettare senza sapere cosa fare.
Per questo sono rimasta immobile come una statua, dopo che Logan è uscito dalla porta. Sono rimasta in ginocchio sul letto, avvolta nel mio accappatoio morbido, imbambolata a fissare la porta come se lui dovesse fare ritorno da un momento all’altro.
Ma è già passata mezz’ora, lui non è tornato, e il cuore sta per uscirmi dal petto.
Maverick sembrava fortemente in allarme, e Logan non lo ha lasciato parlare oltre, è scappato via come un fulmine.
Mi ha guardata però, prima di uscire, e una parte di me avrebbe voluto fermarlo in quel momento. Dirgli che qualsiasi cosa fosse successa poteva attendere, dirgli di rimanere con me, perché lì fuori è ormai troppo pericoloso.
Eppure non l’ho fermato, gli ho dato il mio tacito permesso, e lui mi ha guardata con il timore che potesse essere l’ultima volta.
Ho promesso a me stessa che non avrei più avuto paura, che non sarei mai più stata debole, o indifesa.
Ho promesso a Logan che sarei stata un drago, non una principessa da salvare.
<Fanculo.>
Dico, a nessuno in particolare, tagliando il silenzio che aveva ormai infestato la camera.
Mai più debole o indifesa.
Non me ne starò qui ad aspettare di essere salvata, questa attesa e quest’ansia mi bucano lo stomaco. Non ci riesco a stare ferma mentre lui è lì fuori, chissà in quale inferno.
Mi alzo dal letto e mi avvicino all’armadio, apro le ante e ispeziono il contenuto.
Calcolando che non so assolutamente dove sarò diretta, non so cosa mi aspetta, forse dovrò attraversare corsi d’acqua, saltare, o che cavolo ne so io.
C’è da calcolare anche la febbre, tra l’altro, anche se mi sento molto più in forze ciò non significa che sono guarita del tutto.
Allungo un braccio e tiro fuori un pantalone della tuta nero e una felpa dello stesso colore. Comodi, caldi, e invisibili nel buio.
Per un attimo mi immobilizzo, alzando gli occhi al cielo, perché la quantità di assurdità che sta partorendo la mia mente sono a dir poco scandalose.
Parlo come una che sta per uscire a combattere il crimine, praticamente sono finita dentro un fottuto film della Marvel.
Scuoto la testa, per impedire al mio inconscio di fermarmi, per impedirmi di realizzare che quello che sto cercando di fare è una grandissima stronzata stratosferica.
Infilo della biancheria al volo, poi mi libero dell’accappatoio lasciandolo abbandonato sul pavimento, e infine indosso la tuta nera.
Mi avvicino alla scarpiera, indecisa anche lì sul paio di scarpe più adatto per l’occasione. Di sicuro qualcosa di comodo.
Opto per un paio di sneakers rosa fluo, perché pretendo di essere alla moda anche in guerra. Quasi mi metto a ridere mentre me le infilo, seduta sul pavimento.
Quando mi rimetto in piedi, raccolgo i capelli sulla nuca e li lego con l’elastico che porto sempre al polso, in una coda di cavallo alta. Mi assicuro di raccogliere ogni singola ciocca, e di stringere bene con l’elastico, così da non rischiare di ritrovami con i capelli a coprirmi la visuale.
Fatto questo, poggio le mani sui fianchi e mi guardo intorno.
Cosa manca, cosa sto dimenticando?
Mi fermo a riflettere, camminando avanti e indietro per la stanza, picchiettandomi due dita sul mento.
Ma certo, che cavolo!
Devo capire come trovare Logan e Maverick.
Lascio vagare lo sguardo per tutta la camera, socchiudendo gli occhi, in attesa che arrivi il lampo di genio.
E infatti arriva, proprio quando mi cade un occhio sul cellulare di Logan, ancora abbandonato sul comodino.
Quasi mi lancio sul letto, atterrando a pancia in giù sul materasso, le braccia già protese per afferrare il dispositivo.
Quando lo accendo, lo schermo si illumina rivelando il blocco schermo.
Logan è il solito, anche il suo cellulare è anonimo, proprio come il suo ufficio e la sua casa. Sullo schermo, infatti, oltre all’orario, alla data, e al meteo, appare soltanto uno sfondo rosso.
Di tante immagini che poteva scegliere, nell’immensa fornitura che offre internet al giorno d’oggi, lui ne ha scelta una così anonima.
Solo un’infinita distesa di rosso.
Scorro il dito sullo schermo per sbloccarlo, e a quel punto mi rendo conto che è protetto da una password. Come ho fatto a non considerarlo?
Mi metto seduta sul letto, le gambe incrociate, e il cellulare stretto tra le dita.
Fisso lo schermo su cui adesso si trova una tastiera di numeri, e rifletto.
Deglutisco, e prendo un lungo respiro. Inspiro, ed espiro.
Decido di tentare, con la password più vecchia e stupida del mondo, pregando che Logan sia lascivo fino a questo punto.
Con dita quasi tremanti digito sulla tastiera l’ordine di numeri: uno, due, tre, quattro.
Codice errato.
Il cellulare emette una leggera vibrazione tra le mie mani, mentre la scritta si illumina sullo schermo. A questo punto il cuore prende a battermi più veloce.
Prendo un altro lungo respiro, e mi concedo una seconda possibilità. Tento con un altro codice numerico, anche questo estremamente stupido e scontato.
Zero, zero, zero, zero.
Codice errato.
<Dannazione.>
Impreco, mentre il cellulare vibra tra le mie mani per la seconda volta.
Premo un pulsante per tornare indietro, di nuovo sulla schermata di blocco schermo, dove il rosso spicca.
Resto per un po' ad osservare il cellulare, mentre i numeri si susseguono veloci sul grosso orologio al centro dello schermo.
Se la memoria non mi inganna, ci sono solo tre tentativi prima che il cellulare si blocchi per tempo. Ciò significa che me ne resta solo uno.
Sempre sperando che, una volta sbloccato il cellulare, semmai ci riuscirò, ci sia davvero qualcosa che mi aiuti a trovarli.
Rifletti, Mandy, rifletti.
Osservo ancora lo schermo rosso, finché non mi passa per la mente un’idea, forse priva di senso.
Mi resta un solo tentativo, perciò o la va o la spacca. Non ho altre alternative, per quanto ne so la password potrebbe essere la sua data di nascita o quella di una persona a lui cara, ma non conosco neppure una di queste date.
Perciò, a questo punto, non mi resta che tentare con la stupidissima idea che mi ha sfiorato la mente, pregando che qualche dio dimenticato mi venga in soccorso.
Faccio scorrere un’altra volta il dito sullo schermo, lasciando che appaia di nuovo la tastiera, e questa volta le mie dita non tremano mentre digito.
Sette, sei, sette, sette, sei.
Esattamente i numeri a cui corrispondono le lettere che formano la parola rosso.
Il cellulare si sblocca.
Mi spunta un sorriso da orecchio a orecchio, e vorrei darmi una pacca sulla spalla, per quanto sono fiera di me stessa.
Non c’è tempo per esultare, però, meglio concentrarsi.
Vorrei mettermi comoda e spulciare tutti gli angoli del cellulare di Logan, alla ricerca dei suoi segreti, ma non posso adesso.
Inizio a scorrere il menù con le app, senza sapere cosa cercare esattamente.
È pieno di app comunissime, social network, qualche stupido gioco, app per guardare film in streaming, e qualcuna per ordinare del cibo a domicilio.
È un comunissimo telefono.
Lo è in tutto, tranne per un piccolo dettaglio, un app mai vista nell’ultima pagina del menù.
È un’icona nera, con sopra stampata una carta da poker.
La regina di cuori.
Senza pensarci a lungo ci clicco sopra, osservando lo schermo mentre appare una grossa mappa di Las Vegas.
Su un pallino blu, al centro della mappa, appare scritta la parola: Tu.
Il pallino si illumina e fluttua sulla mappa, e quando ingrandisco con le dita per osservare meglio, mi rendo conto che sta fermo su un punto preciso.
Sulla Strip, esattamente sopra il Saudade’s.
Il mio cuore inizia a galoppare, a correre e saltare, quando mi concentro sugli altri pallini che fluttuano attorno al primo.
Uno giallo, uno verde, e uno rosso.
Sopra quello giallo, in grassetto, fluttua un nome che conosco bene.
Elisabeth Miller.
Sul verde, invece: Daniel Moore.
Il dettaglio che però mi fa seccare la gola, è il nome che fluttua sopra il pallino rosso, proprio accanto a quello blu.
Amanda Martin.
<Stronzo.>
Lo maledico, abbandonando il cellulare del serpente sul materasso.
Scendo dal letto, mi avvicino al comò con i cassetti, e prendo il mio cellulare che se ne sta lì abbandonato da non so quanto tempo.
Quando lo accendo, una foto che ritrae me, Betty e Danny al casinò, si illumina.
Tengo premuto il pulsante al lato dello schermo e spengo il cellulare.
Fatto questo, torno sul letto e riprendo quello di Logan.
Come avevo previsto, anche se speravo di sbagliarmi con tutto il cuore, il pallino rosso adesso è scomparso.
Il bastardo schifoso, a quanto pare, ci localizza tutti.
Ecco come ha fatto a trovarmi, quella volta in cui mi ero persa nel cesso di quel locale, intenta a dimenticare i problemi con del sesso occasionale.
Stronzo. Bastardo. Schifoso. Pezzo di merda.
Quando lo trovo lo ammazzo, lo giuro, questa me la paga.
Allargo di nuovo la visuale della mappa sullo schermo, cercando altri pallini fluttuanti. Inizio a spostare la mappa, scorrendo il dito sullo schermo, finché non ne trovo altri due.
Uno nero, con scritto sopra: Thomas Cox
e un altro viola, con su scritto: Maverick Campell.
Entrambi i pallini colorati si trovano in un punto preciso a West Last Vegas.
Non proprio un posto tranquillo in cui trovarsi con gli amici.
Il West Las Vegas, infatti, è un dei quartieri con più alto tasso di criminalità.
Resto ad osservare i due pallini colorati per un po', cercando di liberare la mente e riflettere con lucidità.
Di certo non è un buon posto in cui recarsi, sopratutto considerando che il sole sta già iniziando a calare.
Ma qual è l’alternativa?
Restare qui ad aspettare, come una ragazzina stupida e codarda?
No. Non esiste, cazzo.
Esco dalla mia camera in fretta a furia, infilandomi il cellulare di Logan nella tasca della felpa.
Entro nell’ascensore, e l’assenza di Maverick al mio seguito mi provoca una fitta al petto inaspettata.
Quando le porte si aprono, al piano di sotto, quasi corro verso la hall.
<Chi si vede.>
Dotty mi scruta dalla testa ai piedi, mentre io giro intorno al bancone circolare in cui lei ha messo radici.
<Ti sei ripresa, vedo. Chissà di chi è il merito.>
Ignoro completamente il suo palese riferimento a Logan, e mi dirigo verso le porte del casinò.
La sala si sta preparando per l’apertura, e il mio sguardo incontra quello di Colin, già posizionato al suo tavolo. Mi guarda sorridendo, e mi fa l’occhiolino, ma io ignoro anche lui e mi dirigo al bancone del bar.
<Mi servono le chiavi della tua auto.>
Dico a Daniel, mentre lui alza il capo dalle bottiglie che stava ispezionando.
<Col cazzo.>
Mi risponde, non facendo per nulla caso al panico che invade i miei occhi.
<Non te lo chiederei se non fosse importante.>
Aggiungo, girando intorno al bancone.
<Anche se dovessi correre a salvare il mondo, Mandy, non ti darei la mia auto. Guidi malissimo, e sto ancora finendo di pagarla.>
<Lo sai che ti voglio bene, vero?>
Lo addolcisco, strappandogli un sorrisetto.
<Non mi convincerai comunque, mia cara.>
<Lo so.>
Faccio qualche passo verso di lui, e quando mi fermo di fronte al suo petto gli lascio cadere le braccia al collo.
Lo stringo forte, e lui ricambia il mio abbraccio, noncurante di quello che intanto sto facendo.
Allungo una mano, abbassando il braccio lungo la sua schiena quanto basta e, silenziosa e attenta come una gazza ladra, gli sfilo le chiavi dalla tasca posteriore dei pantaloni.
Le stringo nel pugno, in modo che non le veda quando sciolgo l’abbraccio.
<E tu me ne vuoi?>
Gli chiedo, mentre cammino all’indietro.
<Certo che si.>
Esco da dietro il bancone e continuo a camminare all’indietro verso l’uscita.
<Ricordatelo anche domani.>
Concludo, sorridendogli di mezzo lato, mentre lui mi guarda storto ma divertito.
Lascio cadere un’ultima volta lo sguardo su Colin, e adesso il croupier mi osserva con sguardo serio, attento.
Lo ignoro e inizio a correre verso la strada.
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Bluff
RomanceLa vita a volte somiglia ad una partita di poker, e Amanda lo sa bene. Per questo motivo ogni giorno mette in pratica gli insegnamenti di Ethan, il suo primo amore. Ethan le ha insegnato tutto sul poker, regole e trucchi, e Amanda custodisce le su...