CAPITOLO 39

774 29 14
                                    




JULIETTE

Le sue mani vagavano sul mio corpo senza darsi tregua come se ci fosse stata la possibilità che io gli sparissi da davanti, da un momento all'altro e le mie mani si muovevano alla stessa velocità frenetica, registrando nella mia mente ogni centimetro di quel corpo perfetto da divinità greca.

La sua lingua intrecciata alla mia mi portava a dimenticare persino il mio nome e mi sarei fatta prendere su quel portico, se non fosse che lui fu più lucido di me, il giusto che gli permise di ragionare e capire che non potevamo dar spettacolo. Io ero costantemente sotto l'occhio del ciclone dei giornalisti e farci vedere intenti a fare cose indicibili, in luogo pubblico, non conveniva affatto a nessuno dei due.

Ma non si allontanò da me, continuò a divorarmi con ferocia e svergognato desiderio, mentre con una mano mi teneva bloccata contro una delle colonne del suo porticato, e con l'altra prendeva le chiavi di casa dalla tasca per infilarle nella serratura e aprire.

Mi spinse dentro e se la richiuse alle spalle, lanciando le chiavi su uno dei mobili all'entrata, su cui mi fece sedere, tirandomi su per i fianchi, non prima però di avermi sfilato i pantaloncini lasciandomi con le mutandine.

Erano probabilmente le sette di sera passate, eravamo tornati prima che potesse far buio perchè nel bosco, se no avremmo rischiato di perderci, contando che nessuno dei due aveva perfettamente appreso la strada.

Avevamo alle spalle una giornata passata a nuotare nudi con le sole onde del mare a farci da vestito, a far castelli di sabbia mal riusciti che aveva voluto insegnarmi a fare dopo che gli avevo detto di non averne mai fatto uno, e a ridere quando per il nervoso avevo preso a calci il mio dopo che non ero riuscita a farlo rimanere in piedi.

A prendere il sole, bere una birra, mangiare i panini che ci aveva preparato mia madre e chiacchierare del più e del meno costantemente incollati l'uno all'altra, proprio come in quel momento. Anche se forse ero stata io a incentivare il suo desiderio lungo il viaggio di ritorno, in cui lo avevo "accidentalmente" stimolato più volte, approfittando del fatto che dovessi reggermi a lui, per massaggiargli la parte centrale dei pantaloni.

E lui si vendicò in quel momento, quando si inginocchiò davanti a me, tra le mie cosce spalancate, scostò il tessuto delle mie mutandine e, tirandomi sul bordo del mobile per avermi alla sua completa mercè, affondò il viso tra le mie cosce incominciando a divorare la mia intimità.

<<Oh sì Wayne, sì.>> Con una mano mi ancorai al bordo del mobile mentre con l'altra gli strinsi i capelli, spingendolo più vicino al mio centro, desiderando che bevesse ogni goccia del mio essere, senza lasciare più niente di me. Gli avrei dato tutto, ogni cosa di me, senza pentirmene.

<<Ma non è che c'è ancora la tua governante?>> Anch'io mi feci carico di un briciolo di lucidità per un nanosecondo, ritornando alla realtà ma il fiato mi mancò quando mi morse piano il clitoride facendomi gemere a gran voce, prima di staccare la bocca da lì sotto e parlare.

<<C'è qualcuno?>> Domandò ad alta voce con gli occhi puntati nei miei e non vi fu una risposta, ciò mi fece capire che eravamo soli, e non fece che eccitarmi ancor di più. Avevamo un'intera casa a disposizione, un sogno.

Riprese a sfamarsi, portandosi le mie gambe sulle spalle, con quella lingua che si muoveva esperta tra le mie cosce, facendomi vedere le stelle e gli astri insieme, tanto che mi parve di impazzire. Iniziavo quasi ad avere le allucinazioni tanto era il senso di goduria che sentivo dentro di me.

La casa era totalmente buia, ma io la vedevo più luminosa che mai, mentre mi scioglievo, contro la sua bocca, raggiungendo a poco a poco un'orgasmo che mi lasciò senza fiato e tremante, su uno dei mobili di casa sua.

Double AttractionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora