Drago

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Me ne sono tornata a letto sbattendo i piedi più forte che potevo, per poi sbattere la porta della mia camera, ed anche quella del bagno quando mi ci sono  infilata per lasciarmi affogare nell’acqua calda della vasca.
Ho passato l’intera giornata rinchiusa tra queste quattro pareti, e nessuno è venuto a cercarmi, a controllare se fossi ancora viva.
Saltare i pasti è una cosa che mi provoca una rabbia inaudita, perché mi ricorda un periodo buio in cui il cibo era diventato uno dei miei più grandi nemici.
Avevo l’impressione che fosse un mostro in attesa, con le fauci spalancate e l’alito pesante, fermo lì ad aspettare di divorarmi da dentro e uccidermi.
Lo odiavo, il cibo, ma odiavo più me stessa.
Il sole è ormai calato, e il buio portato dal tramonto mi ha cullata, facendomi dimenticare dello stomaco vuoto.
Ho trascorso la gran parte della giornata a leggere, immersa tra le pagine di un libro che è magicamente apparso in uno dei cassetti dell’armadio.
Posso giurare che non c’era niente in quel cassetto l’ultima volta che l’ho aperto.
È una storia assai avvincente, assolutamente compatibile con i miei gusti letterali, come se fosse stato messo lì apposta per me.
Racconta di una giovane ragazza, principessa di un castello troppo grande per il suo piccolo cuore, consumato e avvizzito dai dolori che la vita le ha imposto.
La solitudine la devasta e la calpesta, e la principessa desidera tanto l’amore, degli amici che riescano a scaldarle il cuore.
Finché un giorno, mentre si ritrova prigioniera di una tristezza logorante, un rumore nel castello silenzioso sotto le ombre della notte cattura la sua attenzione.
La principessa segue i rumori lontani, immersa nella luce fioca di una candela, finché non si ritrova davanti ad una porta magica.
Incuriosita, con il cuore che martella nel petto, la ragazza poggia la sua mano delicata sulla maniglia e apre la porta, mentre quella prende a scricchiolare.
Una porta che scricchiola.
La mia mente si risveglia, abbandona il sonno profondo in cui ero caduta qualche ora fa, ma i miei occhi restano in attesa, chiusi.
Ho davvero sentito lo scricchiolio di una porta, oppure la mia mente si è lasciata trasportare troppo dal racconto della principessa e la porta magica?
Eccolo di nuovo, lo scricchiolio di una porta, il rumore di passi che si muovono sul pavimento.
Socchiudo gli occhi, e mi muovo lentamente tra le coperte per ispezionare la stanza.
Niente.
Forse qualcuno in questa dannatissima casa si è ricordato della mia esistenza, ed è venuto a controllare se fossi ancora viva.
Infatti sono viva, a quanto pare, e ormai anche sveglia.
Il mio stomaco riprende a brontolare non appena mi siedo sul letto, cercando di placare il mio battito cardiaco che si stava già agitando.
Guardo fuori dalle vetrate, la notte è ormai scesa sicura sulla città, e il silenzio l’avvolge come una coperta. Per quanto possa essere silenziosa la città dei peccati.
Dopo il brusco risveglio, e lo stomaco simile ad una voragine stracolma di niente, dormire non è un’opzione al momento.
Scosto le coperte, scoprendo le mie gambe nude e la t-shirt che mi copre appena le cosce.
Scendo dal letto, e i miei piedi si abituano immediatamente alla temperatura leggermente più fresca del pavimento.
Raggiungo la porta, ormai leggermente socchiusa, nonostante io l’avessi chiusa sbattendola quando sono tornata nella mia camera, dopo il litigio con il serpente.
Ennesima prova, a quanto pare, che qualcuno è venuto ad accertarsi che respirassi ancora.
Esco nel piccolo corridoio buio, ed inizio ad incamminarmi a passo tranquillo verso le scale.
Ma un rumore cattura la mia attenzione alle mie spalle, e d’improvviso mi sento come quella principessa del libro.
Mi giro di scatto, e seppur velocissimo, mi sembra di aver visto un movimento all’angolo del corridoio.
Strizzo gli occhi per mettere a fuoco, ma non vedo assolutamente niente da quelle parti, perciò suppongo che la lettura di quel libro abbia suggestionato la mia mente a livelli quasi esagerati.
Mi rigiro e continuo a camminare, ma a quel punto lo sento.
Dei passi, dietro di me.
Mi seguono scaltri, attenti a stare al passo con la mia andatura, senza emettere troppo rumore.
Io però ho sentito, e adesso il cuore mi batte veloce, mentre le mie gambe continuano a muoversi come mosse da un vento fantasma.
Non girarti, mi urla il mio angelo custode, ed io l’ascolto volentieri.
Se ho imparato qualcosa sul serpente, durante questi giorni di inferno, è che lui è in grado di muoversi immerso nel silenzio più totale.
Proprio come un vero serpente, lui striscia silenzioso, e non ti lascia accorgere della sua presenza a meno che non lo desideri lui stesso.
E come lui, anche il resto della sua cricca ristretta è in grado di farlo, probabilmente merito del troppo tempo trascorso in sua compagnia.
Fatto sta che Logan, Tom e Maverick, non mi lascerebbero sentire il rumore dei loro passi alle mie spalle. A meno che non vogliano farsi notare, ma se l’avessero voluto avrebbero già chiamato il mio nome vedendomi accelerare il passo.
Arrivo alle scale quasi correndo, e anche i passi dietro di me si fanno più veloci.
Scendo i gradini pregando di non inciampare, e mi dirigo alla svelta verso il corridoio perennemente buio accanto la cucina.
Le porte si susseguono veloci e sfocate accanto a me, mentre io sfreccio veloce verso l’ultima stanza.
Non so perché proprio quella, non so perché non la stanza con il tavolo da biliardo, dove si trovano pesanti palline e lunghe stecche di legno.
La porta dell’ufficio di Logan è semi aperta, e da dentro proviene una luce fioca. Entro dentro la stanza più veloce che posso, senza permettere al mio sguardo di posarsi sul corridoio alle mie spalle. Richiudo la porta dietro di me, provocando un forte tonfo che rimbomba per tutta la stanza, e mi abbandono con la schiena al legno che mi separa da quell’ombra.
Annaspo e boccheggio, mentre il mio petto si abbassa e si solleva in maniera frenetica, chiudo gli occhi e il mio battito mi rimbomba nelle orecchie.
<Amanda>
Riapro gli occhi di scatto, e metto a fuoco la figura di Logan in piedi dietro la scrivania, gli occhi spalancati e l’espressione in allarme.
<C’è...io...c’è...>
Cerco di ritrovare la voce, cerco di non lasciare spazio alle lacrime, e di ritrovare il giusto metodo per respirare regolarmente.
<C’è qualcuno.>
Riesco a dire finalmente, aspettandomi che lui scoppi a ridere, prendendomi per pazza. Ma non è ciò che accade.
I suoi lineamenti si induriscono di colpo, e il suo corpo si muove sicuro, come se avesse già compiuto quei movimenti decine di volte.
Si abbassa veloce su uno dei cassetti della scrivania, e tira fuori una grossa pistola nera, lucida e incredibilmente mozzafiato.
Resto immobile a fissarlo da davanti la porta, con i palmi premuti sul legno, dietro alle mie gambe.
Il cuore mi batte veloce, e le ginocchia iniziano a tremarmi quando lo vedo controllare la pistola e caricarla.
Con l’eleganza di un guerriero esperto, studia l’arma in maniera minuziosa ma veloce, ed il suo sguardo non trasuda paura di alcun tipo.
Con tre grandi passi annulla la distanza tra di noi, e in un attimo mi è di fronte, mentre io lotto con il nodo che mi si è appena formato in gola.
<Prendi questa.>
Dice, porgendomi la pistola dalla parte del manico, io non oso neppure alzare una mano per raggiungerla.
<Prendila e nasconditi sotto la scrivania.>
Esito ancora, e il mio sguardo si muove dalla pistola ai suoi occhi, che non lasciano mai i miei.
<Volevi imparare a sparare? Bene, questa è la tua occasione.>
<Ma che stai dicendo?>
Quasi mi metto urlare, portandomi una mano alla bocca.
<Non so neppure come si tiene in mano quella cosa, non so come si usa, è più probabile che faccia del male a me stessa piuttosto. Non la voglio.>
Mi porto le mani tremanti ai capelli, e lascio che i miei occhi si bagnino appena, mentre la mia voce si fa incerta.
Logan mi afferra il polso, mentre muovo la mano nervosa tra i capelli, poi avvicina la mia mano alla sua e ci posa sopra il manico della pistola, senza però lasciare andare l’altra estremità.
<Prendila, Amanda, e nasconditi. Per usarla devi solo premere il grilletto, avvicinati il più possibile, così sarà più facile centrare il bersaglio. Ma non avvicinarti troppo, non rischiare che delle luride mani si posino su di te, o che un coltello possa toccare la tua pelle.>
Mani. Coltello. Pelle.
<Io...>
Balbetto, cercando di resistere all’istinto di gettarmi tra le sue braccia e piangere come una bambina terrorizzata.
<Non posso, non posso farlo. Resta con me, ti prego, resta qui. Io non...non ce la faccio.>
Senza darmi il tempo di accorgermene, Logan molla la pistola nelle mie mani, ed anche il polso che prima mi teneva stretto.
Mi prende il viso tra le mani, mentre i miei occhi lasciano scendere qualche lacrima, e lui avvicina il suo viso alla mio, lasciando che i suoi occhi penetrino nei miei.
<Puoi farcela, asso, devi farcela.>
<No, no, no.>
Ripeto, scuotendo la testa e versando lacrime salate.
<Ehi, guardami.>
Alzo lo sguardo e lo incastro al suo, mentre la sua fronte preme sulla mia.
<Resta concentrata, Amanda, resta lucida. La paura è un’arma che può ucciderti, o farti uccidere, non permetterle di prendere il sopravvento.>
Non riesco a parlare, ormai soffocata dai singhiozzi. Logan mi asciuga le lacrime con i pollici, mentre si stacca da me lentamente, ed io cerco di cacciare via il terrore che mi attanaglia lo stomaco.
<Vieni qui.>
Dice, prendendomi per mano e accompagnandomi alla scrivania.
La pistola pesa nella mia mano, troppo grande per le mie piccole dita.
È fredda, e mi da l’impressione che il freddo mi entri dentro, riempiendomi di ghiaccio gli organi.
Logan mi fa rannicchiare sotto la scrivania, ed io cerco di non guardare la grossa pistola che tengo in mano, resto concentrata su di lui.
<Sei il drago, ricordi? Non la principessa fragile e delicata rinchiusa nella torre.>
Vorrei sorridere, ma le mie labbra sembrano come sigillate, perciò mi concentro soltanto sulle sue dita, che si sono intrecciate alle mie.
<Drago.>
Dice un’altra volta, allontanandosi da me poco alla volta.
<Me lo prometti?>
Le nostre mani restano sospese tra di noi, ancora strette l’una all’altra, come se nessuno dei due avesse il coraggio di lasciare andare l’altro.
<Te lo prometto.>
Riesco a dire alla fine, con la voce in un sussurro.
Lui prende un grosso respiro, che gli fa alzare le spalle e poi riabbassarle di colpo.
E, alla fine, come se avesse combattuto a lungo dentro sé stesso per convincersi a farlo, lascia andare la mia mano.
Mentre lui si avvicina alla porta, e la apre lentamente, senza emettere il minimo rumore, io resto con la mano sospesa davanti a me, come in attesa che la sua torni a stringermi.
Lo sento uscire, e richiudersi la porta alle spalle, ancora senza emettere un fiato.
Drago, drago, drago.
Non principessa indifesa.
Drago, drago, drago.
Sento provenire dei forti rumori dalla cucina, urla strozzate, il suono di oggetti che cadono e corpi che si scontrano.
Drago, drago, drago.
Sento un forte tonfo, e la voce di Logan mi penetra nella testa, mi arriva al cuore e lo fa battere veloce.
Drago, drago, drago.
Non posso restare qui, nascosta come una codarda, come un’inutile indifesa. Mentre lui lotta per noi, per me.
Mai più inutile e indifesa, mai più.
Drago, drago, drago.
Stringo più forte la presa sulla pistola, e poggiando il palmo della mano libera sul pavimento faccio leva e mi alzo su ginocchia tremanti, uscendo dal mio nascondiglio.
Cammino piano verso la porta, mentre un altro tonfo mi fa sussultare.
Drago, drago, drago.
Apro la porta, e i rumori si fanno più forti, mischiati a urla e ansimi.
Esco dall’ufficio di Logan, stringendo la pistola con entrambe le mani, e cammino attaccata alla parete lungo il corridoio.
Arrivo al grande salone dopo la cucina, e proprio lì, in fondo alle scale, due ombre nere catturano la mia attenzione.
Due corpi, uno inerme sul pavimento, il volto pallido e le mani che fendono l’aria. L’altro, accovacciato sul primo, il volto cattivo e privo di umanità, e le mani strette intorno al collo dell’uomo sul pavimento.
Logan.
È di Logan il corpo sul pavimento, è lui che apre la bocca in cerca d’aria, mentre le sue braccia si abbandonano sul pavimento, bloccate dalle ginocchia dell’uomo senza volto.
Non riesco a scorgere il volto dell’uomo, infatti, perché il buio danza con lui, coprendogli i lineamenti duri e senza pietà.
Vedo le sue mani, però, vedo come si stringono sempre con più forza intorno al collo di Logan.
Logan.
Il suo petto si alza e si abbassa in maniera brusca, e lui boccheggia, gli occhi imploranti d’aria.
Ma l’uomo a cavalcioni su di lui non ha nessuna intenzione di lasciargliela assaporare, gliela vuole togliere tutta quanta, fino all’ultimo respiro.
Drago, drago, drago.
Mi ripeto, mentre la mia gola si piega in un urlo, e il nome del serpente esce dalle mie labbra come una preghiera disperata.
Premo il dito sul grilletto, e la pistola si muove tra le mie mani, lasciando volare libero un proiettile nel buio.
L’attimo dopo mi ritrovo in ginocchio sul pavimento, la testa tra le mani e le lacrime ad annegarmi.

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