CAPITOLO 43

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JULIETTE

<<Ma in ogni regione parlano un italiano diverso?>>
Eravamo arrivati a Napoli e più passeggiavamo per quelle strade affollate e caotiche, più mi rendevo conto che gli italiani erano proprio strani, parlavano tutti un dialetto totalmente diverso per ogni regione, era assurdo.  Il che mi creava qualche problema nell'apprendere perlomeno le basi di quella lingua, ma era comunque divertente sentirli parlare, avevano un modo così colorito di interagire che mi sarei messa ad ascoltarli per ore. Se solo ci avessi capito qualcosa di ciò che dicevano.

Però c'era da dire che più ci spostavamo di città in città, da regione a regione, più avevo la conferma che gli italiani avevano una cultura culinaria pazzesca, che ti faceva venir fame anche quando non l'avevi, ormai avevo avuto modo di appurarlo da me.

Erano solo le dieci e per colazione avevo già mangiato tre dei loro dolci tipici e avevo avuto modo di scoprire, cosa che però avevo già notato stando a Roma, che i caffè che facevano da quelle parti, erano minuscoli in confronto a quelli che ero abituata a bere a Miami. Non per questo non erano buoni, tutt'altro, erano cento volte meglio, se non fosse che per avere la mia carica quotidiana di caffeina avrei dovuto unirne cinque.

<<E' questo il bello dell'Italia, apprendi modi di parlare, culture e tradizioni, spostandoti semplicemente da una regione all'altra.>> E per quanto frenetica potesse sembrare come vacanza la nostra, dove già da un giorno all'altro eravamo passati da una regione ad un'altra, a me non pesava affatto, tutt'altro, girare di continuo senza trovare neanche il tempo di annoiarsi, mi rendeva così viva che lo adoravo.

E così facemmo anche nei giorni a seguire, senza mai arrestare quella nostra voglia di scoprire luoghi nuovi.

Visitammo Napoli, scoprendo quale fosse la vera pizza e non quella che preparavano in America e che avevo adorato per molto tempo, inconsapevole che dall'altra parte del mondo la gente avesse la fortuna di mangiarne una completamente diversa e nettamente più buona.

La visitammo in lungo e in largo per poi spostarci in Basilicata, più precisamente a Maratea dove iniziammo a visitare diverse spiagge, alcune tranquille e silenziose che Wayne ovviamente adorò, altre più caotiche e affollate ma a nessuno dei due era venuta la voglia di visitare spiagge frequentate dai ricconi snob a cui eravamo abituati, perchè in fondo anche in quel caos riuscii a trovare la mia pace.

Lì nessuno sembrava riconoscermi e tutti mi trattavano come una comune turista, erano ospitali con noi perchè lo erano semplicemente con tutti, nessuno cambiava atteggiamento solo perchè conscio che gli zeri sul nostro conto in banca erano più del normale. E così era bello, molto bello.

Riuscivo a rilassarmi, sdraiata su una sdraio o anche solo su un telo steso sulla sabbia, con le risate dei bimbi che giocavano a fare i castelli di sabbia o il borbottare di onde delicate sul bagnasciuga, che creavano una magica armonia tra le baie sconosciute ma meravigliose che scoprivamo quotidianamente.

La sera poi i giri tra le bancarelle illuminate erano incantevoli, ma soprattutto vedere Wayne così calmo era incantevole. In quei giorni stavo riscoprendo quel lato di lui che mi aveva nascosto per molto, era semplicemente Wayne non Reed e a me andava benissimo così, anzi, in alcuni istanti mi domandavo se una volta tornati a casa sarebbe cambiato nuovamente o sarebbe rimasto quell'uomo fantastico che mi stava permettendo di conoscere meglio.

In ogni caso dopo la Basilicata raggiungemmo la Calabria visitando musei come quello a Reggio Calabria dove sono custoditi i Bronzi di Riace di una bellezza mozzafiato, oppure il Santuario di Santa Maria dell'isola che illuminato era qualcosa di incredibile. Più scoprivo luoghi nuovi più mi innamoravo di ogni angolo di quella penisola, e pensavo già a possibili viaggi futuri insieme.

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