Prologo

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Cinque anni prima

Cammino avanti e indietro per il salone, cercando di regolarizzare il respiro e mettere a tacere la mente.

È una pessima idea, Skylyn.Pessima.

Ma poi eccolo lì, di nuovo.

Un colpo.Un altro ancora.

Urla, urla di dolore miste ad urla di rabbia.

Rabbia pura, una di quelle che ti trasforma, sulla quale non hai il minimo controllo.

Rumori di piatti che si frantumano, mobili rovesciati a terra.

Un pianto isterico, seguito da suppliche che giungono chiare al mio orecchio.

Non posso starmene con le mani in mano.

Tremante, ma lo stesso sicura di ciò che sto per fare,compongo il numero.

Le grida si intensificano ed io stringo gli occhi, come se questo mi permettesse di spegnere il mondo circostante e fermare ciò che sta accadendo nella casa a fianco.

E poi sento la sua voce.Mentre cerca di fermare il padre e urla più forte di lui, ricevendo forse l'ennesimo pugno o schiaffo.

«Pronto,qual è l'emergenza?» la voce giovane di una donna giunge al mio orecchio.

«Volevo segnalare un caso di violenza domestica.Rikers Island,il palazzo di fronte al parco,4 piano.Faccia in fretta.» parlo velocemente,con il respiro spezzato.

«Chi è che parla?»

«Ruth Dimans.» mento,dicendo il nome di una vecchia al piano di sotto,che soffre di alzherimer.«Una vicina di casa.»

«Stiamo arrivando.Sa dirmi cosa sta succedendo?»

«Riesco ad udire soltanto urla, minacce di morte, pianti, oggetti distrutti e schiantati contro il muro.Credo ci sia un ferito.»

«Ha idea di quante persone ci siano in casa?»

«Tre.»

«E i soggetti pericolosi sono?»

«Uno.Uno soltanto.» sospiro.«Fate in fretta.» dico quando sento un altro tonfo.Attacco la chiamata, calpestando sotto i piedi il telefono rompendolo in mille pezzi per poi buttarlo fuori dalla finestra.

Nessuno deve sapere che sono stata io.

Crederanno tutti alla storia della vecchia rincitrullita e nessuno dubiterà di me.

Mi mordo le unghie, rimanendo ferma davanti alla finestra aspettando che arrivino i soccorsi e ritrovandomi a sperare, che le urla non cessino,perché in caso contrario significherebbe solo una cosa:

non c'è più tempo.

Significherebbe che l'ho chiamati troppo tardi, e che non sono riuscita a salvarlo.

L'istinto di bussare a quella maledetta porta mi preme più del solito, ma so che non porterebbe a nulla di buono.

Lo so perché già ci provai.

E peggiorai soltanto la situazione.

Ora c'è bisogno di qualcuno che lo fermi per sempre e non di una quattordicenne qualunque che prima o poi finirà nei guai perché incapace di farsi gli affari propri.

Ma non posso fare finta di niente.Non quando si tratta di lui.

Un sospiro di sollievo e una leggerezza inaspettata all'altezza del petto mi coglie, quando vedo la volante di polizia parcheggiare dinnanzi il mio palazzo.

Ma dura troppo poco, perché all'improvviso tutto tace e l'unica cosa che resta è il battito irregolare del mio cuore che prende a martellare tanto da fare male.

Con le gambe che si muovono da sole, raggiungo la porta e abbasso la maniglia,osservando dalla soglia i poliziotti entrare nella casa di fronte.

E la scena che mi si palesa di fronte, so già che mi perseguiterà la mente,forse per sempre.

Sento la gola stringersi come se qualcuno mi stesse soffocando, lo stomaco capovolgersi e le gambe cedere.

No,no,no.

Seduto a cavalcioni sul corpo ormai senza vita di suo padre, con un coltello ricoperto di sangue tra le mani e lo sguardo indecifrabile.

Succede tutto così in fretta quando nella mia mente tutto si percorre a rallentatore.

Lo vedo non opporre resistenza quando gli agenti senza delicatezza lo prendono per le spalle, facendolo alzare e trascinandolo via con le urla di Rose di sottofondo che pregano affinché lo lascino andare.

Lo guardavo andare via.

Come si guarda un fiore mentre appassisce.

Come quando guardi il cielo e non vedi più il sole,coperto da nubi e nubi grigie che preannunciano un temporale.

Come quando l'autunno è arrivato e vedi le foglie cadere piano piano dall'albero, rendendolo spoglio.

Come quando ti strappano dalle mani la cosa più bella che ti sia mai capitata e non puoi fare altro che guardarla andare via,col cuore che sanguina e le ossa che piangono.

Lo guardavo con un buco nel petto,che si espandeva ad ogni respiro e che non aveva alcuna intenzione di rimpicciolirsi.

Sentivo il suo dolore sulla pelle,come se fosse mio.Migliaia di aghi si conficcavano nella profondità della mia essenza, guardandolo col volto e il resto del corpo ricoperto dal sangue della vita che lui aveva appena preso.

Si accorse della mia presenza e questo bastò a fargli alzare lo sguardo nella mia direzione.Come se ci fosse stato un richiamo, un legame invisibile e indissolubile, tra noi che lo abbia avvertito che ci sono.

I nostri occhi si trovarono e si unirono in attimi che sembrarono eterni e fu quello il momento in cui lui prese la piena consapevolezza di ciò che avevo appena fatto.

Sapeva che ero stata io a chiamare la polizia.

Sapeva che era colpa mia.

Con le mani legate dietro la schiena e nessun segno di cedimento o pentimento negli occhi,distolse lo sguardo e si lasciò trascinare via portandosi con sé il mio cuore che era sempre stato suo.

«No!Non portatelo via!» provai ad oppormi,facendo un passo avanti ma questo bastò per essere bloccata.«No,no,nourlai ma ormai era troppo tardi.

Avevo appena commesso l'errore più grande della mia vita.

E sapevo con certezza che lui non me l'avrebbe mai perdonato.

Ma soprattutto sapevo, che prima o poi, lui si sarebbe vendicato.

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