Sono temporale

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La faccia di Daniel si colora di rosso quando lancio le chiavi della sua auto sotto il suo naso, sul bancone.
<Prendi tutti i soldi che ti servono dalla cassa.>
Gli dico, e non gli do neppure il tempo di rispondere, o di chiedere qualcosa.
Non ho voglia di parlarne.
Non ho voglia di spiegargli perché la mia pelle è leggermente annerita, perché ho cenere e polvere sui capelli, o perché i miei vestiti sono bucherellati qua e là.
Non ho voglia di scusarmi, per aver rubato la sua auto.
Non ho voglia di nulla.
Esco dal casinò senza guardarmi indietro, e corro in camera mia, come se avessi paura di infettare il mondo con il veleno che mi si è mischiato al sangue.
Quando mi richiudo la porta alle spalle, faccio appena qualche passo avanti, poi mi avvicino alla parete e mi lascio scivolare sul pavimento.
Mi chiudo a riccio, rannicchiandomi, abbracciandomi le ginocchia.
Prendo un respiro, deglutisco, assaporo il silenzio e mi dico: “piangi”.
Eppure nessun nodo in gola, niente lacrime a pungermi le guance, nessun singhiozzo. Solo il silenzio più profondo, una voragine nera di apatia.
È come se un mostro deforme munito di artigli fosse appena sceso in picchiata dal cielo, scagliandosi sul mio cuore, rubandogli ogni singola emozione.
In questo momento, forse, se mi guardassi allo specchio non vedrei niente.
Al mondo esistono due tipi di persone, secondo me. Quelle in grado di ridarti la vita, che ti risvegliano da un sonno profondo e privo di sogni, e ti insegnano cos’è la felicità, cosa significa vivere.
E poi ci sono i bluff,  quelle persone che ti fanno credere che puoi farcela, che puoi uscire dal buio, che loro ti aspetteranno dall’altra parte delle fiamme.
E tu ci credi, credi ad ogni carezza, assapori il sorriso che ti torna sulle labbra, e immagini un futuro migliore.
Ma è tutto un bluff.
È tutta una stronzata, una patetica messa in scena, perché quelle persone non vogliono vederti felice.
Si nutrono della tua tristezza, e ti lasciano immaginare la felicità, ti lasciano credere che possa appartenerti, solo per poi gettarti dentro un buco nero più grande del precedente.
Logan è il mio bluff.
Ho creduto nel suo cuore, gli ho quasi affidato il mio, ho creduto che…
ho creduto che mi avrebbe sempre aspettata dall’altra parte delle fiamme, che per ogni muro di fuoco che mi si para davanti lui sarebbe sempre stato lì, pronto a prendermi.
Anche solo per un attimo, ho creduto di poter scappare dal mio destino, mi sono concessa di immaginare un epilogo diverso.
Ho creduto ad ogni sua singola parola, alle sue carezze incerte, e alle mani forti che mi hanno stretta.
Ma era finto.
Era tutto finto, ogni parola, ogni gesto, ogni sguardo. Tutto una menzogna.
E forse il mio cuore si è rotto ancora un po' stanotte, forse inizia ad essere stanco di essere ricucito.
È che a volte le parole sono magiche, a volte ti fanno bene, altre ti tagliano come lame.
Le sue mi hanno tagliata, in profondità, anche se ho indossato una maschera, e mi sono nascosta dentro un mantello.
Non fare trapelare niente, Amanda, neppure la più piccola delle emozioni.
Ethan mi ha insegnato questo, e il poker non è diverso dalla vita.
Perciò ho seguito il suo consiglio, ho preso le mie emozioni e le ho chiuse in un grosso armadio dalle ante di legno, e poi le ho sigillate con un incantesimo.
I miei occhi non hanno urlato niente, le mani non hanno tremato, il cuore si è nascosto.
Questo, alla fine, ho donato a Logan.
Un altro bluff, il mio.
Bussano alla porta con delicatezza, come se avessero paura di disturbare.
Io mi sento immobile, immersa in una bolla di buio, incatenata dai pensieri.
<Domani, Danny, ti prego.>
Lo supplico, cercando di poter scappare dalla sfuriata che mi attende.
Non scappare, magari, rimandare. Adesso proprio non ce la faccio.
<Sono Maverick.>
Un leggero sussulto mi scuote il corpo, e il mio cuore si addolcisce al suono della sua voce.
<Posso entrare?>
Alla mia apatia piace giocare, da sempre. Le piace farmi soffrire facendomi i dispetti, per questo va e viene a suo piacimento, a volte a distanza di qualche minuto.
A volte mi invade per lungo tempo, altre sparisce in un istante, lasciando che le emozioni tornino in massa, tutte insieme contemporaneamente.
In quei momenti mi sento come dentro una lavatrice, sballottata e vulnerabile.
Sento la paura, poi l’angoscia, e infine mi invade una tristezza che supera ogni confine.
Si ramifica dentro di me, ed io la sento dappertutto, in ogni cellula, in ogni organo, sotto tutti e sette gli strati di pelle.
In quei momenti divento temporale.
Divento nuvole grigie, tuoni assordati e pioggia. Tanta, tanta, pioggia.
Adesso sono temporale.
Sono nuvole grigie quando Maverick apre la porta, e la luce del corridoio spintona il buio della mia camera.
Sono tuoni che fanno tremare la terra, quando lui richiude la porta e fa qualche passo verso di me, mentre io poggio la fronte sulle ginocchia, nascondendomi.
Divento pioggia quando si inginocchia accanto a me e, senza dire una parola, inizia ad accarezzarmi i capelli.
<Mav?>
Dico, dopo minuti di silenzio, mentre la pioggia mi scende dagli occhi.
<Si?>
<Sono temporale.>
La sua mano sui miei capelli rallenta, e lo sento muoversi sul pavimento, probabilmente con l’intento di scorgere il mio volto.
<Che cosa significa?>
Sussurra, come se avesse paura di fare troppo rumore.
Però lui non lo sa, non può sapere che ci sono i tuoni nella mia testa.
<Significa che sento dolore.>
Ammetto, mentre il sale mi scivola sulle labbra.
<Dove ti fa male?>
<Il cuore.>
Scosta la mano dai miei capelli, ed io inizio a credere di averlo spaventato.
Non avrei dovuto dirlo, non avrei dovuto mostrargli il mio temporale. Avrei dovuto fingere, ancora e ancora.
Si muove sul pavimento, ed io credo si stia alzando per andare via, non gliene farei una colpa, anzi dovrebbe.
Invece sento un calore familiare vicino al mio fianco, e il suo corpo si accosta al mio, lasciando che le nostre ginocchia si tocchino, e il suo profumo di menta mi arriva alle narici.
<Vuoi sapere una cosa?>
Non rispondo, ma lascio che il mio corpo si accasci appena, poggiandosi al suo.
Forte, solido, accogliente. Sembra un bel posto, un posto che da bambina ho tanto desiderato. Lo scudo di un fratello.
<Sono temporale anche io.>
Conclude, anche se io non ho proferito parola.
<E come si fa?>
Inizio a parlare, lasciando che le parole si facciano spazio tra i singhiozzi.
<Come si fa a far smettere di piovere?>
<Non deve smettere per forza.>
Il suo corpo si avvicina ancora al mio, e quando mi fa passare un braccio sopra le spalle io glielo lascio fare. Mi stringe a sé, lasciando che la mia testa ricada sul suo petto, ed io mi sento così piccola nel suo abbraccio.
<Anche la pioggia serve, nutre la terra. Senza di lei ci sarebbe la siccità, e tutto morirebbe.>
Tiro su con il naso, riaprendo gli occhi, che però vedono solo il buio e le sue gambe distese sul pavimento davanti a noi.
<E la mia pioggia a cosa serve?>
Lui sbuffa una risata, ed io mi sento ridicola per aver fatto una domanda simile, mi sento come una bambina che impara a scoprire il mondo.
<Serve a ricordarti che sei viva.>
Mi scappa un singhiozzo che mi scuote il corpo, e per istinto mi schiaccio di più sul suo corpo, avvolgendogli un braccio intorno al petto.
<Non voglio più, Mav.>
Lo stringo, e questo gesto non mi sembra per niente fuori luogo o estraneo.
<Non voglio più essere temporale, mi fa male.>
<Lo so.>
Riprende ad accarezzarmi i capelli, e adesso riesco a sentire il battito del suo cuore sotto il mio orecchio.
<Però dopo il temporale appare sempre l’arcobaleno.>
<L’ho cercato, ma non lo trovo il mio arcobaleno.>
<Lo troverai.>
Anche il suo braccio adesso mi stringe più forte, e non si oppone alle mie lacrime che gli bagnano la maglietta.
<Per adesso devi assaporare la pioggia, però, anche quella serve. Senza di lei non sapresti apprezzare l’arcobaleno che verrà. Più piove, più l’arcobaleno sarà luminoso.>
Sorrido leggermente, premendo la fronte al suo petto.
<Lo puoi giurare?>
Chiedo, come una stupida, come una bambina con il fratello.
<Croce sul cuore.>
Dice, e dal suono delle lettere oserei dire che sorride anche lui.
Mi scosto dal suo petto, sedendomi dritta sul pavimento, e mi asciugo le guance con il dorso della mano.
Quando finalmente lo guardo, un sorriso fiero gli illumina le labbra, e i suoi occhi color caramello brillano al buio.
<Che cosa ho sbagliato?>
Distoglie lo sguardo, concentrandolo sull’altra parete di fronte a noi.
Sa benissimo a cosa mi riferisco, non serve aggiungere altro.
<Non hai sbagliato niente.>
Lascio ricadere le mani sulle ginocchia, e prendo ad osservarle. Inizio a sfregare il pollice destro sul palmo sinistro, cercando di cancellare le macchie nere che mi colorano la pelle.
<Allora perché è stato così...>
Più sfrego e più la pelle diventa rossa, ma la macchia lasciata dal fuoco non accenna a sparire.
<cattivo?>
Vorrei poter usare un’altra parola, vorrei continuare a credere che dietro la facciata da serpente velenoso c’è un uomo buono.
Vorrei che fosse rimasto solo l’uomo che mi ha aspettata dall’altro lato delle fiamme.
<È difficile per lui.>
Tira un lungo respiro, passandosi una mano tra i capelli.
<Tutto questo, tutta la sua vita...è un casino.>
<Lo capisco.>
Sfrego ancora sul palmo della mano, e il dito inizia a dolermi, mentre la pelle brucia come se dovesse davvero andare a fuoco stavolta.
<Io volevo solo aiutarvi.>
Maverick si volta verso di me, e abbassa lo sguardo sulle mie mani.
<Questo lui lo sa, credimi.>
Finalmente il nero sul palmo inizia a farsi sbiadito, lasciando spazio solo al rosso.
<Allora perché si è comportato in quel modo?>
Lui poggia una mano sulla mia, fermando il mio sfregare fino a farmi male.
<Vuoi sapere perché?>
Finalmente alzo lo sguardo sul suo viso, e riesco a scorgere i suoi lineamenti nel buio. Annuisco, mentre lui sorride di sbieco.
<Perché è temporale anche lui.>
Quelle parole mi fanno sorridere, ma è un sorriso strano. Non è un sorriso di tristezza, ma neppure di felicità.
Logan sente dolore.
Proprio come Maverick, proprio come me.
Tutti noi, seppur in modo diverso, siamo tuoni e nuvole grigie.
Tutti prigionieri di un temporale, ognuno il suo, diverso ma che provoca gli stessi danni.
Siamo tutti temporale.
<Ti ha chiesto lui di venire?>
Mav si alza dal pavimento, e si pulisce i pantaloni da granelli di polvere invisibili.
<No.>
Mi porge una mano, ed io l’afferro, lasciando che mi aiuti ad alzarmi.
<Allora cosa ci fai qui?>
Mi rimetto in piedi, sentendo le gambe dolenti e stanche.
<Aiuto un’amica.>
La guardia del corpo mi fa l’occhiolino, e poi si muove avvicinandosi alla porta.
<Non devi per forza rimanerci da sola sotto la pioggia, Mandy.>
Mi da le spalle e apre la porta.
<Mav?>
Si gira guardandomi da sopra la spalla, ed io sorrido giungendo le mani dietro la schiena.
<Grazie.>
Sorride anche lui, e ruota ancora un po' il corpo per guardarmi meglio.
<Sei stato il mio ombrello.>
Concludo, allargando il mio sorriso.
Perché è questo ciò che ha fatto, mi ha fatto da ombrello. Mi ha riparata dalla pioggia, mi ha fatta uscire dal temporale. E io vorrei aver avuto più ombrelli, nella vita, invece mi sono sempre persa tra i tuoni.
Senza aggiungere altro, si volta e mette un piede fuori la porta, ma si blocca dandomi le spalle.
<Per lui sei l’arcobaleno, Amanda.>
Sussulto, sentendo il battito accelerare nel petto.
<È solo che quando ci si perde per troppo tempo nel temporale, tutto diventa tempesta.>

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