CAPITOLO 25

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WAYNE

Non sapevo neanche perchè fossi ancora lì.

Mi ero prefissato delle regole che non avrei mai e poi mai dovuto infrangere, per riuscire a mantenere ancora intatto quel briciolo di stabilità mentale che mi rimaneva in corpo, a quanto pareva però non riuscivo più a neppure io a rispettare me stesso. Non sarei dovuto essere lì, erano quasi le otto e la mia giornata di lavoro stava per incominciare, eppure ero ancora lì che guardavo il mio orologio attendendo di vederla spuntare dalle porte del palazzo com'ero abituato a fare la settimana prima.

Non ero più il suo tutor, poteva allenarsi con i suoi compagni come facevano tutti ma mi aveva chiesto di aspettarla e, per qualche strana ragione ancora a me sconosciuta, era proprio ciò che stavo facendo. La aspettavo. Non l'avevo fatto la mattina prima perchè ero certo che sarebbe arrivata più tardi, ma quando ci si prefissava delle certezze su di lei, Juliette Miller era in grado di mandarle a puttane.

Non si era presentata, non aveva avvisato, semplicemente non era venuta senza giustificare nulla a nessuno e questa cosa mi aveva fatto imbestialire. Mi aveva solo rubato altro tempo che avrei dovuto passare a pensare al mio lavoro, alla mia squadra, invece di pensare a che ora sarebbe arrivata, come si sarebbe comportata, cosa sarebbe successo. Se stava bene e se aveva chiarito con quel bastardo di suo padre, o meno.

Io che mi interessavo di fatti privati di altri, era a dir poco assurdo.

A me non importava di lei, dal momento però che i suoi sbalzi di umore influivano sulla mia squadra, ero in dovere di informarmi sui risvolti della sua vita privata. Tutto qui.

Mancavano due minuti alle otto e più tempo passavo a fissare i minuti che scorrevano, più sentivo che con lei stavo perdendo solo del tempo prezioso, se fosse mancata anche quel giorno senza avvisare l'avrei licenziata, non sapeva cosa volesse dire il rispetto nei confronti del suo datore di lavoro. Non era perchè non faceva un lavoro ordinario che allora poteva prendersi tutte quelle libertà. In quel lavoro, forse anche più degli altri, la puntualità era importantissima.

Arrivai a pensare che probabilmente non sarebbe arrivata neanche quel giorno e già ero pronto a firmare la lettera del suo licenziamento, mi conosceva ormai, sapeva quanto fossi fissato su certe cose eppure se ne fotteva e così avrei fatto anch'io.

<<Capitano!>> Quando ecco che la sentii.

La sua voce mi obbligò ad alzare lo sguardo e fu allora che la vidi arrivare, sorridente e raggiante come non la vedevo da un paio di giorni, saltellava come una bambina il primo giorno di scuola, tanto era felice e rilassata, come se quel giorno il sole avesse iniziato a splendere solo per lei.

Indossava come tutti i giorni quei suoi vestiti larghi e sgualciti, aveva i capelli leggermente scompigliati e quando si avvicinò l'odore di fumo che aveva addosso mi fece storcere il naso. Tuttavia era felice, rilassata, era tornata in sè e un leggero peso che mi si era poggiato sul petto dal giorno prima si dileguò. Stava di nuovo bene.

<<Sei in ritardo.>> Borbottai irritato iniziando ad avviarmi verso l'ascensore con lei al seguito che, quella mattina, non sembrava sentire la fatica di reggere il mio passo velocizzando il suo. Probabilmente anche gli allenamenti giovavano alla sua prestanza, peccato che rovinasse tutto con il fumo.

<<Errore, sono le otto in questo preciso istante, non sono mai stata più puntuale.>> Il fatto che non potessi contraddirla mi irritò soltanto di più, era arrivata puntuale, aveva ragione, non potevo darle torto ma in ogni caso non l'avrei mai ammesso. <<Mi sono svegliata carica, ho proprio voglia di allenarmi sai? Potrei alzare anche uno di quei bilancieri che sollevi tu, quelli pesanti, mi sento fortissima.>>Entrò con me nell'ascensore che avrei odiato da quel momento fino alla fine dei miei giorni, erano le otto e lei già parlava senza sosta, quasi quasi la preferivo quando era triste e taciturna, pensai.

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