Babysitter

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<Arrivederci.>
<È stato davvero un piacere, signorina Martin.>
<Alla prossima.>
I giornalisti escono uno per uno dalla porta, stringendo la mano a Logan, mentre io mi limito a sorridere.
Non so che fine abbia fatto la mia voce, non so perché l’imbarazzo ha preso il controllo di tutto il mio corpo.
La cosa che davvero, davvero, non mi spiego è: perché il pensiero di rimanere da sola con il serpente mi mette così in agitazione?
La porta si chiude di colpo, non mi ero neanche accorta che tutti i giornalisti sono ormai usciti. Prendo un lungo respiro e seguo Logan con lo sguardo.
Si dirige verso il carrello con i liquori e riempie un altro bicchiere di cristallo, con il solito liquore scuro.
Mi schiarisco la voce.
<Ti serve altro?>
<No, e a te?>
Risponde senza neppure voltarsi, lasciandomi impalata a parlare alla sua schiena. Mi stupisce il modo in cui ignora totalmente tutto quello che è successo prima, tutto quello che ha detto, mentre io non faccio che pesarci.
Le sue parole sono come un martello che non smette di battere sul chiodo, dentro la mia testa.
<No, non mi serve niente.>
Finalmente si volta, si dirige alla scrivania e si appoggia sul bordo, fissando il bicchiere e facendo roteare il liquido.
<Bene, puoi andare allora.>
Il suo non degnarmi di uno sguardo mi irrita, odio quando la gente non mi guarda mentre mi parla. Giro i tacchi e colmo la distanza fra me e la porta di legno, poggio la mano sulla maniglia ma mi blocco.
<Ottima interpretazione, comunque.>
Gli do le spalle, ma anche senza guardarlo sento il peso del suo sguardo su di me.
<Cosa ti fa credere che sia stata un’interpretazione la mia?>
Mi giro nella sua direzione, porto il peso sulla gamba destra e alzo il piede sinistro sul tacco, incrocio le braccia al petto e sbuffo una risata.
<Non pensi davvero le cose che hai detto su di me.>
Prende un sorso dal bicchiere, ed io mi concentro per un attimo sulla sua gola, mentre deglutisce.
<Le penso davvero, invece.>
Schiocco la lingua e mi giro verso le vetrate.
<Ma fammi il piacere.>
<Non è forse vero che sei buffa, goffa, e che ti piacciono cose poco comuni?>
<Queste potrebbero essere tutte cose vere, ma il resto...hai mentito.>
<Credi sia un bugiardo?>
Mi volto a guardarlo, anche se vorrei abbassare lo sguardo.
Ha posato il bicchiere e si è infilato le mani in tasca, ha anche allentato la cravatta e sbottonato i primi bottoni della camicia. Il serpente mi saluta da sotto il suo collo, e una parte di me vorrebbe scoprire se c’è altro inchiostro sul suo corpo.
<Si, sei un bugiardo.>
Sorride di mezzo lato, e per l’ennesima volta la sua fossetta fa la sua comparsa, fastidiosa e beffarda.
<Credi che io abbia mentito quando ho detto che sei bellissima? Per te è una bugia, quella?>
<Mi stai psicoanalizzando?>
<La psicoanalisi non rientra nelle mie competenze.>
Chissà quante saranno le competenze sul suo curriculum, compreso soggiogare le donne con frasi fatte e patetiche, suppongo.
<Non mi importa il tuo pensiero, comunque, bugia o non.>
<Non è il mio pensiero che deve contare, infatti. È il tuo, tu dovresti pensarti bella.>
<Si, certo.>
Fingo un sorriso e torno a voltarmi verso la porta.
<Abbiamo finito.>
<Aspetta.>
Dice, quando poggio la mano sulla maniglia fredda, e il mio cuore fa una capriola, come se stava aspettando quella parola.
<C’è qualcosa di cui dovrei parlarti.>
Mi volto con le sopracciglia aggrottate.
<Fai in fretta, non ho altro tempo da perdere.>
<La mia presenza ti irrita?>
Rido.
<Tu, mi irriti.>
Si stacca dalla scrivania e si siede su uno dei divani, allunga un braccio sulla spalliera e poggia la caviglia destra sul ginocchio sinistro.
Siede spavaldo e sicuro, come un re su un trono, prima di emettere la sua sentenza.
<Siediti.>
<Sto bene qui.>
Alza gli occhi al cielo, ed io vorrei corrergli addosso e dargli una testata.
<Perché è sempre tutto così difficile con te?>
Sorrido e inclino la testa.
<Perché le cose facili sono noiose, serpente.>
Socchiude appena gli occhi e tenta di nascondere un sorriso, che però noto comunque.
<Siediti, asso. Per favore.>
Stavolta sono io ad alzare gli occhi al cielo, ma mi trascino verso il divano e mi lascio cadere, affondando nei grandi cuscini bianchi.
<Non puoi sederti in maniera più appropriata?>
In effetti la mia postura non è per niente adeguata al luogo o al momento, ho le gambe divaricate e le braccia abbandonate ai lati del bacino. Per niente una signorina raffinata, o elegante. Ma la stanchezza ha preso il sopravvento non appena ho toccato i morbidi cuscini.
<Chi sei, il Papa?>
Aggrotta le sopracciglia e cambia posizione. Adesso siede sul bordo del divano, i gomiti sulle ginocchia e le mani giunte.
<A volte ti comporti come una bambina.>
<Vuoi farmi da papà?>
Cala il silenzio, ed io mi maledico per aver fatto una battuta così vergognosamente imbarazzante.
<Fingerò che tu non l’abbia detto.>
<Già, è sicuramente meglio.>
Sorride, e per qualche motivo viene lo stesso istinto anche a me. Come se mi sentissi a mio agio, libera di stare seduta come un ragazzino maleducato o di fare battute imbarazzanti. Come se mi trovassi con un amico.
<Allora, che devi dirmi?>
Lo vedo inspirare bruscamente, nonostante abbia tentato di nasconderlo.
<Maverick starà con te, per un po'.>
Aggrotto le sopracciglia e socchiudo gli occhi.
<Che significa? Gli serve un posto dove stare? Abbiamo delle camere al casinò, non sarà un problema trovargliene una, non serve che stia con me.>
Sbuffa una risata.
<Ha già un posto dove stare, non intendevo questo.>
<Oh, d’accordo. Allora che intendevi?>
Mi sento improvvisamente un idiota. È ovvio che Maverick non sia alla ricerca di un alloggio, sarà sicuramente ben pagato, è la guardia del corpo di un ricco stronzo.
<Starà con te, al tuo fianco, per un po'.>
Mi metto seduta sul morbido divano, che è diventato improvvisamente scomodo, perché inizio a sentirmi estremamente confusa.
<Non ci sto capendo niente, serpente. Puoi essere più chiaro?>
Si massaggia la mascella, ed io attendo, sempre più in confusione.
<Maverick è la mia guardia del corpo.>
<E fin qui, tutto chiaro.>
Ammicco.
<Sarà la tua, per un po'.>
Muovo le pupille a destra e a sinistra, facendo due calcoli mentali.
<Vuoi dire che mi farà da babysitter?>
<Voglio dire che ti farà da guardia del corpo.>
Mi alzo in piedi di scatto, e lui va indietro con la schiena.
<Non esiste, cazzo.>
Chiude gli occhi, come se si aspettasse questa reazione, poi si alza anche lui.
<Vuoi tenermi sotto controllo? È per questo? Io non sono una tua proprietà.>
<Che cosa? Non voglio tenerti sotto controllo.>
Inizio a camminare avanti e indietro, e a legare i capelli il uno chignon scombinato.
<Ah, no? Allora perché la tua guardia del corpo dovrebbe seguirmi ovunque?>
<Per la tua sicurezza.>
<Si, certo. Non sarò tua prigioniera come in uno stramaledetto film malato.>
Si pianta davanti a me, fermando il mio avanti e indietro.
<Tu non sei mia prigioniera.>
Alzo lo sguardo e sostengo il suo, nonostante la sua vicinanza mi provochi brividi freddi lungo la schiena.
<Il denaro significa potere, Amanda, e la gente da la caccia al potere.>
<Io non ho il tuo denaro, e neppure il tuo potere.>
<Sei anche tu qualcosa di mio, però, come il mio denaro e il mio potere.>
<Io non sono tua.>
Faccio per voltarmi e andarmene, ma mi afferra per il polso e mi costringe a guardarlo.
<Per quanto ne sa la gente, si, sei mia. Lo pensano, e lo crederanno ancor di più quando uscirà l’intervista di oggi, con la nostra foto.>
<E con questo?>
Mi tira per il polso che tiene ancora stretto, e mi fa avvicinare un po' di più al suo petto.
<Ti colpiranno, Amanda, e lo faranno per arrivare a me.>
<So difendermi da sola.>
Avvicina il suo viso al mio, e il suo profumo di gelsomini mi invade le narici. Le nostre bocche sono così vicine che i nostri respiri si mescolano, ed i suoi occhi grigi penetrano nei miei, oscurando tutto il mio verde.
<Non mi importa. Maverick starà con te, perché io ho bisogno di sapere che sei davvero al sicuro.>
Con uno strattone mi allontano da lui, incapace di reggere ancora la sua vicinanza.
<Sono più al sicuro lontano da te, a quanto pare.>
Vedo il suo petto abbassarsi e sollevarsi bruscamente, ma non risponde, ed il suo sguardo non mi abbandona.
Mi rassegno, perché so di non poter fare altro. Ho accettato l’accordo, e questo a quanto pare ne fa parte. Lui non si arrenderà, e insistere non mi porterà a niente.
Inoltre, ho già chi terrorizza i miei sogni, non voglio altri occhi da dimenticare, altre cicatrici sulla pelle. Forse, avere Maverick al mio fianco mi aiuterà a sentirmi più sicura, forse cancellerà la mia paura.
Senza aggiungere altro, mi giro e inizio a camminare verso la porta.
<Chi è, esattamente, che vuole colpirti?>
Dico, una volta arrivata alla porta.
Mi volto per accertarmi che mi abbia sentita, e lo ritrovo seduto alla scrivania, il bicchiere di nuovo in mano. Con un sorso finisce il liquore, poi mi guarda, con uno sguardo così cupo da far invidia alla notte.
<Resta con Maverick.>
Non riceverò una risposta, a quanto pare.
Esco dall’ufficio a testa bassa, mentre Betany mi guarda con lo stesso sguardo che mi ha rivolto quando sono arrivata.
Quando finalmente torno all’aria aperta, prendo un lungo respiro. Mi sembra di essere stata rinchiusa in quell’ufficio per un giorno intero.
Il sole sta già facendo spazio alla luna, il cielo è grigio, e tira un forte vento che fa staccare le foglie dai rami.
È in arrivo una tempesta, ed io sento già i tuoni, dentro di me.
L’auto nera di Tom mi aspetta alla fine dell’alta scalinata, e Maverick sta dritto e immobile accanto allo sportello, con le mani giunte e il suo solito abito nero.
Vivo con la paura da quattro anni, da quattro anni mi sento inseguita da ombre che forse non ci sono. Da quattro anni ho paura che una barba corta e brizzolata possa tornare a graffiarmi, da quattro anni non esco da sola in luoghi poco affollati.
Adesso però i nemici aumentano, adesso non sono più solo i miei, ci sono anche i suoi.
Forse accettare quell’accordo è stato un errore, forse ho mischiato altri guai a quelli che ho già.
Forse, questo è un enorme casino, e stare vicino al serpente è davvero pericoloso.

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