CAPITOLO 53

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WAYNE


Arriva un momento della vita di chiunque in cui ci si rende conto di aver fatto una cazzata madornale, ma di quelle che al solo ripensarci rabbrividisci, senti quella fitta di fastidio nel petto e ti vergogni tu stesso di averlo fatto. Ecco quel momento per me era arrivato quella sera, o meglio, mi ero reso conto di aver sbagliato molto tempo prima, ma quella sera fu come se qualcuno mi avesse dato uno schiaffo e mi avesse gridato in faccia quanto fossi stato un coglione ad andarmene.

E tutto ciò era stato racchiuso in un solo secondo, l'esatto istante in cui quella donna mi aveva aperto la porta e mi si era presentata davanti l'immagine del paradiso, a cui però io non potevo più arrivare, destinato ormai agli abissi dell'inferno.

Mi aveva aperto la porta con indosso un vestitino rosso dannatamente corto, con una scollatura talmente ampia che sarebbe bastata una folata di vento a scoprirle il seno. Quelle gambe toniche rese ancora più lunghe dal tacco a spillo che di rado le avevo visto addosso anni prima, i capelli che le ricadevano morbidi sulle spalle e il viso risaltato dal trucco leggero.

Il tutto reso ancor più bello dal fatto che stringesse in braccio nostro figlio, il nostro bambino e subito avevo pensato a come sarebbe stato se quell'immagine me la fossi ritrovata davanti in un ipotetico futuro, magari un futuro in cui lei al dito avrebbe portato una fede, ed io avrei potuto dire che quella donna bellissima oltre ad essere la madre di mio figlio era anche mia moglie.

Ma quattro anni prima avevo fatto la cazzata più grande della mia vita ed ecco che avevo perso tutto, ogni cosa. Lei, la possibilità di starle accanto durante la gravidanza, assisterla durante il parto, veder nascere mio figlio e i primi passi del nostro bambino. Mi ero perso tutto, ogni cosa e la fitta che sentivo a ripensarci, più che fastidio, era dolore e rabbia mischiati insieme.

Ed ecco che al posto di essere io a portarla fuori a cena, quella sera mi ritrovavo con un fottutissimo mazzo di rose in mano che le aveva regalato un altro uomo, mentre io non le avevo neanche mai comprato un fiore.

<<Mettile in un vaso con dell'acqua, non vorrei che un così bel gesto andasse buttato.>> Scimmiottai la sua voce attraversando il salotto di casa sua con quel mazzo di fiori in mano, per raggiungere il giardino e buttarlo in piscina. <<Non mi hai detto quanto grande dovesse essere il vaso o quanta acqua servisse, Principessa.>> E così soddisfatto ammirai le rose che le aveva regalato quel coglione, annegare, prima di rientrare in casa e vedere che Christian mi guardava con il visino corrucciato dalla perplessità. In effetti dovevo sembrargli un pazzo che parlava da solo. <<Non guardarmi così ometto, ha tutto una motivazione.>> Ma lui se ne infischiò e tornò a giocare con le sue costruzioni senza fare domande. Era un bambino silenzioso a meno che non venisse interpellato, come era accaduto in mensa il giorno prima e semplicemente guardandolo, rivedevo un po' me stesso. Anch'io da piccolo ero taciturno, dettaglio che non è venuto a mancare neanche con il passare degli anni.

Solo che io volevo parlargli, conoscerlo un po' meglio, ero pur sempre suo padre e anche se lui neanche lo sapeva, e persino io dovevo ancora abituarmi in primis io a quella situazione, iniziare a fare amicizia non era una cattiva idea.

<<Allora Chris, a cosa giochi?>> Mi abbassai sulle ginocchia per guardarlo più da vicino, mentre era intento ad impilare cubetti colorati, fino a creare cose delle torrette.

<<Costluzioni.>> Neanche mi guardava mentre mi rispondeva, era troppo impegnato a farsi gli affari suoi e non voleva essere disturbato. Mi ricordava molto qualcuno che forse ero io.

<<Mh quindi ti piace costruire come fa tuo nonno?>> In effetti essendo stato la sua unica figura maschile fino a quel momento, era normale che si fosse appassionato alle stesse cose che piacevano a Damon. Avrei dovuto sistemare quel piccolo dettaglio.

Double AttractionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora