Dentro una bolla di vetro

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Il tempo ha uno strano modo di scorrere, a volte.
A volte va troppo veloce, e rapisce i respiri, facendoci vivere in apnea.
È come essere costantemente sommersi dalle onde, ancora e ancora, senza un attimo di quiete per tornare a galla e riprendere aria.
È così che mi sento a volte, in balia delle onde, in un mare agitato.
Così mi sono sentita nelle ultime settimane, immobile e sommersa, mentre il tempo scorre intorno a me, sempre troppo in fretta.
A volte ho l’impressione di lottare contro il vento, tentando di afferrarlo e chiuderlo in un barattolo, però lui è veloce e scaltro, non ci riesco a catturarlo.
Così scorre il tempo per me, in questo momento, e in tanti altri avvenuti in passato.
L’ultimo Natale trascorso con Ethan è stato meraviglioso, l’inizio di qualcosa che credevo essere la mia isola, lo spicchio di terra che mi strappa via dalle onde.
Invece si è rivelato essere solo la mia fine, l’inizio di un’agonia frastornante e incessante.
Se ci penso, sento ancora le sue mani dipingere su di me, facendomi sentire come una tela bianca che finalmente trova i suoi colori, il pittore che la trasforma in ciò che è destinata ad essere.
Sento ancora i suoi baci, delicati e incerti, posarsi sulla mia pelle lasciandosi dietro una scia di amore e di desiderio.
Quella è stata la prima volta che ho fatto l’amore.
Non era sesso, era amore candido, al sapore di vaniglia, colorato di un bianco pulito.
Era lui, dolce e sicuro, e io, felice e spaventata.
Quel momento è stato tante cose, ha cambiato tante cose dentro di me, alterando tutti i miei sensi.
Allora non lo sapevo che quelli sarebbero stati i nostri ultimi baci, e che la prima volta in cui Ethan mi toccava era in realtà l’ultima.
Non lo sapevo che quei ti amo sussurrati non sarebbero mai stati urlati davanti al mondo, e che da lì a poco lui sarebbe diventato solo un’ombra nascosta tra i ricordi.
Non sapevo che sarebbe andato via, promettendomi di tornare, lasciandomi ad aspettare.
Ho aspettato per cinque lunghi giorni, giorni infiniti, giorni spenti.
Due giorni, aveva promesso, due giorni e sarebbe tornato da me.
Il solito tempo che si concedeva dopo aver giocato una partita importante.
Poi tornava, tornava sempre, con i capelli tagliati e una camicia nuova.
Tornava sempre.
Quella volta però…
i giorni sono diventati cinque, e poi una settimana, ma io ho aspettato.
Continuavo ad aspettarlo e sapevo, ero sicura, che sarebbe tornato da me prima o poi.
Nel frattempo ho fatto l’unica cosa mi teneva ancora legata a lui, l’unica che mi faceva rimbombare la sua voce nella testa.
Ho giocato a poker.
Volevo renderlo orgoglioso, volevo dargli un valido motivo per tornare, volevo che capisse che ne valeva la pena.
E così giocavo e giocavo, partite su partite, ore, e giorni, e notti intere.
E poi vincevo, vincevo sempre, proprio come lui.
Con eleganza e compostezza, indossavo abiti eleganti e svuotavo le tasche degli uomini grossi e rozzi che puzzavano di sigaro e rum.
Mi sentivo una regina guerriera, che spodesta qualsiasi avversario e fa il bagno tra le ricchezze.
Giocavo e aspettavo, tutti i giorni, sempre.
Però non lo sapevo che lui non sarebbe più tornato, e che la notte di capodanno avrei giocato una partita maledetta.
Una partita che ha trasformato i miei sogni in incubi, che ha spento il sorriso del mio papà, e che mi ha lasciato un marchio indelebile sulla pelle.
Ho giocato la partita sbagliata, quella notte, e ho pagato con la mia pelle i debiti che Ethan si è lasciato alle spalle.
La mia unica colpa è stata amarlo, così mi sono condannata.
<Allora?>
La voce di papà mi richiama alla realtà, facendomi abbandonare i ricordi.
<Ti piace il mio regalo?>
Giro tra le mani il libro che ho appena scartato, accarezzo la copertina e sorrido debolmente.
Madame Bovary.
Un grande classico a cui sono legata in maniera quasi ossessiva, e che amo oltre ogni misura. Solo papà poteva farmi un regalo così azzeccato.
Si tratta di una vecchia edizione ormai quasi introvabile, che ho adocchiato da tempo ma non sono mai riuscita a comprare.
<Lo adoro, papà. Grazie.>
Mi alzo dal letto su cui stavo seduta con le gambe incrociate, e mi avvicino a lui per gettargli le braccia al collo.
Quando mi stringe, assaporo il profumo familiare che sa di casa, e mi godo il calore della stretta forte del mio papà.
Io amo mio padre, lo amo con tutto il mio cuore, e con l’anima immortale che mi possiede. Lo amo oltre ogni confine, in maniera quasi folle, che supera i cieli e i pianeti, e le galassie.
Mio padre è tutto per me, è una boccata d’aria, una pacca sulla spalla, uno sguardo stanco o un bacio dolce.
Io senza di lui sono niente, sono come un albero senza foglie, o un mare senza pesci.
Il nostro rapporto è cambiato da quella notte di ormai cinque anni fa, ma il mio amore per lui resta lo stesso, ed anche il suo per me.
Io so capire dal suo sguardo quando è stanco, quando è contrariato o quando è solo annoiato. So cosa gli piace mangiare, e cosa invece gli da il voltastomaco.
So che gli piacciono i film horror, e che invece di spaventarlo lo fanno ridere.
So anche che d’inverno soffre tanto il freddo, e che gli piace coprirsi con maglioni paffuti quando nessuno può vederlo e ridere di lui.
So che non gli piace uscire quando nevica, anzi non gli piace proprio la neve, però gli piace starsene davanti la finestra a guardarla danzare nel cielo.
Lui è parte di me, è grazie a lui se ho appreso tutte le cose che so sul mondo, grazie alle sue lezioni e ai suoi insegnamenti.
È stato lui ad insegnarmi a nuotare e ad andare in bicicletta, e se ci sono riuscita è solo perché sapevo che lui non mi avrebbe mai lasciata annegare o cadere.
Lui è il mio gigante buono, il mio supereroe, il mio porto sicuro in un mare in tempesta.
Comunque vada, anche a pezzi, ferita, malmessa, so che potrò sempre correre da lui, e so che lui mi aspetterà sempre a braccia aperte.
Anche se a volte è scontroso da irritare, ma questo fa parte dell’essere un Martin.
E se sono quella che sono oggi, è solo grazie a Christopher Martin, il mio papà.
<Buon Natale, bambina.>
Sorrido, ancora stretta tra le sue braccia, con la sua mano ad accarezzarmi le punte dei capelli tali e quali ai suoi.
<Buon Natale, papà.>
Scioglie l’abbraccio in cui io avrei preferito perdermi, e mi posa una rapida carezza leggera sul viso.
<Hai fatto un buon lavoro.>
Si riferisce all’organizzazione della festa di Natale, ma tradotto nella sua lingua significa ti voglio bene.
Sorrido sia con gli occhi che con il cuore e, rapidissima, mi sporgo leggermente in avanti per depositargli un bacio veloce sulla guancia.
<Hai chiamato la mamma?>
Annuisco, mentre lui si infila le mani in tasca e si avvicina alla porta.
<Come sta? Va tutto bene?>
Il suo sguardo si rabbuia sempre un po' quando ci tocca parlarne, io so quanto amore c’è ancora in lui per lei, ma so anche che la mamma ha trovato la felicità da un’altra parte.
Vorrei con tutto il cuore, l’ho sempre voluto, che fossero stati uno la felicità dell’altra, ma a volte si viaggia su due frequenze troppo diverse per incontrarsi a metà strada.
<Sta bene. Lei...>
Faccio qualche passo indietro, e mi risiedo sul bordo del letto.
<Vorrebbe che andassi a trovarla.>
Il suo sguardo si rabbuia ancora un po', ed io so bene che il pensiero che me ne vada fa male ad entrambi.
<Dovresti farlo.>
Mi dice, mentre il mio sguardo si addolcisce vedendolo mettersi da parte affinché anche la mamma possa stare un po' con me.
<Anche lei ha bisogno di te.>
Sorride, avvicinandosi ancora di più alla porta, per andare via.
Il pensiero di lasciarlo mi fa sempre male, lasciare lui e la mia casa, mi strazia il cuore.
Sento sempre che hanno bisogno di me qui, lui e il Saudade’s, ma forse sono io che ho bisogno di loro.
<Ci penserò.>
Concludo, e lui posa la mano sulla maniglia e apre la porta.
<Papà?>
Si gira di mezzo lato per ascoltarmi, con ancora la mano sulla maniglia e la porta semi aperta.
<Lei come si chiama?>
All’inizio, l’idea che papà potesse avere una fidanzata, o che lei potesse entrare a far parte della nostra vita, mi mandava fuori di testa.
Da quando la mamma se n’è andata siamo sempre stati noi e il Saudade’s, ed io avrei tanto voluto restare così per sempre.
In cuor mio so che papà non amerà mai qualcuno allo stesso modo in cui ha amato la mamma, ma se esiste qualcun altro in grado di renderlo felice anche solo la metà a me va bene.
Lo vedo sorridere di mezzo lato, il viso illuminato dalla luce del corridoio oltre la porta.
<Si chiama Meredith.>
<Meredith.>
Ripeto, sorridendo e incrociando nuovamente le gambe sul letto.
<Mi piace.>
Vedo sorridere anche lui, aprendo di più la porta.
<Buona notte, Mandy.>
Dice, mettendo un piede fuori.
<Buona notte, papà.>
Esce in silenzio, ma con il sorriso sulle labbra, e so che ha capito perfettamente cosa ho voluto dirgli senza farlo apertamente.
Purché tu sia felice.
È ormai mezzanotte passata quando papà va via, ciò significa che è ufficialmente finito il Natale.
Sono stati giorni intensi, in cui non ho avuto neppure il tempo di pensare.
Ho dovuto organizzare gli eventi al Saudade’s per le feste, comprare i regali per papà, Betty e Daniel, addobbare il casinò e assicurarmi che fosse tutto perfetto.
Il mio lavoro non si può dire concluso, dato che c’è ancora da pensare alla festa con tutto lo staff, e all’ultimo dell’anno. Ma, per questa sera, credo di essermi meritata un po' di riposo.
Mi avvicino all’armadio slacciandomi la cerniera laterale del lungo abito che ho indossato per la grande festa di Natale, e lo lascio ricadere sul pavimento. Me ne libero uscendo prima un piede e poi l’altro. Resto con indosso solo le mutandine, e prendo dall’armadio la prima t-shirt oversize che mi capita a tiro.
Me la infilo mentre cammino in direzione del letto, e mi ci butto sopra sfinita.
Assumo la posizione di una stella marina, spaparanzandomi sul materasso, fissando il soffitto.
Trascorre qualche minuto, in cui rifletto sulle giornate trascorse, e sulle settimane precedenti.
Maverick è rimasto al mio fianco in tutti i giorni seguenti a quella notte, senza lasciarmi mai.
Gli ho chiesto più volte se fosse stato Logan ad ordinarglielo, in qualità di capo, ma ha sempre risposto che restava con me per volontà sua.
Anche Tom è passato a trovarci qualche volta, e mi ha sempre sorriso caloroso.
Maverick è andato via prima della vigilia di Natale, anche se più che altro ho dovuto sbatterlo fuori. Volevo che trascorresse il Natale con i suoi amici, che poi sono anche la sua famiglia, o comunque con chiunque volesse.
Non sarebbe stato giusto trattenerlo qui con me, anche se Betty l’avrebbe molto apprezzato.
Negli ultimi giorni, tra l’altro, li ho beccati più volte a sorridersi e ad osservarsi l’un l’altra. Le guance di Mav si sono sempre colorate di rosso quando si accorgeva del mio sguardo malizioso.
Prima di andarsene mi ha lasciato un pacchetto ricoperto da carta natalizia davanti la porta, in cui ho trovato una felpa con sopra stampato un orsetto paffuto e peloso. Non proprio nel mio stile, devo ammetterlo, ma mi ha comunque strappato un sorriso. Devo ricordarmi di fargli un regalo anch’io, prima o poi.
Non ho più visto o sentito Logan, dopo quella notte, non che io ci abbia mai provato.
Ho ripensato molto alle parole di Maverick, a quella storia dell’essere il suo arcobaleno, e ogni volta in mio cuore prende a martellare nel petto, così tanto che vorrei strapparlo via e gettarlo lontano.
Ho deciso di darmi tempo, però, sia a me che a lui.
Ci sono tante cose su cui riflettere, la mia vita era già incasinata prima, ma da quando è arrivato lui è diventato tutto un gran casino.
Tre colpi decisi alla porta mi aiutano a scacciare via i pensieri che stavano per prendere il sopravvento, e per un primo momento aggrotto le sopracciglia, chiedendomi chi possa essere.
Con espressione interrogativa mi alzo dal letto e mi infilo un paio di pantaloni della tuta che ritrovo abbandonati vicino l’armadio. Chiunque sia, non mi va di lasciargli vedere la cicatrice sulla gamba.
Non faccio in tempo a raggiungere la porta che bussano una seconda volta, e a questo punto mi indispettisco.
Quando la apro, cercando di abituare gli occhi alla luce forte del corridoio, trovo Dotty in piedi con un pacchetto tra le mani.
Ha l’espressione seccata, tipica di chi sta facendo qualcosa controvoglia.
Senza dire una parola, allunga le braccia e mi passa il pacchetto ricoperto da una carta rossa.
<Che cosa sarebbe?>
Le chiedo, guardandola stranita.
<Cosa vuoi che ne sappia io?>
Aggrotto ancora di più le sopracciglia, e studio il pacchetto che tiene tra le mani.
<Mi hai fatto un regalo?>
Sorrido dispettosa, e lei indurisce i lineamenti del suo volto.
<Non me lo sogno neanche di spendere il mio misero stipendio per fare un regalo a te.>
La guardo male, perché il suo stipendio di certo è tutto tranne che misero.
<Allora cos’è?>
Chiedo ancora, sospettosa. Per quanto ne so, potrebbe anche essere una bomba.
<Ancora? Non ne ho idea. L’ho trovato alla reception, c’è scritto sopra il tuo nome, non ho trovato nessuno da obbligare a portartelo, e così ecco qua.>
Spinge ancora di più il pacchetto verso di me, mentre io lo studio attentamente, abbassandomi fino a raggiungere l’altezza delle sue braccia sospese in aria.
<Se non me lo togli di mano entro tre secondi lo lascio cadere per terra.>
Risponde acida, e a questo punto io torno dritta sulla schiena e glielo strappo di mano.
<Grazie.>
Le dico, quasi urlando mentre lei inizia a camminare per andarsene.
<Mi merito un extra.>
Continua a camminare ondeggiando una mano in aria a modi saluto.
Scuotendo la testa rientro in camera chiudendo la porta alle mie spalle, e deposito il piccolo pacchetto sul letto.
Resto in piedi a fissarlo per qualche minuto, cercando di farmi un’idea di chi possa averlo lasciato.
È incartato con una carta rossa che riflette la luce, e sopra c’è un grosso fiocco verde, che tiene un piccolo pezzo di carta su cui sta scritto il mio nome.
Non mi sembra di riconoscere la calligrafia sulla carta, e tutti i miei amici mi hanno già fatto regali in abbondanza.
Alla fine, prendendo un lungo respiro di timore e rassegnazione, mi inginocchio sul pavimento e prendo il pacchetto tra le mani.
Lo scuoto appena per cercare di indovinarne il contenuto, ma sembra non muoversi nulla al suo interno.
Tolgo il grosso fiocco verde, insieme alla targhetta con il mio nome, e scarto la carta rossa rivelando una piccola scatola chiusa con dello scotch.
Adagio il pacchetto sul pavimento e corro a prendere le forbici in bagno, poi mi siedo per terra e taglio lo scotch aprendo la scatola.
La prima cosa che mi si presenta davanti è una piccola cartolina adagiata su un letto di vellutato cotone, che mi ricorda tanti pezzetti di nuvola . Estraggo immediatamente la cartolina, e la giro per leggerne il contenuto scritto dietro.

L’ho catturato dentro una bolla di vetro, per quando sei lì fuori e piove.
Buon Natale, asso.

Il cuore inizia a battermi all’impazzata, e nel mio stomaco si fa spazio una strana sensazione.
Poggio la cartolina sul pavimento e infilo una mano nella scatola per estrarne il contenuto, facendomi spazio tra i batuffoli di cotone.
Mi manca il respiro quando lo vedo.
Tra le mani tengo una palla di vetro, di quelle che quando le scuoti danzano i fiocchi di neve.
Solo che al suo interno, invece del solito pupazzo di neve, c’è un enorme e colorato arcobaleno.


Solo che al suo interno, invece del solito pupazzo di neve, c’è un enorme e colorato arcobaleno

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