CAPITOLO 34

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JULIETTE

(parte 1)

Scesi con l'ascensore i piani di quel palazzo consapevole che fosse l'ultima volta, con un groppo in gola che mi impediva di respirare e gli occhi offuscati dalle lacrime. Le mani mi fremevano, avevano iniziato nel momento in cui avevo messo la mia firma su quel dannato foglio delle dimissioni, mettendo la parola "fine" alla mia permanenza in quella squadra in cui avevo fortemente creduto di poter trovare me stessa, il mio posto nel mondo e poter considerare un giorno una seconda famiglia. Era stato un sogno che era durato troppo poco e per qualche tempo avevo creduto di potermi meritare, una gioia che la vita mi stava donando e che credevo che finalmente avrei potuto vivere fino in fondo, ma la realtà non era un sogno, la realtà era una rigida bastarda che ti mostrava la gioia e te la sottraeva.

Ed era forse per questo che alla vita preferivo la morte, perlomeno quest'ultima non ti illudeva, parlava chiaro. Quando tu c'eri lei non c'era e viceversa, quando c'era la morte tu non c'eri, dunque non provavo paura nel morire, io avevo più il timore di vivere e fu ciò che capii in quell'esatto frangente.

La morte di diceva in faccia che un giorno ti avrebbe vinto e tu non potevi che accettarlo, la vita invece era beffarda, ti illudeva, si prendeva gioco di te e giorno per giorno vivevi con l'ansia perchè non sapevi mai cosa aspettarti.

Io però ormai avevo capito che non potevo aspettarmi più niente, non meritavo niente quindi non mi aspettavo nulla.

Arrivai nei sotterranei nella palestra dove vi era il resto della squadra che si stava godendo ancora qualche minuto di libertà, prima che Reed tornasse giù per far ricominciare gli allenamenti, a cui io però non avrei preso parte. Mai più.

Sperai di passare inosservata, con il capo chino per non mostrare il viso rigato dalle lacrime, camminando a passo svelto fino agli spogliatoi dove vi era la mia roba. Dovevo soltanto prenderla e andarmene, alla svelta, senza più rimettere piede tra quelle quattro mura.

Lungo la strada però le mie amiche mi videro e a loro non sfuggì il mio malumore, tanto che le sentii chiamarmi ma proseguii dritta senza lasciarmi ostacolare. Il borsone era già pronto, dovevo solo prendere alcune cose dall'armadietto e andarmene.

<<Julie, che succede?>> Sentii la voce di Kim riempire gli spogliatoi non appena la porta dietro di me si riaprì, facendo entrare le uniche tre ragazze a cui importava di me, o forse no, iniziavo a credere poco a qualsiasi cosa. Non parlai intenta ad aprire il lucchetto del mio armadietto, ma con la vista appannata e le mani tremanti sbagliai più e più volte il codice, imprecando tra me e me.

<<Juliette guardaci, che sta succedendo?>> Sidney mi prese dolcemente per le spalle per voltarmi verso di loro e a quel punto vidi i loro occhi adombrarsi di dispiacere, forse anche di pena per una stupida ragazzina che aveva seriamente creduto di essere riuscita a far qualcosa di sensato nella vita.

<<Oh mio dio tesoro, cosa voleva il signor Reed?>> Sandy mi accarezzò il viso asciugandomi le lacrime che continuavano a scorrere imperterrite. Avevo un nodo alla gola che mi bloccava le parole impedendo di parlare, ma tentai comunque anche se dalle mie labbra fuoriuscì un mormorio interrotto da dei singhiozzi soffocanti. <<M-mi hanno l-licenziata.>> Bisbigliai con la voce spezzata non riuscendo neanche a guardare in faccia, per non dover vedere i loro volti dispiaciuti e affranti per me.

<<Licenziata?! Ma non è possibile!>> Strillo incredula Sid sconvolta almeno quanto me, aveva cercato in tutti i modi in missione di non permettere Reed di rimandarmi a Miami, ma in quel momento non poteva più fare molto. Anzi non poteva fare niente, l'unico che poteva fare qualcosa aveva già preso la sua scelta.

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