Ti sento

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A volte non abbiamo bisogno
di qualcuno che ci aggiusti.
A volte abbiamo solo bisogno
di qualcuno che ci ami,
mentre ripariamo noi stessi.

Julio Cortázar





Sconosciuto: Tra tre giorni. Solito posto.


<Prova uno, due, tre e quattro.>
Ci voltiamo tutti contemporaneamente a guardare Maverick, ma senza parlare, per evitare di prenderlo per stupido.
Logan è arrivato al Saudade’s ormai due ore fa, dopo ci siamo tutti ritrovati nella mia camera a fissare il cellulare bloccato di Ade.
Tom e il serpente sono rimasti in piedi con il cellulare tra le mani, io e Danny ci siamo seduti sul pavimento, e Betty e Maverick si sono accoccolati sul mio letto.
Vicini. Molto, vicini.
<Beh, almeno sappiamo il giorno.>
Fa notare Tom, come se potesse servirci a qualcosa.
<Danny?>
Lo chiama Betty da sopra il letto, e lui gira leggermente il busto per guardarla.
<Tu hai seguito il corso di informatica al liceo.>
Ci ricorda, e i miei occhi si sgranano come se avessi appena intravisto una luce.
<E quindi?>
Chiede lui aggrottando le sopracciglia, mentre tutti noi lo fissiamo.
<Non puoi tipo...>
Mi gratto la fronte cercando di partorire un’idea che ci faccia uscire da questo intoppo.
<...bypassare la password?>
Tutti i presenti sgranano gli occhi come se avessi appena trovato la soluzione a tutti i nostri problemi, tranne Danny, lui li sgrana come se avessi appena detto la più grande delle assurdità.
<Grazie a quel corso di informatica ho imparato a creare una cartella e a salvare con nome un file, ma non sono diventato un hacker.>
Le spalle di tutti noi si abbassano contemporaneamente, e gli occhi si rabbuiano.
In effetti era chiedere troppo.
<Anche se riuscissimo a sbloccare il cellulare>
Inizia Maverick, attirando su di sé l’attenzione di tutta la stanza.
<Potrebbe non esserci nulla comunque. Parlano in codice, altrimenti avrebbero scritto il luogo dell’incontro.>
Logan abbandona il cellulare tra le mani di Tom e inizia a camminare avanti e indietro per la stanza, passandosi le mani tra i capelli.
<Hanno scritto “solito posto”, ciò significa che si incontrano sempre nello stesso luogo.>
<È il loro punto di ritrovo.>
Aggiunge Betty, attivando gli ingranaggi del mio cervello.
<Una sorta di covo, magari.>
Danny aggiunge un altro pezzo, ed io e Logan ci guardiamo.
<È il suo nascondiglio.>
Diciamo all’unisono, come se condividessimo lo stesso cervello.
<Se troviamo quel luogo.>
Dice lui, mentre io mi alzo dal pavimento.
<Troviamo El Rey.>
Ci guardiamo, mentre le nostre spalle si alzano e si abbassano, il respiro affannato a già terrorizzato.
Trovare El Rey può significare molte cose, vincere o perdere, liberarsi o morire.
Se un anno fa mi avessero detto che mi sarei ritrovata in una situazione del genere, non ci avrei mai creduto. Questa storia sfiora la follia, ha del tragicomico, eppure non rido affatto. Anzi, tremo.
Tirando un lungo respiro, deglutisco e mi sforzo di continuare a riflettere, non è tempo per avere paura.
<Come fai a localizzare i nostri cellulari?>
Chiedo a Logan, e lui stranamente sorride di mezzo lato.
Non gli ho mai confessato di aver trovato quella mappa sul suo cellulare, ma dal suo sorriso deduco che mi aveva già scoperta da solo.
<Lui localizza i nostri cellulari?>
Denny è visibilmente scioccato.
<Oh, si.>
Risponde Maverick, mentre io e Logan sorridiamo come due malati di mente.
<Sul serio?>
Sbotta Betty, voltandosi per guardare l’uomo disteso accanto a lei.
<Altrimenti come farei a sapere che ti piace fare visita ad un sexy shop almeno una volta alla settimana?>
Betty si fa seria d’improvviso, e si volta a fissare il vuoto mentre Maverick e Daniel sogghignano.
Io evito di fare lo stesso, anche se ho ancora un sorriso perfido sul volto.
<Allora?>
Torno a rivolgermi a Logan, incrociando le braccia al petto.
<Non lo faccio io, c’è chi lo fa per me.>
Mi illumina, facendomi rendere conto che ci sono ancora delle sue sfumature a me totalmente sconosciute.
<E non potresti chiedergli di farlo con quel cellulare?>
Indico il cellulare tra le mani di Tom, che in cambio inclina la testa di lato.
<E a cosa ci servirebbe?>
Mi chiede l’autista.
<Restituendo il cellulare ad Ade, saremo in grado di tenere d’occhio i suoi spostamenti.>
Spiego, anche se mi sembrava abbastanza ovvio.
<Tra tre giorni, quando andrà all’incontro, sapremo dove si nasconde la tua nemesi.>
Mi rivolgo al serpente, cercando di farlo arrivare alla stessa conclusione che ho raggiunto io.
Una volta scovato il nascondiglio, potremo attuare un piano che si concluda con il bastardo chiuso dentro una cella buia e fredda.
<Se teniamo il cellulare per troppo tempo, quando lo restituiremo Ade si farà delle domande.>
Mi fa notare Maverick.
<Il tuo...ehm...amico, può farlo entro domani?>
Chiedo a Logan, mentre lui socchiude gli occhi, riflettendo.
<Non si può.>
Pronuncia, frantumando le mie speranze.
<Perché?>
<Per farlo è necessario conoscere i dati del proprietario del cellulare, nome e cognome, il numero di telefono.>
<E noi non abbiamo niente.>
Conclude Tom, mentre le mie spalle si abbassano per una seconda volta.
La mano di Logan trova la mia, e il contatto con la sua pelle mi fa rialzare lo sguardo, che trova immediatamente i suoi occhi d’argento.
<Non importa.>
Mi sussurra, cercando di confortarmi. Ma non può essere stato tutto inutile, tutto questo deve pur condurci da qualche parte, non possiamo arrenderci.
Io non posso arrendermi, non voglio.
Io voglio salvarlo.
<Aspetta.>
Betty si mette in ginocchio sul letto, e tutti ci giriamo a guardarla con volti tristi e rasseganti.
<Per attivare la localizzazione è necessario il numero di telefono e il nome dell’intestatario della scheda telefonica, giusto?>
Si rivolge a Logan che adesso si trova al mio fianco, la sua mano nella mia, le dita intrecciate.
<Si.>
Le risponde soltanto, e le labbra della mia amica si assottigliano.
<Dammi quel coso.>
Dice a Tom, in piedi ai piedi del letto. In risposta lui lancia il cellulare sul materasso.
Nella stanza cala il silenzio più totale, e tutti la osserviamo straniti mentre lei si sfila uno degli orecchini a forma di stella.
Una volta tolto l’orecchino, recupera il cellulare e se lo rigira tra le mani osservando attentamente i bordi. Quando trova quello che cercava, utilizza la punta dell’orecchino per aprire lo scompartimento del cellulare in cui si trova la scheda telefonica.
<Ci avrei scommesso!>
Esulta sorridendo e rimettendo il cellulare sul materasso.
Ci avviciniamo tutti, e ci chiudiamo a cerchio intorno a lei per osservare meglio.
Betty estrae il suo cellulare dalla tasca del grembiule da cameriera che ancora indossa, rimuove la cover rosa glitterata e con l’orecchino apre lo scompartimento per la sim.
<Che stai facendo?>
Le chiede Daniel, dando voce ai pensieri di tutti noi.
<Alcuni modelli di cellulare possono contenere più di una scheda telefonica.>
Spiega, inserendo la sua sim accanto a quella di Ade, e rimettendo al suo posto il piccolo cassettino con entrambe.
<Adesso la mia sim è nel suo cellulare.>
Abbandona il cellulare sul materasso e ci guarda sorridendo fiera, mentre noi tutti aggrottiamo le sopracciglia.
<Non serve localizzare lui, ma me.>
Ci illumina, mentre noi, lentamente, arriviamo alla soluzione.
<Cazzo, sei un genio.>
Le sorride Logan.
<Pallino giallo.>
Dico, rammentando la mappa che ho trovato sul cellulare di Logan.
<Localizzando la tua sim, sapremo dove si trova Ade.>
Concludo, guardando fiera la mia amica.
<Ci hai visto lungo, Rick.>
Si complimenta Logan, ed io mi volto per guardarlo storto.
<Dovresti complimentarti con lei per la sua intelligenza, non con lui perché se l’è aggiudicata.>
Lo rimprovero, e lui abbozza un sorriso di scuse.
<Nessuno mi ha aggiudicata, non ero mica all’asta.>
Si difende lei.
<Perché dobbiamo usare la tua sim?>
Le chiede Maverick, cambiando discorso.
<Perché a me è venuta voglia di cambiarla, dato che ti piace curiosare.>
Ci ritroviamo tutti a guardare in basso, come a volergli lasciare la loro privacy, ma Maverick non le risponde. Le sorride, però, lo stesso sorriso di sfida e di complicità che illumina le labbra di Logan quando gli va di giocare con me.
<Bene.>
Dice il serpente, allontanandosi dal letto su cui eravamo chini.
<Domani restituiremo il cellulare ad Ade, e terremo d’occhio il pallino giallo.>
Si gira verso di me e mi fa l’occhiolino.
<Quale pallino giallo?>
Chiede Daniel, confuso.
<Il tuo è verde.>
Gli confida Tom, confondendolo ancora di più.
<Io ho un pallino?>
<Il mio è giallo? Ma io odio il giallo.>
Mentre i nostri amici bisticciano come dei bambini all’asilo, Logan si avvicina a me, silenzioso come il serpente, e mi prende per mano.
<Andiamocene.>
Mi sussurra all’orecchio, e poi mi porta via dalla mia stanza.
Ci richiudiamo la porta alle spalle, e da dentro sentiamo ancora provenire le voci ormai divertite dei nostri amici.
<Che stiamo facendo?>
Gli chiedo, mentre ci allontaniamo dalla porta e raggiungiamo l’ascensore.
Lui preme il bottone per richiamarlo, e quando arriva mi trascina dentro senza darmi una risposta. Non appena le porte si richiudono, e cala il silenzio dentro la piccola cabina, mi prende il viso tra le mani e mi da un bacio appassionato, come se aspettasse di farlo da un sacco di tempo.
<Assaggiamo un po' di vita normale.>
Dice, interrompendo il bacio.
Una volta fuori dal Saudade’s, la sua Kawasaki Ninja viola lucido ci attende sul marciapiede.
Non gli chiedo che intenzioni ha, mentre lui mi passa il casco integrale e ne indossa uno uguale.
Con dei sorrisi sui volti, saliamo sulla moto e lui parte.
Nel tragitto, lo stingo forte, e mi rendo conto di quanto il suo corpo mi sia familiare ormai, di come stringerlo non mi sembri estraneo.
Le mani sul suo petto, le braccia intorno alla sua vita, il mio cuore sulla sua schiena, nulla di tutto questo mi appare strano o inusuale.
È mio. Questo corpo mi appartiene, e il mio appartiene a lui, così come si appartengono i nostri cuori.
Il tragitto è breve, ma quando lasciamo la moto e lui trova un’altra volta la mia mano, sento che questo momento cambierà molte cose.
Fountains of Bellagio, uno degli spettacoli più mozzafiato di Las Vegas.
E quando ci fermiamo davanti ai getti d’acqua danzanti, e Logan si posiziona dietro di me abbracciandomi, mi sento così colma di gioia che mi si bagnano gli occhi.
Ma non sono lacrime da temporale, non è tristezza quella che sento.
È vita.
È vita quella che mi scorre nelle vene, è l’immortale desiderio di vivere.
C’è stato un tempo in cui ho desiderato il caldo abbraccio della morte, ho sperato che arrivasse, in qualsiasi modo o momento, l’ho bramata come un uomo nel deserto brama una goccia d’acqua.
L’ho aspettata, e ho creduto di non desiderare altro che quello.
L’ho chiesta ad un Dio invisibile, e l’ho sognata la notte in attesa che uscisse dai miei sogni.
Desideravo salutare la vita, tempo fa, perché il dolore ti modella a suo piacimento e una volta che ha finito non sei più in grado di tornare com’eri prima.
Ed io volevo spegnermi, zittire il dolore, zittire la paura, chiudere gli occhi e cadere nell’abisso.
Ma adesso, davanti a queste luci e all’acqua che danza, con lui ad intrecciare le dita alle mie, io voglio solo vivere.
Vivere, navigare, nuotare. E magari si, anche soffrire, perdermi nella pioggia, perché anche quello significa vivere.
Voglio fare tutto, non voglio perdermi niente.
Morire significa arrendersi, ed io non mi arrendo.
Io lotto, per me, per lui, per tutti noi.
Per la felicità che non ho mai posseduto, ma che merito.
<Ti ricordi>
Logan mi sposta i capelli dietro una spalla e mi sussurra all’orecchio.
<Quando ti ho chiesto se avevi paura, la prima notte nella torre?>
Sorrido, rammentando quella prima notte a casa sua, la mia ormai amata torre.
<Lo ricordo.>
Gli dico soltanto, continuando a guardare le fontane.
<Quella volta hai detto che non potevi avere paura di qualcosa che non conosci.>
<È vero.>
<E adesso che la conosci, ti spaventa?>
Deglutisco, poi mi giro verso di lui e gli incrocio le mani dietro al collo.
<Ho paura.>
Gli confesso, e mentre io sorrido lui si rabbuia.
<Ma non per me.>
Aggiungo poi, utilizzando le sue esatte parole.
Quella volta, ormai una vita fa, ero una ragazzina viziata troppo impegnata a lamentarsi. Lui era il mio serpente, una palla al piede, un problema da risolvere.
I suoi casini non mi riguardavano, o meglio, non volevo che mi riguardassero.
Ma già a quel tempo i nostri cuori si cercavano, avevano già teso le braccia con la speranza di aggrapparsi l’uno all’altro.
<Io sono solo un bastardo bugiardo, Amanda.>
Mi dice, con occhi d’argento colmi di disprezzo per sé stesso.
<Non merito una persona che si preoccupa per me, non merito una persona come te. Io non merito niente.>
Gli stringo le braccia intorno al collo per avvicinare di più i nostri corpi.
<Tutti noi abbiamo dei segreti, Logan. Per amare davvero qualcuno, bisogna saper andare oltre.>
<Io non sono quello che credi tu.>
Gli appoggio il palmo della mano sulla guancia, e con il pollice gli accarezzo la pelle.
<Tu sei quello che vedo, serpente. Sei quello che mi dai, quello che mi fai provare.>
Adesso anche la sua mano è sulla mia guancia, e in un soffio le sue labbra si poggiano sulle mie, baciandomi piano, come si bacia qualcosa che si ama, così tanto da avere la paura di frantumarlo in mille pezzi.
<Amanda io ti...>
Sussurra sulle mie labbra, e il mio cuore inizia a correre veloce.
<Io ti sento. Ti sento sotto la pelle, nel cuore, nel mio stesso sangue. Ti sento dentro, sei dappertutto.>
E per la seconda volta, i miei occhi si bagnano di pioggia, ma è una bellissima pioggia.
<Questo mio sentirti, asso, va oltre l’inspiegabile. Non è amore, ma neppure un semplice affetto, è…di più.>
In un attimo azzero la distanza tra le nostre bocche, e lascio che le mie labbra reclamino le sue, fondendosi.
<Anche io ti sento, Logan.>
Anch’io ti sento, anch’io ti amo.
Ed è qualcosa che va oltre.
È qualcosa di vivo, che finalmente ci ha trovati.
È qualcosa di infinito, di perenne, di inscalfibile.
Per questo ho paura, perché ti sento.

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