Maverick mi segue ovunque come un cavolo di fantasma.
Se non altro, quando entro in camera mia non mi segue, ma resta appostato fuori la porta, il che mi concede almeno un po' di privacy.
Daniel si è quasi spaventato quando, giorni fa, si è accorto di questo grosso uomo dai capelli corvini che mi segue ad ogni passo.
Betty invece, ovviamente, apprezza la presenza di Maverick più di tutti, per questo viene a trovarmi più spesso in camera.
Non so cosa faccia Maverick di notte, non so se resta fuori la mia porta a dormire sul pavimento, non so se dorme in effetti.
Devo ancora scoprire se di notte la possibilità di sfuggirgli diventa più reale.
Per adesso, il suo seguirmi non è stato un peso opprimente, fastidioso certo, ma la sto gestendo. Con il tempo però so che mi peserà molto più di così, perciò meglio iniziare a cercare una via di fuga già da ora.
Oggi non ho tempo per pensare a nulla di tutto questo, in ogni caso. Perciò Maverick, il serpente, e tutti i suoi strani segreti, saranno un problema della me di domani. Se non sarò ancora sbronza.
Oggi il Saudade’s compie diciotto anni.
Diciotto anni fa papà e mamma decisero di lasciare la Spagna e trasferirsi a Las Vegas. Il poker è sempre stata una passione troppo grande per papà, per questo possedere un casinò di ampia fama è sempre stato il suo sogno nel cassetto.
Così, a soli due anni, ho visto il Saudade’s per la prima volta, e da allora è l’unica casa che conosco.
Ogni anno, per il suo anniversario, diamo una grossa e sfarzosa festa.
Ai clienti è concesso l’accesso gratuito, senza obbligo di gioco o di consumazione.
Non è una festa a scopo di guadagno, punta soltanto a festeggiare il casinò e tutte le persone che ne fanno parte. Clienti, camerieri, baristi, croupier, ballerini. Ma anche chi lavora dietro le quinte, come i commercialisti e i contabili, io, papà, i costumisti o le truccatrici. Tutti. In questo giorno veniamo festeggiati tutti.
Questo giorno, insieme ad halloween, natale, il mio compleanno, e la Noche de San Juan in Spagna, è il mio giorno preferito dell’anno.
Il Saudade’s si colora di oro, le cameriere indossano sfarzosi abitini che brillano, e sui vassoi portano flute di champagne. Ogni ospite sfoggia eleganza nei propri abiti, e a volte qualche donna osa con un’acconciatura esuberante.
Ovviamente io mi sono occupata dell’intera organizzazione della serata, e quest’anno credo di essermi superata, così tanto che ci saranno degli acrobati che penderanno dal soffitto in dei grossi cerchi.
L’intero ambiente sarà elegante, ma anche eccentrico e sensuale.
Io, infatti, ho scelto per l’occasione un abito grigio chiaro, tempestato di piccole pietre luminose che mi ricordano le stelle. La parte superiore è in pizzo, con un collo alto nero, e delle mezze maniche che camuffano la magrezza delle mie braccia. Betty mi ha aiutata ad appuntare i capelli in un morbido raccolto, e Josy, una delle truccatrici delle ballerine, si è offerta di truccarmi poco prima di iniziare il suo turno di lavoro. Il risultato è stato un trucco leggero ma d’impatto, che brilla come le pietre che adornano il mio vestito.
Mi sento bella, stasera, e non credo che ammettere la propria bellezza puzzi di presunzione.
Soprattutto per una come me, che non sempre riesce a cogliere la bellezza dei propri lineamenti, guardarsi allo specchio e rivolgersi un sorriso è una grossa vittoria.
Maverick quasi sgrana gli occhi quando mi vede, una volta uscita dalla mia stanza, ma si ricompone in fretta e torna a guardare fisso davanti a sé con le spalle dritte.
<Quindi? Non mi dici niente?>
Non mi degna di uno sguardo.
Mi piazzo davanti a lui, seppur la mia altezza non lo intralcia minimamente, e gli sventolo la mano davanti agli occhi.
<Prooonto.>
Ancora non mi guarda, perciò smetto di sventolare la mano e incrocio le braccia al petto.
<Dato che dobbiamo passare così tanto tempo insieme, puoi anche sforzarti di rivolgermi la parola.>
Finalmente abbassa gli occhi su di me, e anche se cerca di nasconderlo noto un minuscolo sorriso sulle sue labbra.
<Non dirò niente al serpente, lo giuro, sarà il nostro segreto.>
I suoi occhi color caramello si addolciscono, e stavolta sorride per davvero.
<Siete molto carina stasera, signorina Martin.>
Sorrido di gusto e mi liscio la gonna stretta del vestito.
<Ora ci siamo.>
Mi volto dandogli le spalle e mi incammino verso l’ascensore.
<Andiamo, amico mio, c’è una festa che ci aspetta al piano di sotto.>
Lui mi segue silenzioso come un assassino.
Quando le porte dell’ascensore si aprono mi incammino verso la grande porta che porta al casinò, ma prima di arrivarci noto un dettaglio bellissimo da vedere, ma fastidioso da sopportare, nella hall.
Logan Harris, nonché serpente e mia nemesi, se ne sta appoggiato al bancone e chiacchiera con Dotty, la nostra addetta alla reception.
Dotty lo guarda incantata, sorridendogli con il mento poggiato ai palmi delle mani. Non posso darle torto, in realtà, perché Logan è bello da mozzare il fiato stasera. L’abito nero è elegante come sempre, ma l’assenza della cravatta lo rende meno formale, e la camicia sbottonata di qualche bottone lascia intravedere il suo collo, che quasi mi provoca un giramento di testa.
Mi odio per il modo in cui mi sento mancare la terra sotto i piedi quando lo vedo, perché non dovrebbe farmi questo effetto il mio carceriere, eppure i suoi occhi sembrano più argentati del solito stasera. Forse è l’atmosfera che me lo fa guardare in questa maniera, forse è colpa della festa, dello sfarzo e dei colori.
In ogni caso, lui non dovrebbe essere qui.
Quando mi nota, ha l’accortezza di salutare Dotty, con suo estremo dispiacere, e raggiungermi a metà strada. Di certo non avrei potuto arrabbiarmi con lui di fronte ad occhi indiscreti, abbiamo comunque una recita da portare avanti.
<Cosa ci fai qui?>
Sorride e scuote leggermente la testa.
<Anch’io sono incantato dalla tua vista, asso.>
Lo guardo seria, alzando le sopracciglia.
<Non sono per niente incantata, a dire la verità. Allora, che ci fai qui?>
<Calmati, tigre, è per la nostra messa in scena. Stiamo insieme per la gente, ricordi? Non possono vederti da sola ad un evento simile.>
Incrocio le braccia al petto e quasi sbuffo, non può rovinarmi anche questa serata. L’anniversario del Saudade’s è una cosa tutta mia, è troppo importante per essere rovinata.
<E chi ti ha detto dell’evento?>
<Ho le mie fonti.>
Non mi ci vuole molto per scovare la talpa.
<Grazie tante.>
Dico, voltandomi verso Maverick. Lui sbianca ma non dice una parola.
<D’accordo, ascoltami bene.>
Mi rivolgo di nuovo al serpente.
<Questo è il mio casinò, la mia serata.>
Logan alza un sopracciglio e si trattiene dal ridere, probabilmente perché sto parlando in maniera troppo seria di una semplice festa.
<Una sola cazzata, serpente, che possa mettere a rischio la riuscita di questo evento, e ti prendo a pugni.>
Stavolta ride sul serio, seppur in maniera pacata. Guardo Dotty per un attimo e lei distoglie lo sguardo di scatto, fingendo di prendere il telefono e parlare con un cliente.
<Servirebbe solo a ferire le tue manine delicate.>
Dice, sogghignando.
<Non sfidarmi.>
Torna a stare dritto e smette di sghignazzare come un cretino, poi si posiziona al mio fianco e mi porge il braccio.
<Niente cazzate, promesso.>
Mi lascio convincere in fretta, probabilmente merito delle sue labbra leggermente arrossate.
Lo prendo sotto braccio e ci incamminiamo verso il casinò.
Resto incantata quando le grandi porte si aprono, e mi sento fiera perché tutto ciò che vedo è merito mio.
Gli acrobati pendono dal soffitto, alcuni dentro a dei grossi cerchi, altri legati ad un morbido nastro bianco.
Nonostante la serata di festa, alcuni uomini in giacca e cravatta giocano a poker e sorseggiano champagne, e le donne gli stanno affianco in abiti scintillanti.
Anche qualche donna partecipa alla partita, e stringe le carte tra le mani dalle unghia laccate di rosso. Ho sempre letto potenza dietro lo sguardo di una donna che gioca a poker, probabilmente farà il culo a tutti gli uomini che si credono migliori di lei.
Betty mi si avvicina nel suo abitino dorato, con in mano un vassoio ormai vuoto. I morbidi ricci biondi le ricadono sulle spalle, e le sue guance sono leggermente arrossate. Ha le labbra colorate di rosa, e le lunghe ciglia incorniciano i suoi occhi blu. Si muove sui tacchi alti con grazia e disinvoltura, ben consapevole degli sguardi che la seguono al suo passaggio.
<Mandy, quest’anno ti sei proprio superata.>
Lascio il braccio del serpente per abbracciare la mia amica, e le sorrido fiera, fiera di me e fiera di lei.
<Sei bellissima, B.>
<Lo so.>
Sorride e lancia uno sguardo alle mie spalle, verso Maverick.
<Ehi, Mav.>
Mav? Mi trattengo dal ridere.
<Chiamami se ti viene sete.>
Non mi giro per contemplare la reazione di Maverick, Betty mi fa l’occhiolino e poi si allontana.
Quando mi volto verso il serpente, lo trovo a qualche passo da me.
Si guarda intorno quasi nervoso, tiene le braccia lungo i fianchi e fa apri e chiudi con le mani.
<Che ti prende?>
Gli dico quando mi avvicino, lui mi guarda di scatto come se si fosse dimenticato della mia presenza, o di quella di chiunque altro, poi si schiarisce la gola.
<Niente, perché?>
<Sembra che tu sia in procinto di vomitare.>
<Sto bene.>
Sorride e si infila le mani in tasca.
<Vado a prendere da bere.>
Si allontana senza darmi il tempo di replicare, senza neppure chiedermi se anch’io avessi voglia di bere. Effettivamente, si, ne ho voglia. Intercetto un cameriere con un vassoio ancora pieno e lo raggiungo.
Prendo un primo bicchiere e lo butto giù con un sorso, mentre il ragazzo con il vassoio in mano mi guarda sbigottito, poi rimetto sul vassoio il bicchiere vuoto e ne prendo un altro pieno.
<Grazie.>
Gli sorrido e mi allontano, mentre lui mi fissa immobile. Deve essere uno dei ragazzi che papà ha assunto di recente, perché non ho idea di chi sia.
Due ore e sette bicchieri dopo, la testa mi gira e Maverick mi da su i nervi.
Non vedo il serpente da circa un’ora, l’ultima volta l’ho intravisto vicino ad uno dei tavoli da poker. Osservava la partita con sguardo assente, le mani in tasca e le labbra ridotte ad una linea sottile.
Forse a questo punto è andato via. Non credo che questo tipo di eventi faccia per lui, dato che ormai c’è gente che balla di qua e di là, chi impreca ai tavoli da poker, e chi cerca un accompagnatore per la notte.
Non capisco come la sua presenza qui possa essere stata utile per la nostra recita, però, dato che non ci siamo mai fatti vedere insieme.
La mia testa inizia a farsi pesante, e improvvisamente sento la necessità di un po' di pace e di una boccata d’aria.
Ma come posso trovare pace con Maverick che mi perseguita?
Mi guardo intorno picchiettandomi il dito indice sul mento, alla ricerca di una via di fuga. Sorrido perfida quando intercetto la soluzione al mio problema.
Mi avvicino a Betty con passo lento, mentre lei si appoggia al bancone del bar, in attesa che Daniel le riempia nuovamente il vassoio.
<Ehi,B.>
Mi appoggio al bancone con la schiena, al suo fianco, tenendo d’occhio Maverick che per fortuna si tiene a debita distanza.
<Che ti serve?>
Quanto mi conosce.
<Che ne dici di passare un po' di tempo con Mav?>
Quasi scoppio a ridere pronunciando quel nomignolo.
<Dove devi sgattaiolare?>
Si appoggia anche lei al bancone con la schiena, e adesso entrambe osserviamo la guardia del corpo, che è improvvisamente interessato al pavimento del Saudade’s.
<Solo a prendere una boccata d’aria in santa pace.>
Betty mi sorride e si allontana dal bancone.
<Mi sei debitrice, Amanda Martin.>
Si avvicina a lui, e quasi lo vedo arrossire quando gli rivolge la parola. Aspetto che Betty lo faccia girare di spalle e poi mi affretto verso le porte.
Arrivo all’ascensore senza problemi,e premo il pulsante per l’unico posto che mi dona una pace assoluta.
Quando arrivo sul tetto dell’alto palazzo, prendo una profonda boccata d’aria e mi godo il venticello autunnale che mi pizzica le guance.
Pace. Finalmente.
<Come hai distratto Maverick? Scommetto che Betty c’entra qualcosa.>
Quasi salto dallo spavento, ma mi do un contegno riconoscendo la sua voce.
Il serpente sta seduto sul parapetto, con una gamba sul pavimento e l’altra a penzoloni nel vuoto.
<Che cavolo ci fai tu qui?>
<Fai sempre la stessa domanda?>
<Si, se tu continui a presentarti dove non dovresti.>
Sorride e si volta verso le luci sotto di noi.
<A quanto pare non dovrei stare in molti posti, allora.>
Mi avvicino a lui, prendendo un respiro. Poggio i palmi sul parapetto e guardo giù, verso le luci di Las Vegas.
<Come sai di questo posto?>
Chiedo, senza guardarlo, e neppure lui si volta verso di me.
<Non lo sapevo, prima di adesso.>
<Allora come ci sei arrivato?>
<Ho seguito le scale finché non sono finite.>
Mi volto di scatto verso di lui e quasi scoppio a ridere.
<Sono dodici piani.>
Lui mi guarda, inclinando le labbra verso il basso.
<Ci è voluto un bel po' di tempo, in effetti.>
Mi stupisco della risata che mi esce spontanea, mentre lui mi guarda senza dire una parola, inclinando la testa di lato.
<Cos’hai da guardare così tremendamente serio?>
<Sei bella.>
Vorrei arrossire, o forse sorridere, o forse dargli uno schiaffo.
Come gli viene in mente di dire una cosa del genere?
Come se lui non fosse il serpente e io la sua preda, come se tra noi non ci fosse un odio nascosto. Come se credesse davvero a quelle due parole.
Sei bella.
È passato tanto tempo dall’ultima volta che qualcuno me l’ha detto, e non per portarmi a letto.
Mi volto verso la città, senza ringraziarlo o rivolgergli un timido sorriso.
Per un po' cala il silenzio tra di noi, mentre entrambi osserviamo le luci delle insegne che sfavillano sulla Strip.
<So cosa ti è successo prima, quando siamo arrivati.>
Dico ad un certo punto, rompendo il silenzio.
<Ah, si? E di che si tratta?>
<Era un attacco d’ansia.>
Lui non dice niente, e per un po' neanch’io parlo. Forse ho sbagliato a toccare questo tasto, ma ormai è tardi per tornare indietro.
<Ne soffri da molto? Sai, ci sono un sacco di esercizi che aiutano, un po' complicato trovare quello che fa al caso tuo, ma con un po' di tempo e con un aiuto potresti...>
<Non farlo.>
La sua voce è così ferma che mi zittisco di colpo.
<Fare cosa?>
Quando mi volto verso di lui lo vedo osservare il vuoto sotto la sua gamba sinistra, e un velo scuro si è abbassato sui suoi occhi.
<Non compatirmi, non me lo merito.>
<Io...>
Cerco per un attimo le parole giuste da rivolgergli, eppure non le trovo subito. È così strano vederlo in questo modo, come se tutta la sicurezza che ha ostentato fino ad ora fosse sparita di colpo.
<Non ti compatisco. È solo che avevo un amico, un po' di tempo fa, che aveva lo stesso problema. Perciò ho letto qualche libro sull’argomento, perché volevo aiutarlo, ma non me ne ha dato il tempo. Ne so qualcosa, insomma.>
<E dov’è adesso, questo tuo amico?>
Stavolta sono io a voltarmi verso il vuoto sotto di noi.
<In un posto migliore di qui, forse.>
Forse Ethan ha trovato il suo posto nel mondo, adesso, magari ha trovato la sua felicità.
<Posso farti una domanda?>
Mi chiede, serio, distogliendo lo sguardo dal vuoto per rivolgerlo a me.
<Puoi farmi tutte le domande che vuoi, serpente, ma non è detto che io voglia rispondere a tutte.>
Sorride, e per un secondo lo faccio anche io.
<Perché ti spogli con tanta facilità, e ti concedi agli uomini come se il tuo corpo non fosse da venerare? È come se non te ne importasse niente.>
<Perché non mi importa, infatti.>
Dico, di getto, tornando a guardare di sotto. Scossa dal rapido cambio di argomento, e da ciò che ha appena detto.
<Hanno preso tutto molto tempo fa, non è rimasto più niente sotto la pelle. Non c’è più niente da venerare o da proteggere,niente che possano portarmi via. Perciò non me ne frega un cazzo di chi mi tocca o perché lo fa, ormai è solo pelle.>
Senza dire una parola, scende dal piccolo muretto con la grazia di un dio, e si incammina verso la porta. Io lo guardo camminare, attonita, come se non avesse per niente ascoltato ciò che gli ho appena detto.
<Tutto ciò che sei è da venerare e da proteggere, Amanda.>
Apre la porta e sparisce nel buio delle scale, senza darmi il tempo di rispondere o aggiungere altro.
Mi lascia nel silenzio di quel tetto, che improvvisamente mi sembra troppo grande e troppo buio per regalare pace.
È stato come se gli avessi dato una risposta che non voleva sentire, come se le mie parole l’avessero in qualche modo ferito o disturbato.
Qualche minuto dopo la porta del tetto si riapre, e quando mi volto ci trovo davanti Maverick, con le spalle dritte e le mani dietro la schiena.
Non mi guarda, né mi parla, mentre io gli passo davanti a testa bassa per dirigermi nella mia stanza.
Forse, di fronte a ciò che ho detto al serpente, avrei dovuto sentirmi triste.
Forse avrei dovuto provare qualcosa ammettendo che non rispetto il mio corpo, perché ormai da tempo non lo sento più mio.
Eppure, quando mi distendo sul letto ancora vestita e guardo il soffitto buio della mia stanza, non sento niente.
Solo il vuoto.
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Bluff
RomanceLa vita a volte somiglia ad una partita di poker, e Amanda lo sa bene. Per questo motivo ogni giorno mette in pratica gli insegnamenti di Ethan, il suo primo amore. Ethan le ha insegnato tutto sul poker, regole e trucchi, e Amanda custodisce le su...