Colpevole

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Il rosso del sangue spicca sul pavimento, come se fosse stato gettato del colore dentro una voragine nera.
Ed io vedo solo quello, i miei occhi non riescono a concentrarsi su nient’altro.
Respiro a fatica, e le lacrime mi rigano il viso, facendolo bruciare come se fosse ricoperto da graffi. Percepisco il freddo del pavimento sulle gambe nude, e improvvisamente vorrei correre a lavarmi le mani, per far sparire il sangue che le ricopre.
Ma le mie mani sono pulite, esili e lisce, come sempre.
Eppure io le sento sporche, macchiate, ricoperte dalla scritta “colpevole”.
Ho sparato.
Ho premuto quel grilletto, ho sentito tra le mie mani il movimento della pistola mentre sputava fuori il proiettile.
Ho colpito.
Ho centrato, sparato, e colpito.
E lui ha sanguinato.
Ha sanguinato premendosi il palmo sulla coscia, lasciando macchie sul pavimento fino all’ascensore.
Ho sparato
ho sparato
ho sparato.
Logan assapora l’aria ancora disteso sul pavimento, se la gode, grato di averla riavuta indietro.
Io gliel’ho restituita.
Ho sparato.
Quando finalmente il suo respiro torna regolare, si mette seduto e mi guarda, poi segue la traiettoria del mio sguardo e nota dove ho lasciato che si soffermasse.
<Ehi.>
Dice, ma io non ci riesco a distogliere lo sguardo, non ce la faccio.
Colpevole.
Il cuore mi batte veloce, e le mani mi tremano mentre le lascio ricadere sulle ginocchia piegate sul pavimento.
Sto respirando regolarmente? Sto sbattendo le palpebre? Non so proprio dirlo, il tempo si è fermato.
Logan si alza senza emettere un suono, niente che lasci dedurre che ha quasi sfiorato la morte pochi minuti fa.
Si inginocchia di fronte a me, e io continuo a fissare il pavimento alle sue spalle, anche se ormai ha coperto le macchie rosse con il suo corpo.
Mi prende il viso tra le mani, ed io lo lascio fare mentre mi fa girare a guardarlo negli occhi.
Niente più rosso, solo un grigio vivo e confortevole. Accogliente, familiare.
Un posto sicuro.
<È finita.>
Dice, disegnando con i pollici dei piccoli cerchi sulle mie guance.
<È tutto finito.>
A questo punto le lacrime iniziano a scendere con più prepotenza, e i singhiozzi mi escono di getto, stanchi di essere repressi.
Una mano grande e forte mi si posiziona dietro la nuca, e il serpente mi spinge con delicatezza verso il suo petto.
Mi appoggio nell’incavo tra il suo collo e la spalla, e il suo profumo di gelsomini mi calma. Però continuo a piangere, in maniera rumorosa e disperata.
Piango mentre lui mi tiene stretta, e muove le dita tra i miei capelli, dolci e sicure.
Sento dei passi svelti avvicinarsi a noi, ma Logan non si muove, ed io resto accovacciata tra le sue braccia, ormai abbandonata sul suo grembo.
<Che cazzo è successo?>
Urla Maverick, in piedi accanto i nostri corpi avvinghiati sul pavimento.
<Siete...>
La voce quasi tremante di Tom allarma i miei sensi, tanto che vorrei abbracciare anche lui, se solo riuscissi a muovermi.
<Siete feriti?>
Conclude, dopo aver attinto al suo autocontrollo.
<Stiamo bene.>
Gli risponde Logan con voce sicura, spostando una mano sotto le mie ginocchia e l’altra intorno alla mia vita, strappandomi via dal pavimento ormai gelido sotto di me.
<Stiamo bene.>
Ripete quelle due parole quasi in un sussurro, questa volta per convincere più sé stresso che gli amici preoccupati.
Li lascia a guardarlo increduli dal fondo delle scale, mentre lui inizia a salire, stringendomi forte come terrorizzato dall’idea che possa lasciarmi cadere.
Sbircio la sua espressione da sotto il suo mento, le labbra sono strette in una linea sottile, le sopracciglia leggermente aggrottate, e gli occhi…i suoi occhi sembrano tristi.
Quando arriviamo alla mia camera la porta è già spalancata, e le luci della città entrano dalla finestra, un po’ tremolanti.
Mi lascia scivolare sul bordo del materasso, e quasi sussulto quando i miei piedi percepiscono di nuovo il freddo del pavimento.
Lui si ferma in piedi davanti a me, mi osserva per qualche minuto mentre io fisso i suoi piedi nudi come i miei, non mi ero accorta che fosse senza scarpe.
Avvicina lentamente una mano al mio viso, e fa scivolare due dita sotto al mio mento, per convincermi ad alzare la testa e guardarlo.
Ma non ce la faccio a guardarlo negli occhi, perché i miei ora sono macchiati da una parola invisibile, e non voglio che lui li veda.
Colpevole.
Mi sottraggo al tocco delle sue dita con uno scatto, e lui le allontana senza dire una parola, a quel punto prendo a guardarmi le mani abbandonate in grembo.
<Devo lavarmi le mani.>
Dico, alzandomi dal letto e correndo verso il bagno.
Spalanco la porta, e non mi soffermo neppure ad accendere la luce. Arrivo alla cieca al lavandino, apro il rubinetto dal lato dell’acqua fredda, e prendo la saponetta consumata.
Infilo le mani sotto il getto dell’acqua e inizio a sfregare.
Sfrego e sfrego, forte, fortissimo.
Sfrego la saponetta sulle mani, e poi le mani una con l’altra.
Cerco di pulire a fondo, anche a costo di strapparmi via la pelle, ma le devo pulire.
Perché sono sporche.
<Credo basti così.>
Logan non accende la luce del bagno, mi parla da davanti la porta, con le mani chiuse a pugno lungo i fianchi.
<No che non basta.>
Dico, e continuo a sfregare e sfregare, mentre i capelli mi ricadono sul viso.
<Sono sporche, non lo vedi? Ho le mani sporche.>
E sfrego e sfrego.
Lui cammina di qualche passo e mi raggiunge, ancora immersi nel buio si ferma dietro di me.
<Le tue mani non sono sporche, asso.>
<Si, invece. Non lo vedi? Sono sporche.>
Fa scorrere le sue mani lungo le mie braccia, mi sfiora con tocco leggero, fino a raggiungere le mie sotto il getto freddo.
Bagna anche la sua pelle con quell’acqua gelata, e lascia scivolare le sue dita tra le mie.
<Allora lava anche le mie.>
Smetto di sfregare, ma continuo a guardare verso il lavandino buio sotto di me, percependo il suo petto sollevarsi alle mie spalle.
<Le tue non sono sporche.>
<Si, invece. Più delle tue.>
La saponetta mi cade dalle mani, e resta immobile sotto il getto dell’acqua, mentre le nostre mani si ritraggono.
Prendo un lungo respiro, alzando la testa verso lo specchio che però non cattura nessuna immagine del buio intorno a noi.
<Io...io ho...>
Logan avvicina le nostre mani giunte intorno ai miei fianchi, e intreccia le nostre braccia sotto al mio seno.
<Lo so.>
Dice, abbassandosi a baciarmi la nuca, mentre io ricomincio a piangere.
Restiamo così per un po',io che piango e lui che mi stringe, finché non lascia andare una delle mie mani e si sporge per chiudere il rubinetto.
Adesso il silenzio nella stanza è assordante, ma i miei singhiozzi si sono calmati.
Si sposta dietro di me, e tenendomi per mano mi conduce verso il letto.
Si sdraia per primo, poi tira leggermente la mia mano e fa sdraiare anche me, tra le sue gambe, con la testa poggiata al suo petto.
Restiamo in silenzio, mentre le luci della città brillano intorno a noi, e la luna sul quadro ci osserva.
<Amanda.>
Rompe il silenzio, con voce fragile, indecisa.
<Si?>
Mi sforzo per rispondere.
<Mi hai salvato la vita.>
Il suo profumo mi calma un’altra volta, e le sue dita si intrecciano alle mie, facendomi sentire protetta.
Il suo petto che si alza e si abbassa sotto di me aiuta il mio respiro a regolarizzarsi, e dopo un tempo che mi è parso infinito il mio cuore finalmente si calma.
Le palpebre si fanno pesanti, e io non lotto per tenerle aperte, mentre l’immagine della luna davanti a me si fa via via più sfocata.
<Ma la prossima volta non frapporti tra me e la morte.>
Con queste parole a rimbombarmi nella mente mi lascio andare ad un sonno profondo e pieno di incubi.

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