CAPITOLO 51

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JULIETTE

Mentre accarezzavo la schiena di mio figlio, continuando a fargli i grattini che lo avevano fatto addormentare come ci riuscivano sempre, la mia mente viaggiava lontana con pensieri che continuavano a distrarmi.
Avevo creduto che una volta svelata la verità mi sarei sentita più leggera ma non era stato così, tutt'altro, mi sentivo solo più agitata, nervosa e in ansia per ciò che sarebbe successo e che non potevo controllare.

Il futuro ahimè non era sotto il mio controllo, se così fosse stato la mia vita sarebbe stata molto più semplice ma purtroppo, mai nulla era stato semplice nella mia esistenza.

Neanche fare la madre era facile eppure mi piaceva, mi gratificava e mi faceva sentire amata da qualcuno incondizionatamente. Qualcuno che non mi avrebbe mai tradito, non mi avrebbe mai deluso e mai mi avrebbe fatta soffrire. Mio figlio era la mia unica certezza al di fuori del mio lavoro e così sarebbe stato, per sempre.

Quel giorno non aveva smesso un secondo di sorridere, quando lo portavo a lavoro si divertiva sempre un modo ma al tempo stesso si stancava anche molto, così dopo cena era crollato in quattro e quattr'otto senza che dovessi penare per farlo mettere sotto le coperte.

Durante il mio ripercorrere con il pensiero la giornata tuttavia, il suono del mio campanello mi riportò alla realtà ed io mi ricordai della cazzata che avevo fatto quella mattina. Invitarlo lì per parlargli di Christian, era stata l'idea più stupida che mi sarebbe potuta venire, ma ormai era lì e di certo non se ne sarebbe tornato a casa senza le sue risposte.

Così presi la radiolina collegata al baby monitor, posai un bacio sulla fronte di mio figlio e uscii da camera sua, chiudendo piano la porta, per poi scendere al piano di sotto per raggiungere la porta d'entrata.

Appena la aprii ecco che lo trovai lì, in piedi, con indosso un jeans e una maglia nera, i capelli umidi di chi non gli aveva neanche dato il tempo si asciugarsi prima di correre fuori di casa, il volto stanco ombreggiato dalla barba e gli occhi puntati in basso, su di me.

<<Vieni entra.>> Non persi altro tempo ad analizzarlo o si sarebbe accorto che quella visione non mi era del tutto indifferente ancora dopo anni, ma come poteva esserlo? Dopo quattro anni era diventato solo più attraente, con quell'aria da farabutto e il fare strafottente.

Dopo averlo guardato entrare, mi voltai e mi diressi verso il giardino per andare a parlare il più lontano possibile da mio figlio, così che non rischiassimo di farci sentire in alcun modo, e anche perchè avevo voglia di una sigaretta. <<Hai ripreso a fumare.>> Constato guardandomi accendere una sigaretta dopo che mi fui seduta sul dondolo del mio giardino, con lui che si accomodò accanto a me. Quella vicinanza mi rendeva irrequieta ma non dissi nulla, facendo finta che non fosse così.

<<Questione di necessità.>> Mentre stavamo insieme ricordavo che ad un certo punto me ne ero persino dimenticata dell'esistenza delle sigarette, poi ero rimasta incinta quindi ovviamente non ne avevo toccata mezza, ma dopo la nascita di Chris avevo ripreso, un po' per tutte le mie paranoie e ansie che ero in grado di controllare solo così, e un po' per vizio.

<<Da quanto vivi qui?>> Avevo come l'impressione che l'interrogatorio fosse già iniziato ma stava partendo in maniera sorprendentemente pacata, consapevole che da lì a poco avremmo impugnato i forconi, se solo lì avessi avuti in giardino. <<Un paio di anni, dopo aver trovato un lavoro e dopo la nascita di Christian ho deciso che era tempo che mi staccassi dalla mia famiglia, per trovare il mio equilibrio.>> Continuare a stare sotto il tetto dei miei, per quanto comodo fosse, non andava più bene. Loro mi avrebbero tenuta lì fino alla vecchiaia ma io avevo deciso di andarmene, per trovare la mia strada, dare a Chris una casa tutta sua e vivere senza più dover dipendere da loro.

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