CAPITOLO 41

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JULIETTE

A stento mi riconoscevo.

Ero nel mio habitat naturale, nel mio pub preferito con le mie persone preferite eppure per la prima volta mi sentivo fuori posto. La vecchia me sarebbe già arrivata al quarto drink, con la testa dispersa nel caos e nella musica, gli occhi puntati su qualche bel ragazzo che mi orbitava intorno e la coscienza completamente spenta.

In quel momento mi sentivo semplicemente disinteressata invece, a tutto ciò che mi girava intorno. Disinteressata ai ragazzi che tentavano di corteggiarmi, all'alcool che non mi invogliava più come prima, infatti non avevo bevuto neppure un goccio di Martini, come era mio solito fare. E paradossalmente la musica e tutto quel casino di voci mi iniziava a stancare. L'unico motivo per cui ero lì erano le mie amiche che, contrariamente a me, sembravano divertirsi alla grande e le invidiavo.

Non avevano problemi che le assillavano, pensieri fastidiosi per la testa, un ragazzo stronzo che le allontana e riavvicina quando più gli andava e che non era disposto ad aprirsi.

Era snervante il fatto che non riuscissi a distrarmi e a non pensarlo dopo il modo in cui mi aveva trattata, la vecchia me si sarebbe svagata fregandosene di tutto e invece in quel momento, non ci riuscivo. Sembrava quasi che compiere venticinque anni avesse segnato la fine di una vita, e l'inizio di un'altra, di un'altra me che ancora non riuscivo a comprendere.

Una me che alle tre e un quarto di mattina si era già stancata di fare festa.

Per la vecchia Juliette non arrivare almeno alle cinque era un sacrilegio.

In quel momento però volevo uscire da tutto quel caos e tornarmene a casa, cambiarmi, infilarmi sotto le coperte e sentirmi come mi ero sentita la sera prima. Sola e ferita da un bastardo odioso.

<<Terra chiama Juliette Miller, ci sei?>> Il braccio di Sid mi avvolse le spalle per trascinarmi vicino a lei, sedute su uno di quei divanetti della discoteca di Frank, mentre Kim e Sandy danzavano tra la mischia di gente, ancorate a qualche bel ragazzone. <<Ci sono, ci sono.>> Le sorrisi ma da come mi guardava, capii che non si era bevuta neppure quella smorfia finta. <<Non mentirmi tesoro, te lo leggo negli occhi, sei triste.>>

Era odioso non riuscire a nascondere ciò che stavo provando, ma più che triste ero delusa, ferita.

<<Non sono triste.>> Contestai.

<<Non bevi, non balli, non ridi, non sei tu Juliette.>> Mi descrisse alla perfezione.

<<Fammi indovinare: un certo uomo, di un metro e novanta, scontroso e burbero ti ha fatta arrabbiare?>>

Non serviva che parlassi, il mio silenzio le bastò per comprendere che non aveva sbagliato su nessun punto, tutto ciò che aveva detto era vero. Così non dissi nulla, perchè non serviva che confermassi niente.

<<Avete litigato? Tesoro è normale, succede a tutte le coppie.>> Peccato che quella per me era la mia prima relazione seria e riuscire a capire sia me che lui, quando a stento riuscivo a comprendere me stessa, era difficilissimo. <<Lo so ma ieri sera mi ha trattata come una pezza da piedi e questa non gliela perdono, non può cacciarmi appena ha un problema e avvicinarmi quando invece ha voglia di avermi intorno, non sono un giochino con cui divertirsi.>> Ero l'ultima che poteva dare lezioni su come comportarsi quando si ha una relazione, ma ero abbastanza certa che i problemi si affrontassero in due. Lui invece mi tagliava fuori dal suo mondo appena ne aveva l'occasione.

<<E perchè queste cose non le dici a lui invece di dirle a me? Guarda, è lì.>>

Mi paralizzai.

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