CAPITOLO 6

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WAYNE

Una forchettata dopo l'altra, finii l'insalata che avevano servito quel giorno in mensa.

Seduto da solo, ad un tavolo lontano dal resto della squadra. Non amavo la compagnia, preferivo stare da solo, era tutto ciò di cui avevo bisogno. Nient'altro. Solo di me stesso.

Quel giorno ero particolarmente nervoso, nulla che desse nell'occhio contando che ero sempre così, sempre teso e rigido, ma quella mattina erano bastati due minuti di ritardo a mandare in confusione la mia tabella di impegni giornaliera, i cui orari erano stati sballati da una nanerottola spocchiosa ed irritante che non sapeva neppure lei perchè si trovasse lì. Era un pesce fuor d'acqua, ai miei occhi era il brutto anatroccolo tra un fiume di cigni. La mia squadra. L'avevo costruita tutta da solo, allenando ognuno di loro per anni per far in modo che divenissero una macchina da combattimento. E lei si era azzardata persino a dire che tutto ciò che avevo me l'avevano regalato. Non ero come lei e i suoi simili, nessuno mi aveva servito su un piatto d'argento ciò che possedevo.

Avevo creato l'Athena's Shield ancor prima che mio padre decidesse di costruirvi sopra il suo studio legale, e all'inizio non l'avevo presa bene, ma in fondo l'idea dello studio come copertura non era male, per lo meno saremmo riusciti a passare ancora più inosservati.

Ma introdurre quella principessina del cazzo nella squadra avrebbe rovinato ogni mio piano, già me lo sentivo, era un personaggio pubblico e in quanto tale avrebbe dato troppo nell'occhio alla prima missione, anche se continuava ad ostinarsi con il vestirsi da pezzente quando aveva i soldi che le uscivano persino dalle orecchie.

Più la guardavo, più mal la sopportavo.

Era la mia squadra, ma per qualche motivo mio padre si era avvalso del diritto di scegliere quale scarto della società buttarci dentro, manco fosse stato il cestino dei rifiuti. Mi dava sui nervi, non riuscivo a sopportarlo.

<<Smettila di guardarla male, non ti ha fatto niente.>> Sembrava la voce della mia coscienza quell'uomo, non serviva che parlassi, lui sentiva i miei pensieri in ogni mio silenzio e forse per contrastare questa cosa sarei dovuto diventare più loquace, ma non mi piaceva parlare. Spendevo già troppe parole con me stesso.

<<La sua presenza basta come motivo per guardarla male.>> Kyle appoggiò il suo vassoio sedendosi accanto a me. Mi ostinavo a voler mangiare da solo, ma per lui avevo sempre fatto un eccezione. Kyle era mio amico dai tempi del liceo, io e lui eravamo cresciuti insieme, era stato lui a sostenermi dopo la morte di mia madre e sempre lui a spronarmi a creare quella squadra.

Era uno dei miei uomini più fidati, se non l'unico e il solo.

<<Di' la verità, prima hai fatto a posta a spingerla fino al limite.>> Non potevo nascondergli niente, ma non era totalmente vera la sua deduzione. Avevo fatto fare a tutti le stesse identiche cose che avevo fatto fare a lei, che, non essendo abituata, ogni tanto cadeva a terra senza fiato. Come ad esempio alle trazioni alla sbarra nel circuito militare. Gli altri arrivavano a venti senza problemi. Lei alla quinta era tornata con i piedi per terra, così l'avevo fatta ripartire da capo. Ma non da capo con le trazioni, da capo con tutto il circuito.

Volevo che mi odiasse, che sputasse sangue dalla bocca e dagli occhi ogni volta che mi guardava.

Doveva andarsene a gambe levate da lì, era casa mia e lei ci si era inoltrata senza chiedere il permesso. Questo mi mandava in bestia.

<<Ho trattato così ogni novizio.>> E con lei non sarei stato di certo da meno.

<<Wayne, ha le nocche spaccate per tutte le volte che è caduta oggi, ed è solo il primo giorno, dalle tregua.>>

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