CAPITOLO 27

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JULIETTE


Erano secoli che non mi mettevo un abito da sera e ci avevo ormai perso l'abitudine, non mi sentivo a mio agio in quel vestito stretto e colorato, mi mancavano i miei due stracci che mi rendevano invisibile e inguardabile. Come ero sempre voluta apparire agli occhi degli altri, ma già stando seduta su una limousine e già portando il cognome Miller, non potevo aspettarmi di essere invisibile.

Amavo passare inosservata, amavo tutto ciò che si allontanasse dal mondo delle telecamere, adoravo la mia privacy e poter girare senza ritrovarmi il giorno dopo sulla prima pagina di qualche magazine ma non era la mia vita quella di persona normale. Io non potevo essere normale.

I gala poi erano una tortura, se non fosse stato per il fiume di champagne che servivano, non avrei mai presenziato a nessuno di quei raduni per ricconi a cui i miei erano costretti ad andare per mantenere salda la loro immagine pubblica. Neanche mio padre ne andava pazzo, gli unici a cui non dispiaceva sfilare sotto le telecamere e mostrarsi perfetti come sempre erano mia madre e mio fratello, accompagnato da sua moglie e i suoi due piccoli pargoletti. Eravamo tutti, ogni membro dei Miller. La famiglia al completo.

Mi sistemai il tessuto della lunga gonna dell'abito tentando di coprirmi la coscia, lasciata nuda dal vertiginoso spacco del vestito che mi aveva comprato mia madre. Lo aveva comprato lei e me lo aveva messo davanti quella sera senza dirmi nulla prima, in pratica non avevo avuto via di scampo o seconde possibilità, o quello o potevo andare in giro nuda fosse stato per lei.

Era un lungo abito di un rosa cipria, con un corsetto a fascia molto semplice e una lunga gonna che sui fianchi mi scendeva morbida accompagnando le mie forme quasi inesistenti, e poi si divideva quasi vicino all'inguine in uno spacco che mostrava fin troppo. Mio padre subito aveva storto il naso nel vedermi scendere le scale. Forse perchè traballavo sui tacchi a spillo che mia madre mi aveva prestato, o forse perchè ero praticamente seminuda. Una mossa sbagliata e avrei mostrato le mie grazie a mezza sala.

<<Non è un po' troppo alto quello spacco?>> Borbottò mio padre notando che continuavo a tentare di coprirmi ma con scarsi risultati. <<Oh serve azzardare ogni tanto, amore.>> Ribattè mia madre. <<Nostra figlia è una meraviglia e in quanto tale va' valorizzata.>> Mi guardava con gli occhi che le brillavano, di rado le davo la soddisfazione di vedermi vestita come una donna e quando accadeva, gli occhi le divenivano di un verde tanto acceso che avrebbe potuto battere persino la luce del sole.

Aveva chiamato i migliori parrucchieri e make-up artist della città per prepararmi al meglio, per un gala che aveva lo stesso grado di importanza di quelli precedenti, ossia inesistente, ma per lei tutti erano importanti alla stessa maniera.

<<Dunque avremo modo di rincontrare il tuo spasimante sorellina?>> A Dan ancora quell'invito non andava giù ed era rimasto sorpreso nello scoprire che fosse stato proprio mio padre a farlo, probabilmente però era stata Isabelle che lo aveva spronato a invitarlo o lui, di sua spontanea volontà, di certo non lo avrebbe fatto. <<Suppongo di sì.>> Strinsi le spalle. <<Supponi? Non ti ha detto con certezza che verrà?>> La verità era che no, non me ne aveva dato la certezza, semplicemente aveva detto che doveva pensarci lasciandomi con il dubbio che non si sarebbe presentato. In fondo era da due giorni che si comportava diversamente, era più scostante, anche quella mattina lo avevo sentito distaccato quindi non mi avrebbe stupita se non fosse venuto. <<E' un uomo impegnato, capita spesso che faccia tardi a lavoro quindi non era certo di venire.>> Ormai del mentire ero diventata maestra, mi riusciva fin troppo bene inventarmi frottole così, su due piedi senza doverci pensare prima. Quasi mi stupivo da sola.

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