CAPITOLO 65

752 42 26
                                    




JULIETTE

Era proprio vero che diventare madre ti cambiava molto, io in primis ne ero la conferma e più guardavo la piccola immensa gioia che mi aveva regalato la vita, più sentivo che per mio figlio io avrei fatto di tutto, mentre per parecchi anni mi era sempre e solo importato di me stessa.

Lui era più di un pezzo della mia anima. Era la possibilità che la vita mi aveva concesso di prendermi la mia rivincita, l'occasione di regalare a lui ciò che io non avevo mai avuto, l'occasione di regalare alla me bambina tutto ciò che mi era mancato, perchè in lui vedevo anche me stessa. Il mio lato curioso, quello bisognoso di attenzioni, quello segretamente affettuoso.

Quel piccolo esserino adorabile era tutto ciò che di salvabile vi era ancora in me e tutto ciò che mi aveva fatto innamorare di suo padre, la persona che si permetteva di essere quando non si ostinava a privarsi della felicità.

Se ne era privato per anni, aveva fatto in modo che arrivassi ad odiarlo pur di non affrontare le ostilità della vita, e lasciarsi andare rischiando il tutto per tutto.

In quel momento, con la coda dell' occhio, ogni tanto lo guardavo, seduto alla guida, con il volto stravolto di chi non aveva chiuso occhio per tre notti, mentre nostro figlio era ricoverato in un ospedale della Spagna con la febbre molto alta, e continui rigetti di vomito dovuti alla lavanda gastrica che gli avevano fatto per liberarlo da ciò che gli avevano fatto ingerire. Al solo ripensarci tremavo di rabbia.

Aveva la barba leggermente più lunga del solito, lo sguardo fisso sulla strada. Con due dita controllava il volante mentre con l 'altra mano si accarezzava il mento, evidentemente sovrappensiero.

Lui era perso nel suo mondo ed io nell' incertezza più totale, intenta a chiedermi se provare a dargli una seconda possibilità ci avrebbe portati ad un lieto fine, o ad altro dolore.

Ancora non mi fidavo completamente di lui, per tornare a farlo mi sarebbe servito molto più tempo, ma sentirlo di nuovo vicino in qualche modo riusciva a calmarmi. Mi sentivo di nuovo al sicuro.

Raggiungemmo casa mia e lui fermò la macchina nel cortile.
Christian dormiva, aveva passato giorni di inferno ma si era ripreso, la febbre era passata e aveva ripreso a mangiare così avevamo deciso che era arrivato il momento di tornare a casa. Aveva bisogno dei suoi spazi, di potersi distrarre, così ci avevano detto i medici, e dunque avevo chiesto a Wayne di riportarci a casa.

Lui inizialmente si era opposto, non voleva che stessimo in una casa che ci avrebbe potuti far sentire in pericolo o che avrebbe causato degli incubi al piccolo, ma mio padre mentre non c'eravamo l'aveva fatta sistemare rendendola ancor più sicura, ed io come mio figlio avevo bisogno di rimettere piede in casa mia.

Scendemmo dalla macchina e Wayne prese Chris dal seggiolino lasciandolo continuare a dormire appoggiato alla sua spalla, mentre io aprivo la porta di casa rimettendoci piede senza alcuna paura perchè quella gente aveva avuto ciò che si meritava. Un posto dietro alle sbarre.

Raggiungemmo il piano di sopra ed entrammo nella cameretta di nostro figlio. Tirai le coperte e Wayne lo sdraiò lentamente e con attenzione per non svegliarlo, poi io lo coprii e lui sembrò ritrovare la pace tra le coperte del suo lettino. Lo vidi da come distese i muscoli del visino e sembrò dormire con più tranquillità.

Gli posai un bacio sulla fronte e poi seguii l'uomo al mio fianco fuori di lì, richiudendomi la porta alle spalle per non rischiare che qualche rumore lo svegliasse. Finalmente poteva riposare un po', non volevo disturbarlo.

<<Sicura che volete rimanere qui? Potete stare da me per un po'.>> Era forse la decima volta che me lo proponeva ma io non avrei cambiato idea, quella era casa nostra e ciò non sarebbe cambiato per via di gente che non si meritava neanche di essere nominata.

Double AttractionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora