<Chi ti ha insegnato a cucinare?>
Osservo la schiena di Logan, seduta su uno sgabello, i gomiti poggiati al bancone della cucina.
Sono rimasta più che sorpresa quando si è proposto di cucinare la colazione per me, ma ho accettato senza indugi.
Dopo tutto quello che è successo tra ieri e questa mattina, starmene seduta qui a guardarlo cucinare mi manda in estasi più del sesso.
Non che quello mi sia dispiaciuto, anzi, è stato…
non trovo neppure le parole per descriverlo, è stato qualcosa che il mio cuore riesce a reggere a stento.
<Nessuno, ho imparato da solo.>
Risponde dopo qualche minuto, spadellando.
<Come mai?>
<Beh>
Un profumo dolciastro e meraviglioso fluttua nell’aria, ed io mi riempio le narici.
<O imparavo, oppure digiunavo.>
Mi muovo sullo sgabello, mentre lui si sposta da un angolo all’altro della cucina, completamente a suo agio.
Non credevo fosse questo tipo di uomo, anzi, con tutti quei soldi credevo avesse come minimo uno chef privato.
Eppure...non ho mai visto nessuno in questa casa, oltre Maverick e Tom.
<Tua mamma non cucinava per te, da bambino?>
Alla mia domanda segue un suo lungo silenzio, e il mio cuore inizia a battere veloce, sentendosi in colpa.
<Amanda...>
Inizia, ma la sua voce non suona come un rimprovero.
<Si?>
<Non fare più questo tipo di domande.>
Si volta a guardarmi, serio.
<Ti prego.>
Aggiunge poi, diventando più tenero.
A questo punto capisco che è meglio non insistere, ma di certo non eviterò domande del genere per sempre.
<Altrimenti?>
Lo sfido, portandomi una mano sotto al mento.
<Altrimenti...>
Si rigira verso i fornelli, spegne il fuoco e poi svuota il contenuto della piccola padella su un piatto.
<Altrimenti niente colazione per te.>
Mi fa scivolare il piatto sotto al naso, e il profumo dei fumati french toast con delle piccole fragoline sopra, altera la chimica del mio cervello.
Smetto di fissarli con la bava alla bocca non appena lo sento scoppiare a ridere.
<Perché ridi?>
Domando, aggrottando le sopracciglia mentre lui si asciuga una lacrima invisibile.
<Li guardi come se non vedessi del cibo da ore.>
Le mie sopracciglia formano un arco, e lui smette di ridere piano quando nota la mia espressione.
<In effetti è così, cretino.>
Questo è il suo turno di aggrottare le sopracciglia, ed io mi chiedo come abbia fatto a non rendersene conto.
<Ti ricordo, mio caro serpente, che sono arrivata qui ieri che era solo tardo pomeriggio.>
Lo vedo fare due calcoli mentali, spostando le pupille a desta e a sinistra.
<Dopo mi hai presa in ostaggio, facendomi saltare la cena.>
Chiarisco anche per lui, e a questo punto il suo sorriso ritorna.
<Ah, sarei io quello che ti ha presa in ostaggio?>
Gira intorno al bancone, raggiungendomi, e si ferma davanti a me. Io allargo le ginocchia per lasciargli più spazio, e lui si avvicina prendendo il mio viso tra le mani.
<A me è sembrato tutto il contrario.>
Puntualizza, mentre anche a me scappa un sorriso.
<Punti di vista.>
Alzo le spalle e lo guardo dal basso della mia posizione, mentre lui sorride sornione, e poi mi bacia il naso.
<Mangia adesso.>
Mi ordina, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
<E tu?>
Guarda prima il piatto sul bancone alle mie spalle e poi me, come se si fosse appena reso conto di aver preparato la colazione solo per me.
<Ti va di dividere?>
Sorride, e si lascia cadere sullo sgabello al mio fianco.
Anch’io ancora con il sorriso, mi rigiro e avvicino il piatto. Poi recupero le posate che ha tirato fuori poco prima, e taglio un piccolo pezzo dal toast. Sistemo la forchetta tra le dita, e alzando in aria una mano l’avvicino alla sua bocca.
Proprio quando schiude le labbra per prendere la forchettata che gli sto offrendo, rido e la porto dritta nella mia bocca.
<Sei senza cuore.>
Mi dice, mentre io gusto la delizia che ha preparato.
<Non meriteresti neppure le briciole, dopo quello che mi hai detto quella notte al capannone abbandonato.>
La mia era solo una battuta, una inutile e stupida battuta.
Il mio intento era quello di scherzarci su, farci una risata sull’accaduto, perché ormai so che non pensa davvero quello che ha detto quella notte.
Ma il suo sguardo si rabbuia, e lascia i miei occhi come a voler scappare.
<Mi dispiace.>
Mi dice, a voce così bassa che lo sento a stento.
<Logan, io...>
Lascio andare la forchetta immediatamente, e mi sporgo per stringere la sua mano abbandonata sul bancone.
<Non importa.>
Gli assicuro, e i suoi occhi tornano su di me, il mio sguardo si addolcisce, mentre il suo si addolora.
<Sono stato pessimo, quel giorno, e molti altri prima di quello. Io...tu...>
<Ehi.>
Gli prendo il viso tra le mani, e mi alzo dal mio sgabello per sedermi sulle sue ginocchia. Lui mi accoglie, lasciandomi scivolare una mano sulla coscia, proprio sulla mia cicatrice.
<Non ti ho mai portato rancore per quello, neppure per il resto. Era...un gioco.>
Gli bacio una guancia, ma il suo viso non accenna a rilassarsi.
<Forse non la merito la tua gentilezza.>
<Preferiresti se tornassi a trattarti male?>
<Forse.>
Socchiudo appena gli occhi per osservarlo meglio, mentre i suoi sono ancora macchiati di tristezza.
<Così rinunceresti ai baci, le carezze, e...al sesso?>
Sorrido di sbieco, sicura di aver fatto la mossa perfetta.
<Dio, no. Quello mai.>
Scoppio a ridere, mentre lui stringe appena la pelle della mia coscia.
<Allora lamentati di meno e mangia di più, serpente.>
Senza alzarmi dalle sue ginocchia, mi riporto il piatto sotto al naso e taglio un altro pezzetto. Questa volta lo cedo a lui, però, mentre i suoi occhi tornano a sorridere.
Facciamo colazione così, come se fosse del tutto normale, come se l’avessimo già fatto centinaia di volte. Io seduta sulle sue ginocchia, ad imboccare entrambi, mentre lui mi accarezza le ferite ormai rimarginate.
È così che mi sento in questo momento, con tutte le ferite ormai cucite.
È come se avesse guarito ogni cosa, le cicatrici visibili e invisibili. Come se avesse preso un pennello e colorato ogni parete del mio cuore, con colori sgargianti e indelebili.
Ha scacciato ogni macchia di nero, ha aperto le finestre e fatto entrare l’arcobaleno.
Non c’è niente di strano in questo momento, sembra tutto familiare e abitudinario, come se questo spicchio di mondo fosse stato creato per me, e solo per me.
<Devo tornare a casa.>
Dico, a malincuore, guardando l’ora sul grande orologio sopra i fornelli, dopo aver finito di mangiare.
Logan mi sposta i capelli oltre la spalla e inizia a baciare quello spazio perfetto sulla clavicola, che sembra stato fatto apposta per accogliere le sue labbra.
<Devi proprio?>
Per istinto inclino la testa di lato per lasciargli libero accesso al mio collo, e lui sorride sulla mia pelle.
<Il tuo corpo non mi sembra per niente d’accordo.>
Fa notare, come se io non lo sapessi già.
Il mio corpo non è d’accordo, tutto il mio essere non lo è, ma la mia testa sa che devo.
<Devo finire di organizzare la festa per l’ultimo dell’anno.>
La sua mano strizza la pelle della mia coscia, ed io resisto all’istinto di sistemarmi meglio su di lui.
<Quasi dimenticavo che sta per iniziare un nuovo, patetico, anno.>
Anche mentre parla, continua a baciare la mia pelle, lasciandomi un caldo percorso addosso.
<Io adoro la festa di Capodanno al Saudede’s.>
Gli racconto, come se in questo momento potesse essere rilevante.
<Si indossano abiti eleganti, e ci si copre il volto con delle maschere.>
Adesso anche l’altra sua mano mi stringe la coscia, e la sua presa è forte e desiderosa. Desidera la mia pelle come io desidero la sua, è per questo che mi piego leggermente in avanti sul bancone.
<Non ci sono regole per notti come quella, eccetto una.>
Continuo, cercando di mettere in ordine le parole, mentre lui mi confonde e cerca di persuadermi con la bocca.
<L’uomo che ti trova allo scoccare della mezzanotte, e ti offre una peonia rossa...>
Interrompo il discorso quando lui piano muove le dita verso l’alto, fino ad arrivare sotto la mia gonna.
<Vuole portarti a letto.>
Conclude lui, ed io sbuffo una risata.
<Forse.>
Poggio una mano sulla sua, bloccando la sua scalata sul mio corpo, e porto la schiena contro il suo petto, lasciando che la sua bocca arrivi al mio orecchio.
<Ma se un uomo ti trova allo scoccare della mezzanotte, e ti dona una peonia rossa, da quel momento sei sua. Per quella notte, o magari anche per tutte quelle che verranno.>
Lo sento ridere, dopo aver passato la lingua sul mio lobo.
<È una stronzata.>
Scoppio a ridere anche io, allentando la tensione sul mio corpo.
<Probabilmente è così.>
Capendo le mie intenzioni, anche il suo corpo si rilassa, e le sue braccia mi cingono la vita, abbracciandomi.
<A te hanno mai regalato una peonia rossa l’ultimo dell’anno?>
<Oh, si.>
Mi scappa un’altra risata, e lui in risposta mi schiaccia di più contro il suo corpo.
<E poi che è successo?>
Mi sussurra all’orecchio, mordicchiandomi il lobo.
<Cose che solo i diavoli dell’inferno approverebbero.>
A questo punto una delle sue mani sale a sfiorarmi un seno.
<Ah, si?>
Sale ancora fino a raggiungere il mio collo, e poi tira leggermente il mio viso verso di lui per convincermi a guardarlo.
<Allora sarà meglio che quest’anno nessuno si avvicini a te.>
Mi ruba un selvaggio bacio veloce, prendendomi il labbro inferiore tra i denti.
<Altrimenti quello delle peonie non sarà l’unico rosso di cui si macchieranno le mie mani.>
Incastro i miei occhi nei suoi, e per un attimo il fuoco più distruttivo lampeggia in quelli di entrambi.
<Dovrai essere il più veloce, allora.>
Lo provoco, mentre sul suo viso riappare il volto del serpente.
<Preferisco andare piano, a dire la verità.>
Mi passa la lingua lungo il collo, ed io mi ritrovo ad inclinare la testa all’indietro.
<Piano, finché non arrivi a supplicare.>
Dannazione, di questo passo finirò per supplicare davvero.
<Ma non sarà difficile eliminare ogni misero moscerino che ti ronzerà attorno, quella notte.>
Alzo una mano scattante, intreccio le dita intorno al suo collo e lo allontano bruscamente dal mio, tornando a guardarlo.
<Allora ci verrai?>
Il mio sguardo si illumina di speranza, e lui sorride soddisfatto.
<Sarò quello vestito meglio.>
Mi fa l’occhiolino, ed io quasi vorrei mettermi a saltare dalla gioia.
Ma questo giochetto perverso mi ha solo sottratto altro tempo.
Gli poso un rapido bacio sulle labbra, e salto giù dalle sue ginocchia, tornando sulle mie gambe. Il suo sguardo è ovviamente contrariato, ma mi strappa un sorriso.
<Adesso devo andare davvero.>
<D’accordo.>
Lasciandomi attonita in cucina, prende a camminare e sparisce al piano di sopra. Io resto immobile chiedendomi se dovrei corrergli appresso oppure aspettare. Mi ha liquidata così?
Ma dopo minuti davvero, davvero, infiniti, torna al piano di sotto.
Non più a petto nudo adesso, ma con indosso dei pantaloni neri, una t-shirt bianca, e un luccicante giubbotto di pelle.
<Che cosa fai?>
Chiedo, confusa.
<Ti accompagno.>
Sorrido di mezzo lato, portandomi le mani dietro la schiena.
<Ah, okay.>
Mentre lui mi fissa inizio a camminare nella sua direzione, poi proseguo verso l’ascensore.
<Non così.>
Parla alle mie spalle, ed io mi fermo di colpo, voltandomi.
<Cosa?>
<Devi cambiarti.>
Gesù, ma ne sa una più del diavolo.
<Che c’è che non va adesso?>
Sorride, incrociando le braccia al petto.
<Non so dove Tom tenga le chiavi delle auto.>
Mi spiega, mentre io inclino le labbra verso il basso.
<Perciò posso riaccompagnarti soltanto in moto.>
Un enorme sorriso mi compare sulle labbra. Una moto, wow.
<E per quanto mi piacerebbe la vista degli uomini che vanno a fuoco osservando il tuo culo sul sedile.>
Alza un dito, e lo muove su e giù a indicare il mio vestito.
<Quel coso striminzito gli lascerebbe intravedere fin troppo, ed io poi dovrei cavargli gli occhi.>
Mi scappa da ridere, mentre lui si fa miseramente serio.
<Ti ho lasciato qualcosa di mio sul letto.>
Indica il piano di sopra con il mento.
<Non mi staranno i tuoi vestiti.>
<Fai in modo che coprano.>
<Ma...>
Provo ad obbiettare, ma lui mi guarda serio.
Alla fine, ridendo, mi incammino al piano di sopra.
Faccio ritorno qualche minuto dopo, con una t-shirt nera gigante, e un pantalone della tuta a cui ho dovuto legare un elastico per capelli, per evitare che ricada sulle caviglie.
<Sono ridicola.>
Incrocio le braccia al petto, ancora sulle scale, mentre lui mi osserva dal fondo e scoppia a ridere.
<Sembri una bambina.>
Ride, come uno stupido.
<Non è divertente.>
Lo rimprovero, scendendo qualche gradino.
<Se potessi vedere la tua faccia in questo momento rideresti anche tu.>
<Ah-ah.>
Lo prendo in giro, o forse prendo in giro me stessa.
La cosa ancor più ridicola è che sotto questi abiti enormi e osceni, indosso ancora le scarpe con il tacco vertiginoso. Sembro uscita da un manicomio.
Lo raggiungo in fondo alle scale e mi incammino verso l’ascensore.
<Questa me la paghi.>
Lo minaccio, mentre entriamo in ascensore.
<Ho lasciato il vestito in camera tua, poi lo rivoglio.>
Puntualizzo, guardandolo di sbieco.
<Ho lasciato anche le mutandine.>
Aggiungo, non appena le porte si aprono sul garage.
<Quelle puoi tenerle.>
Gli faccio l’occhiolino, mentre lui arriccia il naso per evitare di sorridere, poi esco dall’ascensore.
Mi dirigo verso la fila di grosse moto che ho già visto parecchie volte, e lui mi cammina dietro.
<Scegline una.>
Mi dice, e sul mio volto compare il sorriso più spietato di sempre.
<Quella.>
Dico, senza pensarci, puntando il dito verso una Kawasaki Ninja viola lucido, fiammante.
<Buongustaia.>
Sorpassandomi per avvicinarsi alla moto, mi da un piccolo colpetto sul sedere.
Un minuto più tardi, il mio viso è chiuso dentro un casco integrale, e il mio corpo è premuto contro il suo.
Mi stringo forte al suo petto, mentre lui esce dal garage e il sole ci saluta.
Quando inizia ad accelerare, il cuore inizia a battermi fortissimo e le gambe mi tremano. L’adrenalina saltella dentro di me, ed io rido e rido.
Mentre Las Vegas scorre sfocata intorno a noi, io sento la vita scorrermi nelle vene.
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Bluff
RomanceLa vita a volte somiglia ad una partita di poker, e Amanda lo sa bene. Per questo motivo ogni giorno mette in pratica gli insegnamenti di Ethan, il suo primo amore. Ethan le ha insegnato tutto sul poker, regole e trucchi, e Amanda custodisce le su...