Sedetevi comodi
e tenetevi pronti,
da adesso tutto cambia.
<Sei sicura di volerlo fare?>
Guardo fuori dal finestrino della grande auto nera, e giocherello con l’orlo della gonna.
La cicatrice quasi brilla quando la intravedo con la coda dell’occhio, ma questa volta io sorrido.
Betty è stata entusiasta quando le ho chiesto di prestarmi uno dei suoi abitini corti, e anche se stavamo parlando al telefono ho praticamente potuto vederla mentre saltellava per casa.
Un’ora dopo mi trovavo nel suo appartamento, con lei che mi mostrava un abito dopo l’altro, e Daniel che ci osservava con un sopracciglio alzato. Ho lasciato a Betty il compito di spiegare tutto a Daniel, perché nella mia testa c’era solo un frastuono assordante dopo la nostra conversazione del giorno prima.
Alla fine sono uscita da casa loro con un vestitino rosa ricoperto da tanti piccoli fiori colorati, la gonna e le maniche a sbuffo, e un ampio scollo a V sul davanti.
Mi sono sentita di nuovo bambina, di nuovo una piccola ragazzina con i capelli rossi che ama i suoi vestitini colorati.
Camminando per strada, però, ho avuto come l’impressione che tutti mi guardassero, che posassero tutti gli occhi sulla cicatrice sotto l’orlo della gonna.
Il cuore ha preso a battermi veloce, e per istinto ho accelerato il passo, tenendo giù la gonna con l’intento di coprirmi.
Quando sono arrivata al Saudade’s mi sono precipitata dentro, e sono corsa verso le toilette, respirando a fatica.
Ma quando ho incontrato il mio riflesso allo specchio, e ho ammirato il modo in cui il vestitino mi ricade sul corpo, ho deciso che non voglio più sentirmi così.
Non voglio più nascondermi dal mondo, anzi, voglio che mi veda, che mi osservi e mi studi.
Non voglio rimanere solo un’ombra, io voglio farne parte.
Rialzo il viso, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
<Dici che farei meglio a tornare indietro e dimenticare tutto?>
Tom sbuffa una risata, girato per metà sul sedile, per guardare quelli posteriori su cui sto seduta.
Per fortuna, qualche giorno prima di Natale, ha insistito per lasciarmi il suo numero di cellulare, dicendo che avrei potuto chiamarlo semmai avessi avuto bisogno di un passaggio. Io ho sorriso, perché di certo di macchine e di autisti non ne mancano al Saudade’s.
Però, quando stamattina l’ho chiamato chiedendogli se poteva venire a prendermi nel pomeriggio, non se l’è fatto ripetere.
<Come si fa a dimenticarsi di tutto questo?>
Ricambio il suo sorriso, poi prendo un lungo respiro e appoggio la mano sulla maniglia.
<Allora vado.>
Gli dico, aprendo lo sportello e poggiando un piede fuori dall’auto.
<Buona fortuna.>
Mi saluta con uno dei suoi soliti sorrisi, un sorriso che ormai mi è familiare e fa sorridere anche me.
Richiudo la portiera dell’auto alle mie spalle e prendo a camminare nel grande garage poco illuminato. I tacchi a spillo che Betty mi ha obbligato ad indossare, con mio forte disappunto, rimbombano tra le pareti.
Raggiungo l’ascensore e tiro un lungo respiro prima di premere il pulsante per il piano di sopra, osservando davanti a me l’auto di Tom che si allontana.
Alla fine, con dita tremanti, premo la freccia che punta verso l’alto, e quando si colora di blu le porte si chiudono e l’ascensore inizia a salire.
Quando mi ritrovo nell’appartamento qualcosa mi si annoda nello stomaco, e resto per un attimo immobile davanti l’ascensore.
Una parte di me credeva che non avrei mai più rivisto questo posto, l’altra invece sapeva che sarei tornata.
Come un flashback dal passato, riesco quasi a rivivere i momenti trascorsi qui, tra queste mura che profumano di gelsomini.
Deglutisco, cercando di ritrovare il coraggio, e prendo a camminare verso la cucina, i miei tacchi un fastidioso rumore che mi segue.
Trovo Maverick seduto al bancone, intento a mordere un sandwich, ma la sua bocca si ferma a mezz’aria quando mi vede arrivare, e sgrana gli occhi.
<Cosa...>
Richiude di poco la bocca, mandando giù i residui di cibo.
<Cosa ci fai tu qui?>
Mi fermo a qualche passo dal bancone, incrocio le braccia al petto, e batto con la punta del piede destro sul pavimento.
<Lui dov’è?>
Gli chiedo, dritta al punto, mentre lui aggrotta le sopracciglia.
<Con te me la vedrò dopo.>
Deglutisce ancora, posando il sandwich sul piatto che ha davanti.
<Che ho fatto?>
<Parli troppo.>
Faccio riferimento alla nostra conversazione che ha gentilmente riferito a Logan, il regalo che mi ha inviato per Natale ne è la prova lampante. Lui guarda una volta a destra e una a sinistra, confuso, ma non ho tempo per questo adesso.
<Allora?>
Lo richiamo affinché torni a posare su di me la sua attenzione.
Senza aggiungere altro, allunga un braccio e, con un dito proteso, mi indica una delle porte lungo il corridoio.
Corridoio che a volte ho rivisto nei miei sogni, altre nei miei incubi, mentre uno sparo mi rimbomba nella testa.
Allungo le braccia lungo i fianchi e prendo a camminare in quella direzione, mentre i capelli rossi mi ondeggiano sulla schiena.
Quando arrivo davanti la porta chiusa, non lascio spazio all’esitazione, trattengo il respiro e la spalanco, senza neppure bussare.
Mi ritrovo sulla soglia di quella bizzarra stanza, quella con solo un divano al centro e le pareti bianchissime.
L’ho intravista l’ultimo giorno che ho trascorso qui, quando cercavo Logan, prima che lui mi sbattesse fuori.
Non mi perdo ad osservare la stanza, dato che non contiene nessun tipo di dettaglio, perciò mi concentro solo sul divano al centro e sul corpo disteso sopra.
Logan scatta immediatamente quando mi vede, sgranando gli occhi e mettendosi seduto. Non mi lascio intimidire, non lascio alle farfalle che mi svolazzano nello stomaco il potere di indebolirmi. Muovo piccoli passi fino ad entrare nella stanza, e mi richiudo la porta alle spalle.
Seguono secondi, o forse minuti di silenzio, mentre Logan risale con lo sguardo tutto il mio corpo, dalle caviglie agli occhi.
Io, invece, evito di osservare troppo il suo petto nudo, o il serpente sulla clavicola che mi sorride. Non guardo neppure il pantalone della tuta che gli stringe appena sotto l’ombelico.
Semplicemente lo guardo negli occhi.
<Che intenzioni hai?>
Parla abbattendo il silenzio, e la sua voce mi arriva dritta al cuore come se l’avessi desiderata per tutto questo tempo.
<Scopro la mie carte.>
Sorride di mezzo lato, poi lascia ricadere le gambe da sopra il divano e poggia i piedi per terra, le ginocchia distanziate e i gomiti su di esse.
<Sai, nel poker si scoprono le proprie carte per due motivi.>
Inizia, come se volesse darmi una lezione su un gioco che io invece conosco bene.
<O quando si è consapevoli di avere la vittoria in pugno.>
Continua, incastrando il suo sguardo nel mio.
<Oppure quando ci si arrende.>
Concludo la frase al posto suo, mentre i suoi occhi si stringono appena.
A questo punto si alza in piedi, ma non muove nessun passo verso di me, ed io mi sforzo per restare immobile.
<Qual è il tuo caso, Amanda?>
<Mi arrendo.>
Da fuori potrebbe non sembrare, ma mi ci è voluto un grosso sforzo per riuscire finalmente a pronunciare queste parole.
Lui però sembra non scomporsi, continua a fissarmi, immobile, inclina soltanto un po' la testa.
<E che cosa vuoi?>
<Non voglio più giocare a questo gioco.>
Sorride, quasi soddisfatto dopo la mia ammissione.
<Quale gioco?>
Il cuore mi batte così forte che forse sto rischiando un arresto cardiaco, e per calmare la tensione chiudo una mano a pugno dietro la schiena.
<Quello in cui fingiamo di odiarci.>
Sorride ancora, lui sorride e sorride. Vorrei dargli un pugno su quel maledetto sorriso di sfida.
<E chi dice che io stia fingendo?>
<Mi odi?>
Finalmente trovo la forza per muovere un passo verso di lui, e immediatamente il suo sorriso si spegne, i suoi muscoli si induriscono.
<E tu, mi odi?>
Ribatte, sviando la mia domanda.
<No.>
Rispondo secca, mentre il mio cuore trema, e forse anche il suo, perché per un minuscolo secondo mi sembra di vederlo trattenere il respiro.
<Allora cos’è che provi per me?>
Come se avesse appena spento le sue emozioni, il suo viso si fa serio, e lo vedo stringere la mandibola. Chiude i pugni lungo i fianchi, e muove un passo verso di me, uno sguardo che quasi mi fa paura.
<Amore, forse?>
Deglutisco, sforzandomi di non lasciargli vedere come tremo, mentre lui si muove ancora verso di me con una lentezza predatoria.
<Riesci a provare amore per uno come me?>
Inizio a scuotere la testa, e non so neppure io il perché, so solo che più lui si fa vicino più il mio cuore impazzisce. Una parte di me vorrebbe annullare immediatamente la distanza che ci divide, l’altra invece vorrebbe allontanarsi il più possibile.
<Per uno che ti ha messa in pericolo, ti ha trattata come una bambola, ti ha sputato addosso il suo veleno, e non ti ha mai neppure ringraziata?>
Si ferma a qualche passo da me, con il viso inchinato da un lato, e gli occhi accesi dal fuoco.
<Tu non sei questo.>
Riesco a dire finalmente, cercando di restare dritta sulle mie gambe.
<Ah, no? E chi sono, allora?>
Ha proprio lo sguardo di un serpente, di un serpente in posizione d’attacco, con lo sguardo rivolto alla preda e i denti affilati.
<Sei la persona che si è presa cura di me quando avevo la febbre alta.>
Adesso sono io a muovere un passo verso di lui, piccoli passi rispetto alle sue falcate, ma comunque colmano la distanza a poco a poco.
<La persona che mi ha preparato la mia bevanda preferita, che mi ha stretta tra le braccia quando stavo cadendo schiava dei sensi di colpa.>
Altri piccoli passi, e adesso sento il suo profumo.
<Quella che ha catturato un arcobaleno dentro una bolla di vetro, sapendo che a volte non riesco a trovarlo.>
Arrivo a pochi passi da lui, e in risposta gira il volto, evitando di guardami.
<Vuoi che ti odi?>
Chiedo, fermandomi ad un paio di passi di distanza.
<È questo quello che vorresti?>
Abbasso lo sguardo verso il pavimento, deglutendo e scuotendo la testa.
<Se è questo quello che vuoi, dimmelo.>
Ancora osservando il pavimento, muovo i piedi all’indietro, facendo appena un paio di passi, le mani sopra le spalle in segno di arresa.
<Dimmelo, ed io me ne andrò.>
Una piccola folata di vento mi sposta una ciocca di capelli, e in un secondo Logan è davanti a me, mi afferra per un polso e mi impedisce di indietreggiare ancora.
<Non sono sicuro di molte cose, Amanda.>
Rialzo il capo, ritrovandomi ad un centimetro dalle sue labbra, i suoi occhi già nei miei.
<Ma so per certo che se tu mi odiassi, il mio mondo perderebbe tutti i suoi colori.>
Il mio respiro si fa pesante, mentre lui schiude appena le labbra, così vicine alle mie che i nostri respiri si fondono in uno solo.
A questo punto il ricordo di una vecchia conversazione mi torna in mente, un ricordo perso tra il sogno e la ragione.
<Logan?>
Inizio, mentre il mio seno sfiora il suo petto, i respiri di entrambi ormai troppo profondi e pesanti.
<Una volta mi hai detto che i baci sono un’arma. È vero, oppure l’ho sognato?>
Quasi sussulta, e il suo sguardo saltella tra i miei occhi e la mia bocca.
<È vero.>
Ammette, stringendo appena la presa sul mio polso.
Mi alzo in punta di piedi, avvicinando ancora di più le mie labbra alle sue, così tanto che ormai riescono a sfiorarsi.
<Allora colpiscimi.>
Le sue labbra si posano sulle mie in un lampo, come se per tutto questo tempo avesse solo aspettato il mio permesso.
Sono morbide e calde, e si incastrano alle mie come se fossero sempre state un unico pezzo, per tutta la vita alla ricerca dell’altra metà.
Le schiudo appena, invitandolo a prendere di più, a reclamare quella parte di me che lo aspetta da vent’anni.
Intreccia la sua lingua con la mia, e mentre loro danzano io perdo completamente la ragione.
<Lo sapevo.>
Sussurra, ancora sulle mie labbra.
<Sapevo che avresti avuto un buon sapore.>
Le sue parole mi provocano un brivido lungo la schiena, e incapace di allontanarmi da lui inizio a desiderare di più.
Gli lascio scorrere le mani lungo le spalle, mentre lui mi prende il viso tra le sue e ruba ogni mio respiro, giocando con la lingua e con i denti sulle mie labbra.
Scendo verso il suo petto, e poi ancora giù verso l’ombelico. In risposta lui arriva ai miei fianchi, e con entrambe le mani stringe i miei glutei, spingendo il mio corpo verso il suo.
Sento la presenza di qualcosa di duro e gonfio contro la mia pancia, e questa sensazione mi fa ribollire il sangue e tremare le ginocchia.
Di più, urla tutto il mio corpo, voglio di più.
Mi stacco dalle sue labbra con grande rammarico, ma con la consapevolezza che si tratterrà solo di un breve distacco.
Mi lascio ricadere in ginocchio sul pavimento, lo afferro per l’elastico dei pantaloni, e poi lo spingo giù con me mentre mi distendo sulla schiena.
Quando si ritrova su di me, il suo corpo in mezzo alle mie gambe, le mie porte spalancate per lui, riprende a baciarmi come se volesse rubarmi fino all’ultimo pezzetto di anima. Scende sul mio collo, e poi sulla scollatura del mio vestito, posando baci delicati ma di fuoco sulla mia pelle.
Con una mano grande ed esperta, tira fuori dal vestito uno dei miei seni, con un unico movimento.
Mi ritrovo ad inclinare indietro la testa e ad ansimare quando inizia a mordicchiarmi un capezzolo, leccandomi e mordendomi come se volesse assaporare ogni sfumatura del suo gusto.
Ansimo sempre di più, mentre gli stringo le ginocchia intorno ai fianchi e graffio le sue spalle muscolose.
<Amanda...>
Geme, la bocca ancora sul mio piccolo seno.
Ma io non esisto più, sono fuoco, e aria, e pioggia benedetta.
Sono tutto e niente, la vita e la morte, la tempesta e l’arcobaleno.
Stacco i fianchi dal pavimento, inarcando il mio bacino verso il suo, supplicandolo di darmi il colpo di grazia che tanto desidero.
Lui alza il viso dal mio petto, abbandonando il mio seno che già lo reclama, e mi osserva mentre io mi abbandono sotto di lui.
<Adesso uccidimi, Logan.>
Dico soltanto, e come un leone appena liberato dalla sua gabbia, i suoi occhi color temporale si accendono.
Si alza dal mio corpo il tempo necessario per abbassare l’orlo dei pantaloni fino alle cosce, lasciando uscire quella parte di lui che non sapevo essere la più bella. Alza la gonna del mio vestito fino a scoprirmi le cosce e l’inguine, e per un secondo resta in ginocchio tra le mie gambe, ad osservarmi mentre mi frantumo in mille pezzi.
In viso gli si accende il solito sorrisino beffardo, mentre il serpente sulla clavicola sembra sibilare verso di me.
Un attimo dopo, sposta le mie mutandine sul lato, lasciando scoperta quella parte di me che ormai lo implora.
Con un unico, e deciso movimento, entra dentro di me e colma un vuoto di cui non mi ero mai neanche accorta.
Si muove lento ma forte, e il suono dei nostri corpi che si uniscono rimbomba tra le pareti bianche della stanza vuota.
In ginocchio tra le mie gambe, dentro di me come se quel posto fosse stato costruito apposta per lui, mi osserva con le labbra dischiuse e gli occhi accesi dal fuoco più puro.
Indifesa e arresa, mi lascio andare a gemiti di piacere che arrivano fino all’inferno, ed il suo sguardo compiaciuto manda in tilt tutti i miei sensi.
Inizia a muoversi più veloce dentro di me, e a questo punto non siamo più due persone che si uniscono, ma una sola.
Siamo un unico nucleo di stelle, galassie che si fondono, anime dannate e angeli caduti.
E mentre percepisco il corpo arrivare allo stremo, capisco che cosa stavo aspettando da tutta la vita.
Lui.
Io aspettavo lui e lui aspettava me, tutto è stato compiuto per arrivare a questo momento.
<Finalmente.>
Sussurra, piegandosi verso il mio orecchio, rallentando il suo ritmo.
<Finalmente sei mia.>
Sono sua.
Sono sua in maniera irreversibile, sono sua in questa vita e in tutte le prossime che verranno.
Sono sua con il cuore, e con l’anima, così sua che forse ormai non appartengo neanche più a me stessa.
Lo sono in questo mondo, in quelli precedenti, e in quelli che devono ancora essere scoperti.
E lui è mio.
È stato mio dal primo momento, da quando i suoi occhi di nuvole grigie si sono incastrati nei miei, e il suo nome mi è entrato nel sangue e si è mischiato al mio.
Adesso mi ha uccisa.
Non si torna indietro, non esiste misericordia per me.
Alla fine ho davvero perso il cuore, mi sono lasciata uccidere dal serpente.
Ma se questo è morire, allora vorrei solo rinascere per farmi uccidere ancora.
Vorrei morire, e morire, e morire, ancora e ancora.
Sempre così, sempre incastrata al suo corpo, con le nostre anime che danzano insieme.
Se questo significa morire, allora non ho più paura.
Il serpente mi ha davvero uccisa, alla fine dei giochi, eppure io non mi sono mai sentita più viva.
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Bluff
RomanceLa vita a volte somiglia ad una partita di poker, e Amanda lo sa bene. Per questo motivo ogni giorno mette in pratica gli insegnamenti di Ethan, il suo primo amore. Ethan le ha insegnato tutto sul poker, regole e trucchi, e Amanda custodisce le su...