68. We'll be a fine line...

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PRIMA PARTE


il capitolo è molto lungo e oserei dire anche doloroso. Troverete delle immagini AI prima dei POV e che servono a "spezzare" in più parti il capitolo. Mi serviva un modo per darvi i punti di vista di tutti nello stesso momento.
E per darvi un'idea ancora più "piena" subito dopo la foto avrete un POV esterno, quasi onnisciente alla vicenda, prima che parta quello del personaggio effettivo.
Vi lascio alla lettura ❤️

Questo è il penultimo capitolo prima dell'epilogo.

We'll be a fine line

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We'll be a fine line.


Seduta, con le mani a mantenersi i capelli, c'era Skylyn Miller. Il volto chinato verso il basso, le spalle che tremavano a causa del pianto.
Le labbra spaccate.
Un'anima spezzata in due.

Accanto, suo fratello Will, guardava un punto vuoto della sala d'attesa in cui si trovavano.
In quegli occhi si leggevano troppe emozioni messe insieme. Così tante che sembrava quasi impossibile e a tratti spaventoso, che qualcuno potesse provare così tanto. Tanto da non poterlo esternare con niente.
Da non poter piangere. Da non poter nemmeno urlare.
Così tanto, eppure così niente.

Il maggiore, Dean, era in piedi. Camminava avanti e indietro, con fare nervoso. Si tirava i capelli con le mani. Aveva persino provato a tirare a pugni il muro. Le lacrime gli rigavano le guance e non provava in alcun modo a fermarle.
Era arrabbiato.
Ma non sembrava avercela con qualcuno in particolare.

Dalla sua espressione sembrava proprio che ce la avesse con sé stesso, invece.

Ma piano piano stava scomparendo anche la rabbia.
Anche lui, come gli altri due, non aveva più niente alla quale aggrapparsi. Cercava disperatamente di mantenersi ancorato a quell'emozione negativa, pur di non dover affrontare altro.
Ma la consapevolezza cominciava ad arrivare.
Sempre con più fretta e violenza.

Le parole mancavano a tutti.
Eppure, si poteva benissimo leggere cosa stesse accadendo nelle loro menti solo attraverso un rapido sguardo.

In quell'ospedale vigeva il caos. Arrivavano feriti, persone preoccupate per i propri cari, medici che non sapevano più dove dirigersi.
Il tragitto scuola-ospedale non era mai stato così lungo e affollato come quel giorno. Si sentivano ancora le sirene delle ambulanze, dei pompieri e della polizia.
Era tutto allo sfascio.
L'intero quartiere era stato colpito, insieme ad innocenti.

In questa piccola sala, invece, c'era solo silenzio.
Un silenzio straziante.

Così doloroso da sembrare eterno.

Quello lì era proprio il ritratto di una famiglia, ora distrutta.
Completamente a pezzi.

Lottare per rimettersi in sesto sembrava impossibile.
E poi, non ci avrebbero neppure provato.

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