CAPITOLO 9

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WAYNE


Cos'era successo?

Non riuscivo a darmi una risposta, come non riuscivo a togliermi di dosso la sensazione del suo corpo appiccicato al mio. Aveva scherzato, stava giocando quando mi era salita addosso per placarmi a terra, nei suoi occhi era viva quell'infantilità di un'innocente bambina che voleva giocare, vincere, dominare e sentirsi forte. Mi aveva guardato con l'aria vittoriosa di chi era riuscita ad avere la sua rivincita, dopo che l'avevo tirata al limite dimostrandole che lì dentro nulla era facile come si era aspettata, lì dentro per vincere dovevi vendere anima e corpo al diavolo. A me.

Aveva combattuto fino a spendere ogni briciolo della sua pazienza, della sua forza, dell'adrenalina che le si era iniettata nelle vene pur di dimostrarmi che poteva farcela anche se malconcia, dolorante e stanca com'era dopo ciò che le avevo fatto passare. Più la rimandavo a terra, più si rialzava con il fuoco negli occhi di chi non riusciva a darsi pace al solo pensiero di perdere.

Quella ragazza era fuoco, fuoco puro, fiamme di caparbietà e testardaggine.

La stavo tirando allo sfinimento, volevo che arrivasse a non avere più energie, che crollasse e sparisse permettendomi così di ritornare alla mia vecchia routine, ma più io le mettevo di fronte una fila di ostacoli, più lei si sforzava di superarli.

Era esasperante, non riuscivo a farla impazzire, a farle cambiare idea, a farla scappare. Ma ci sarei riuscito in qualche modo, non era fatta per un posto come quello, era troppo delicata, troppo vulnerabile e debole per scontrarsi contro quel mondo.

Era piena di segni, la tutina che indossava durante gli allenamenti li lasciava scoperti tutti, impressi su quella pelle di porcellana chiara come la neve. Non avrebbe retto ancora per molto, era cocciuta, ormai l'avevo capito, pur di dimostrare al mondo di potercela fare si sarebbe fatta fare a pezzettini, ma io le avrei mostrato quei limiti che non riusciva a darsi da sola. Le avrei fatto capire che ad un certo punto si sarebbe dovuta arrendere o sarebbe crollata definitivamente.

Mi infilai una maglietta nera e dei jeans. La giornata era finita, avevo rispedito tutti nei propri spogliatoi e io mi ero rintanato nel mio per cambiarmi. Poco dopo sarei dovuto salire a controllare alcuni affari con mio padre, c'erano in programma alcune missioni e dovevo scegliere chi della mia squadra mandare in spedizione.

Mi corrodeva da dentro l'idea di non poterci andare anch'io, non ero mai mancato a nessuna trasferta, ma purtroppo dovevo occuparmi di una bambina capricciosa che continua ad ostacolare i miei piani. Avrei mandato Kyle al mio posto, di lui potevo fidarmi e poi mi avrebbe riferito ogni aggiornamento su ogni caso.

Sentii in corridoio delle voci che passavano accanto alla mia porta, stavano andando tutti via, così uscii per controllare che lei non se ne andasse.

Mi appostai in corridoio di fronte allo spogliatoio delle signore, ma ad uscire furono le altre, lei non si stava dando una mossa, come al solito mi avrebbe fatto aspettare. Non la sopportavo, ogni volta mi toccava aspettarla, era indisponente, sembravo il suo segretario.

<<Reed, hai bisogno di qualcosa?>> La voce squillante di quella che mi pareva di ricordare si chiamasse Samantha, mi fece vibrare i timpani quando uscì notandomi lì, in piedi, appoggiato al muro.

<<No.>> Fui lapidario, non sopportavo chi si faceva gli affari altrui e se non le avevo rivolto parola nel vederla uscire, non aveva di che preoccuparsi, voleva dire che lei non c'entrava e che doveva continuare per la sua strada. Ma a quanto pare era difficile da comprendere come concetto.

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