CAPITOLO 28

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WAYNE


Non gliela stavo lasciando, non era mai stata mia dunque non avevo nulla da dovergli concedere. Era libero di avvicinarsi, toccarla se lei glielo concedeva, guardarla se lei lo guardava e parlarle se lei gli rivolgeva la parola. Non avevo alcun diritto di allontanarli, soprattutto perchè avvicinarli era l'esatto motivo per cui ero lì, farlo ingelosire per far sì che trovasse il coraggio di farsi avanti. Era stato fin dall'inizio quello il motivo, oltre che per la denuncia cancellata, per cui avevamo messo in scena quella bugia che stava diventando troppo pesante per essere rimasta ancora tale. Era tutta una bugia, eppure mentre camminavo per raggiungere i giardini sul retro di quella villa sfarzosa e fatiscente, sentivo di voler tornare indietro, ficcargli un coltello nella schiena e tornare al mio posto che in quel momento avevo lasciato vuoto e che lui, aveva occupato senza farsi il minimo problema.

Non mi voltai per guardarli ballare insieme, perchè sapevo che sarei tornato indietro per spaccargli la faccia; stava poggiando le mani dove le avevo poggiate io, la stava toccando e tutti a guardarli altro non vedevano che dimostrazioni di affetto fraterno, io invece sapevo le vere intenzioni di quel bastardo.

Ciononostante non ero lì per ostacolarlo, ma per spingerlo tra le sue braccia, tra le braccia di una donna innamorata di un altro, del suo principe azzurro.

Una donna che aveva la capacità di mandarmi nel pallone. Non era possibile.

L'avevo vista vestita da maschiaccio, l'avevo vista con dei jeans attillati da paura e un corsetto creato dal diavolo, ma quella sera sembrava quasi un angelo sceso dal cielo per condannarmi a morte certa.

Indossava un lungo abito a sirena, con uno spacco che avrei desiderato sfruttare per arrivare prima a ciò che non riuscivo a togliermi dalla testa, e che lasciava scoperta la gamba lunga e slanciata affilata dal tacco a spillo che portava ai piedi. Le disegnava le forme a meraviglia, era un cazzo di angelo, le mancavano solo le ali, tuttavia con me non poteva far la parte della santarellina, io sapevo di cosa fosse capace quella donna.

Quanto potesse fottere la mente di un uomo a meraviglia.

La odiavo, cazzo se la odiavo, erano giorni che il solo vederla mi stava mandando al manicomio.

Con quei suoi capelli neri corvino, lunghi e setosi che le scivolavano lungo la schiena in una cascata infernale.

Il viso da ragazzina, i cui tratti erano stati accentuati dal trucco che non ero abituato a vederle in viso e di cui non aveva affatto bisogno, porca puttana era come ridipingere la Venere di Botticelli passandoci sopra altra pittura.

Era bella se non la più bella ed io ero la bestia, per lei ero il male impersonificato.

Raggiunsi i giardini della villa scendendo i gradini che portavano a questa distesa verde perfettamente curata, che dava su uno spettacolo di onde. Quella villa si affacciava sull'oceano e il giardino era circondato da una ringhiera di marmo, a cui era appoggiato un uomo, alto e spallato che non mi serviva neanche vedere in faccia per riconoscerlo.

Non sapevo neanche perchè avessi accettato di parlarci ancora, forse per continuare a recitare al meglio la mia parte, o forse solo per conoscere meglio chi si celasse dietro la maschera di Damon Miller, un uomo che nascondeva più cose dei segreti stessi.

Con passo lento mi avvicinai a quella ringhiera di marmo lasciando che il lieve venticello che soffiava quella sera mi rinfrescasse i nervi, avevo bisogno di una svegliata, stava diventando tutto troppo per me, a stento mi riconoscevo.

Non dissi nulla, non annunciai il mio arrivo con un saluto, semplicemente mi appoggiai anch'io a quella ringhiera con i gomiti osservando l'orizzonte. L'oceano era calmo, lievi onde ne spiegazzavano la superficie.

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