In piedi Signori, davanti a una Donna

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Per tutte le violenze consumate su di Lei, per tutte le umiliazioni che ha subito, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato, per l’ignoranza in cui l’avete lasciata, per la libertà che le avete negato, per la bocca che le avete tappato, per le ali che le avete tagliato, per tutto questo: in piedi Signori, davanti a una Donna.
- William Shakespeare





<Che ci fai qui, Maverick?>
Ho trovato l’uomo nella hall del Saudade’s rientrando dalla mia corsa serale.
Indossa il suo solito abito nero, i capelli corvini sono tirati all’indietro con del gel, e i suoi occhi color caramello spiccano sulla sua carnagione chiara.
Se ne sta immobile con le mani lungo i fianchi, le spalle perfettamente dritte e vergognosamente muscolose, il suo sguardo è fisso e privo d’emozione.
In teoria, forse, quest’uomo dovrebbe intimidirmi, ma considerando il nostro primo incontro invece mi fa sorridere.
<Il signore mi ha chiesto di scortarla al vostro incontro.>
Sbuffo una risata e incrocio le braccia al petto, lui distoglie lo sguardo da me solo per un breve attimo.
<Si da il caso che, il signore, non mi ha informata su nessun incontro.>
Maverick si schiarisce la voce e sposta il peso da un piede all’altro.
<Ha detto che è molto importante.>
Ah, si? Non me ne importa niente, a dire la verità, ma prima o poi questo momento doveva arrivare. Ho riflettuto a lungo su questa storia, e per quanto io preferirei mangiare una mela avvelenata piuttosto che trascorrere trenta giorni con il serpente, devo farlo. Non posso più rimandare, ho già perso troppo tempo, e se tentenno ancora rischio di annoiarlo e far passare la sua voglia di giocare con me a questo stupido gioco dell’accordo. E, di conseguenza, papà sarebbe ancora in debito con lui e il Saudade’s rischierebbe di chiudere.
Perciò, che sia.
<Dammi il tempo di cambiarmi.>
Lui non risponde, ed io entro in ascensore in silenzio.
Una volta in camera non mi concedo di pensare, a questa storia o a nient’altro, metto in pausa il nastro dei miei pensieri e mi preparo il più in fretta possibile.
Faccio una doccia velocissima, indosso dei pantaloni neri e una camicia color cipria, mi infilo le scarpe ed esco con ancora i capelli umidi.
Salgo sulla lussuosa auto che ci aspettava all’uscita e saluto Tom, l’autista, che mi rivolge un caloroso sorriso.
<È un piacere rivederla, signorina Martin.>
Dice, dopo che Maverick ha chiuso la portiera dal mio lato e si è seduto accanto a lui, nel posto del passeggero.
<Anche per me, Tom.>
Ricambio il suo sorriso, e mentre lui accende l’auto e parte, io penso a come la sua genuinità mi scaldi il cuore.
Quando l’auto accosta, riconosco immediatamente il posto. È lo stesso ristorante in cui siamo stati per discutere del contratto, e mentre scendo dall’auto mi domando se per caso questo posto appartenga a lui, dato che a quanto pare adora venirci.
Il serpente mi aspetta davanti alle grandi porte a vetro, stavolta, e quando i nostri sguardi si incontrano percepisco una scossa che invade tutto il mio corpo.
Lo raggiungo a passi lenti, mentre lui mi fissa ed io resisto all’istinto di guardarmi i piedi. Quando arrivo di fronte a lui, intravedo subito la testa del serpente che fa capolino da sotto il colletto della camicia nera, poi senza volerlo il mio sguardo scende più giù, sui jeans scuri attillati che disegnano alle perfezione due gambe allenate e dei polpacci sodi. Per un attimo mi domando come sarà la vista di questi stessi jeans da dietro, ma caccio via in fretta la fantasia, e mi riprometto di non camminare mai dietro di lui.
<Allora?>
Dico soltanto, mentre lui accenna un sorrisetto di mezzo lato che contribuisce a farmi già perdere le staffe.
<Ho bisogno di te>
Chissà per quale assurdo motivo, il mio cuore inizia a battere veloce.
Come se potesse essere un bisogno reale, il suo, come se non fosse tutta una bugia tra noi.
<Ho un importante cena per chiudere un grosso affare.>
<E io che dovrei fare?>
<Solo fingerti una brava fidanzata.>
Sbuffo una risata e alzo gli occhi al cielo, mentre lui mi fa l’occhiolino.
<Mi stai suggerendo di starmene zitta per tutto il tempo, non è così? Annuire e sorridere, giusto?>
<Una cosa del genere, meno parli meglio è, considerata la linguaccia che hai.>
Faccio una smorfia e mi preparo a insultarlo, ma lui fa un’altra volta quel fastidioso sorrisetto di mezzo lato che mi fa venire voglia di mettermi a correre nella direzione opposta.
<Sei qui solo perché me l’hanno chiesto, dato che ormai tutti sanno che ho un’accompagnatrice speciale>
Mima le virgolette quando dice “accompagnatrice speciale” e io chiudo le mani a pugno.
<L’uomo con cui sto per concludere l’affare voleva a tutti costi portare anche sua moglie alla cena, così ha proposto questa specie di...appuntamento a quattro.>
<Io però non ho ancora firmato il contratto, tecnicamente non ti devo niente.>
<Facciamo che dopo stasera i giorni previsti nel nostro accordo non saranno più trenta, ma ventinove. E poi, asso, sappiamo entrambi che firmerai presto.>
Si volta e inizia a camminare verso la porta del ristorante.
Io, rimasta ahimè immobile dietro di lui, confermo quasi con dispiacere la mia ipotesi.
Da dietro la vista di quei jeans è a dir poco sublime.
Scuoto la testa con prepotenza a quasi gli corro dietro.
<Ehi, Harris.>
Il tizio all’accoglienza lo saluta con un cenno del capo, e il serpente ricambia con un sorriso e un’alzata di mano.
Come se davvero questo posto fosse suo, inizia a camminare fra i tavoli come farei io al Saudade’s, e si ferma solo quando arriva davanti ad una grande porta di legno lucido che non avevo notato la volta precedente.
Mi fermo al suo fianco cercando di capire cosa fare, e così entrambi fissiamo la porta davanti a noi.
<D’accordo, ci siamo.>
<Siamo davanti ad una porta chiusa.>
<Il bello delle porte è che si aprono, prima o poi.>
Mi viene da sorridere, ma evito di farlo, non mi perdonerei mai se ridessi a una sua battuta anche piuttosto squallida.
<Questa è una zona più privata e più costosa del ristorante.>
<Cose da ricchi stronzi, insomma.>
<Si, cose da ricchi stronzi.>
Non faccio in tempo ad elaborare una risposta che le porte si aprono e la sua mano scivola nella mia.
Le nostre dita si intrecciano come se si conoscessero già da tempo, e il contatto della sua pelle contro la mia mi provoca un brivido di freddo.
La sensazione di due mani che si incastrano è una delle migliori al mondo, qualcosa che non provavo da tantissimo tempo. Non c’è niente di più puro, secondo me, di due mani che si stringono. In fondo, forse, tutte le più belle storie d’amore hanno avuto inizio con il semplice sfiorarsi delle mani.
<Se dobbiamo fingere, facciamolo come si deve.>
Ed è questa frase che mi riporta con i piedi per terra, e mi ricorda che noi non siamo i protagonisti di un film. Non inizierà niente tra noi dopo che le nostre mani si sono incastrate alla perfezione, come se fossero state create per questo.
<Giusto.>
Prendo un lungo respiro e chiedo al mio cuore di non rimanerci così male.
<Fai la brava.>
Conclude, poi inizia a camminare.
Quando arriviamo al nostro tavolo, una coppia ci attende.
Logan saluta l’uomo con una stretta di mano, e posa un leggerissimo bacio sulla guancia della donna, poi passa alle presentazioni e io indosso un sorriso innocente e per nulla seccato.
Mi fingo una fidanzata ubbidiente e affezionata, fiera di stare al fianco di quest’uomo che non odio per niente.
Per iniziare ordiniamo dei drink, e come una stupidissima fidanzata ubbidiente lascio che il serpente ordini anche per me, sperando che non mi avveleni.
Ordina per lui un whisky liscio e per me un calice di vino bianco, chiedendo al cameriere di portare il migliore che hanno in cantina. Io mi soffermo a chiedermi quanto deve essere grande e costoso questo posto, per avere anche una cantina.
Quando ci portano il nostro ordine, prendo un sorso di vino e quasi vorrei mettermi a urlare. Il suo sapore è a dir poco paradisiaco, ha la giusta dose di bollicine e un retrogusto fruttato che non ti lascia con l’amaro in bocca. Niente a che vedere con i vini da quattro soldi che io, Betty e Daniel, siamo soliti comprare con il solo scopo di ubriacarci.
Prendo un altro sorso e chiudo gli occhi per un attimo, lasciando che il liquido fresco mandi in estasi ogni parte di me. Quando li riapro trovo lo sguardo del serpente su di me, sorride e mi fa l’occhiolino.
<Allora, ditemi ragazzi, come vi siete conosciuti?>
Quasi mi strozzo con il vino quando la donna dai capelli castani ci rivolge questa domanda.
In effetti, se volevamo davvero fingere bene, avremmo dovuto prepararci a questo. Insomma, è una delle domande più scontate che si possa fare ad una neo coppia.
Eppure, il maniaco del controllo seduto affianco a me non ci ha minimamente pensato, e io non sono brava a dire le bugie se colta alla sprovvista.
Dovrei inventare davvero una storia contorta, romantica, fingendo di essere una di quelle che crede al destino. Dovrei dirle di come mi sono innamorata di lui, fingendo che sia stato un tempestivo colpo di fulmine, magari in un giorno di pioggia. Poi, dimostrandomi innamorata a livelli inimmaginabili, dovrei iniziare ad elencare tutte le cose che mi piacciono di lui, quelle che trovo tenere, e quelle che mi fanno desiderare di diventare la madre dei suoi figli. Dovrei sorridere tutto il tempo, così sembrerebbe più vero, e poi dovrei prendere la sua mano e stringerla sul tavolo mentre lui semplicemente sorride e annuisce.
Sono tante cose da mettere insieme così su due piedi, e io non ne sono per nulla in grado, soprattutto adesso che la bizzarra coppia davanti a me mi fissa in attesa.
Io, in risposta, riesco solo a bere un altro sorso di vino. Un lungo sorso.
<Sai, Olivia, è davvero una bella storia in effetti.>
Il serpente prende la parola e improvvisamente tutti gli occhi si spostano su di lui, compresi i miei che sono a dir poco stupiti.
<Ero da poco atterrato a Las Vegas, e avevo davvero voglia di una partita a poker, perciò entro nel primo casinò che mi capita camminando sulla Strip e mi siedo al bar.>
Sono a metà tra l’essere spaventata per quello che potrebbe dire e curiosa di sapere come va a finire questa finta storia.
<Ordino da bere e do un’occhiata ai tavoli, poi ad un tratto una vocina fastidiosa parla da uno sgabello vicino al mio.>
La mia voce sarebbe fastidiosa? È questo che sta dicendo?
<Quando mi volto, giuro, ho visto una delle donne più belle sulla terra.>
Che cavolo sta dicendo?
<Lei aveva questi meravigliosi capelli rossi che le ricadevano sulle spalle, e in quel momento ho capito che il rosso era diventato il mio nuovo colore preferito. Rideva, e quel suono mi ha ricordato il rumore delle onde, mi ci sono perso. Poi mi ha guardato, e i suoi occhi verdi mi sono sembrati la cosa più limpida e pura che avessi mai visto. In quel momento ho deciso che doveva essere mia.>
Allunga una mano sul tavolo e stringe la mia che tenevo stretta in un pugno, io rilasso le dita e mi lascio accarezzare.
I miei occhi si soffermano sulle nostre mani, e il mio cuore prende a galoppare come se tutta quella bugia fosse vera, per un attimo.
Alzo lo sguardo sul suo viso, e trovo i suoi occhi grigi già su di me.
<Forse era destino che ci trovassimo.>
Dice, senza nessun accenno che lasci intuire che stia mentendo, ed io percepisco un tuffo al cuore che non mi so spiegare.
<Oh, ma che storia meravigliosa.>
Restiamo a guardarci ancora per qualche secondo, e io ringrazio di essere seduta perché le mie gambe stanno tremando.
Per fortuna Fred, l’uomo dalla barba brizzolata, cambia argomento in fretta, costringendo Logan a rivolgergli la sua attenzione.
Le nostre mani però si tengono ancora strette sul tavolo, e mentre il serpente chiacchiera con tranquillità io non faccio che guardarle.
C’è qualcosa di meraviglioso nelle mani che si stringono così, distrattamente. Come se fosse un gesto naturale, come se non potessero lasciarsi andare anche se si è impegnati a fare altro, come se sentissero l’una la mancanza dell’altra una volta lontane.
<Guarda un po', Fred, c’è il signor Smith con la sua nuova fidanzata.>
La voce di Olivia mi riporta alla realtà, e in un attimo siamo tutti con gli occhi puntati su questo signor Smith.
<È un collega di Fred.> spiega Olivia, abbassando la voce di qualche tono.
<La ragazza, la sua fidanzata, è stata vittima di molestie sessuali un anno fa. Era in un locale con un amica, l’hanno fatta ubriacare e poi violentata in un vicolo.>
Mi soffermo ad osservare la ragazza, a disagio per gli sguardi che la sala le sta riservando. Il fidanzato le prende la mano sul tavolo, proprio come Logan tiene ancora stretta la mia, e lei si rilassa.
Questo, per altro, conferma la mia teoria sulle mani che si stringono. Hanno un potere che non si può spiegare a parole.
<Però insomma, siamo onesti, se l’è cercata.>
Io e Logan ci voltiamo di scatto verso la donna, ed io socchiudo leggermente gli occhi.
<Dai cara, lascia perdere.>
Fred la richiama, notando i nostri sguardi sulla moglie.
<Si, si, certo. Però guardate come si veste, non puoi piagnucolare quando ti accadono queste cose spiacevoli, se vai in giro vestita in quel modo. Tutte noi donne sappiamo che una gonna troppo corta, o una scollatura pronunciata, può attirare sguardi indesiderati. Non è così, Amanda?>
Ci vuole un secondo per far si che la mia rabbia salga oltre il limite, e in quel secondo percepisco la mano di Logan che stringe la mia appena un po' di più.
<No, Olivia, non è affatto così.>
Per evitare che la sua pelle a contatto con la mia mi fermi, interrompo di netto la nostra stretta, percependo immediatamente la mancanza di quel calore.
<Mi sta dicendo che, secondo lei, una donna non può vestirsi come le pare e piace perché una scollatura pronunciata può eccitare un maiale?>
La donna sussulta e si porta una mano al petto, il marito sbarra gli occhi, e Logan si passa un dito sulle labbra.
<Oppure sta dicendo che, se una donna indossa una gonna troppo corta, questo da il diritto ad un uomo di infilarsi nelle sue mutande senza il suo consenso?>
Mi alzo in piedi e quasi sbatto le mani sul tavolo.
<Lei crede che, se una donna indossa qualcosa di troppo provocante, questo la etichetta come una poco di buono? E che, essendo una poco di buono, merita di essere molestata?>
Inclino la testa di lato, quasi come se aspettassi una sua risposta, ma non me ne frega un cazzo della sua risposta.
<Sa cosa credo io, invece? Credo che una donna può indossare quello che le pare, bere quanto le pare, dire e fare quello che le pare. Lei è mai stata toccata senza il suo consenso, Olivia? Ha mai sentito sulla sua pelle il calore di mani che lei non desiderava? Si è mai sentita sporca, dopo che un uomo ha preso qualcosa di suo, qualcosa che lei non gli ha mai offerto?>
<Io...io non...>
La donna ansima ed io sento il sangue pulsarmi al cervello.
<Beh, io si. E fa schifo, Olivia, fa davvero schifo.>
Prendo la borsetta dal divanetto su cui stavo seduta e me la metto in spalla, ma prima di andarmene mi avvicino al volto della donna e la guardo mentre trema sotto il mio sguardo.
<Una molestia non è mai giustificata, cara signora, mai. E soprattutto, non è mai colpa della vittima. Lei come donna mi fa vomitare.>
Senza pentirmene giro i tacchi ed esco dal locale, mentre gli ospiti degli altri tavoli spostano lo sguardo da me alla signora tremante alle mie spalle.
Quando esco all’aria aperta mi accoglie una pioggia leggera, e io mi godo il vento freddo che mi accarezza la pelle, chiudendo gli occhi.
Respira, Amanda, respira.
Calma i battiti, conta fino a dieci.
Uno, due, tre.
Non ci sono più mani che ti toccano mentre tu piangi in silenzio.
Quattro, cinque, sei.
Non senti più il suo respiro caldo sul tuo collo.
Sette, otto, nove.
La sua puzza d’alcol non ti brucia più le narici.
Dieci.
<Stai bene?>
Riapro gli occhi e trovo il serpente accanto a me, a guardare la pioggia con le mani in tasca.
Prendo un lungo respiro e assaporo la sensazione del cuore che inizia a contare i battiti regolari.
<Mi dispiace, ho combinato un casino. Ho fatto saltare il tuo affare?>
<Non me ne frega un cazzo dell’affare, ti ho chiesto se stai bene.>
<Sto bene.>
Restiamo in silenzio per quello che mi sembra un tempo infinito, con solo il rumore della pioggia intorno a noi. I nostri vestiti pian piano si stanno bagnando, ma io vorrei restare qui ancora un po', ad ascoltare la pioggia.
Il mio cuore si sente leggero, in questo momento, e la pioggia annega i miei pensieri. Sento il silenzio nella mia testa, e vorrei vivere così sempre.
<Vieni, ti accompagno da Tom, ti riporterà a casa.>
Camminiamo in silenzio sotto la pioggia, e quando arriviamo all’auto Logan mi apre la portiera e io mi siedo bagnando il sedile.
Prima di richiudere la portiera, si abbassa leggermente e mi sfiora il viso con un dito. Un gesto che ricorda molto una carezza, e che mi fa trattenere il respiro, finché lui richiude la portiera e l’auto parte.
Lo guardo finché posso, e mentre la pioggia gli bagna i capelli, lui resta immobile. I suoi occhi grigi restano incastrati ai miei, finché non mi allontano troppo. La mia mano inizia a tremare, come se sentisse la lontananza che la sta dividendo dalla sua.

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