CAPITOLO 45

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JULIETTE

Crescere per me era stato molto strano e complicato.

Per una bambina che già da molto molto piccola aveva dovuto subire abusi di ogni genere, crescere era assurdo. Dentro di me infatti probabilmente non ero mai cresciuta. Il mio corpo si ingigantiva, i miei capelli si allungavano insieme alle mie gambe, alle mie braccia e al mio torace. Fisicamente con il tempo ero diventata una donna, mentalmente però una parte di me era rimasta quella piccola bimba spaventata che ogni mezzanotte perdeva una piccola parte di sè.

Spesso e volentieri dopo una vita del genere la gente non si riprendeva più e come biasimarli, dopo aver visto e subito certe cose il tuo corpo ti supplica di avere un po' di pace, e la mente ti spinge a cercare quella assoluta, la pace dei sensi, un lungo sonno profondo e infinito. La morte.

Per questo a me la morte non aveva mai fatto paura, perchè io l'avevo sempre vista come la mia ancora di salvezza per diversi anni, perchè sì, anch'io ad un certo punto della mia vita avevo preso in considerazione la possibilità di farla finita.

Nella mente avevo passato anni a rivivere quei momenti persino dopo essere scappata da quel mostro, per un sacco di tempo non ero riuscita ad avvicinarmi ad un essere di senso maschile con il terrore che fossero come lui, ma poi ero cresciuta.

Crescendo capisci che la paura non è niente se non ti lasci possedere, che prende vita solo se tu glielo permetti, che è una cosa che sopravvive solo nella tua testa e nella mia ci aveva alloggiato per anni, così impari a nutrire un nuovo sentimento: la vendetta.

Con il passare del tempo non ero più io quella spaventata dagli uomini, erano loro ad aver paura di me con ciò che mi portavo nello zaino, e solo così ero riuscita a sopravvivere. Attaccando per prima, se vedevo la malparata.

Ero diventata una donna prima di essere una bambina, perchè in fondo una piccola bimba non dovrebbe scoprire le oscenità che un uomo può fare con il suo corpo, pur di appagare i suoi istinti.

Io invece avevo visto anche cose che andavano ben oltre ciò.

E così spesso mi ripetevo che io ero nata già donna, ma con il passare del tempo sentivo che spesso e volentieri la me bambina, spingeva per uscire.

Quando poi all'età di diciotto anni avevo ritrovato la mia famiglia, avevo sviluppato un nuovo stile di vita:

la figlia. Da che non avevo mai avuto nessuno accanto a che mi ero ritrovata con una famiglia allargata, due genitori, degli zii, un fratello, una cognata, dei nipoti, un cucino. Era tutto così nuovo per me che all'inizio non ero neanche riuscita ad ambientarmi.

Nella vita normale di una persona si nasceva e automaticamente si diventava figli di qualcuno e ciò non poteva cambiare, si cresceva, si diventava bambini, poi ragazzini, successivamente adolescienti, poi ragazzi, uomini e poi arrivava la vecchiaia.

Io ero diventata donna e solo dopo figlia, cioè ovviamente lo ero stata fin dalla nascita, ma per me persino all'età di venticinque anni era ancora difficile concepire che avessi dei genitori, figurarsi quando ne avevo diciotto e avevo appena appreso di avere una mamma e un papà.

Ma a quanto pare ne dovevo ancora una al destino, un'altro prezzo da pagare.

A venticinque anni stavo per diventare madre.

Io che a stento riuscivo a ricordarmi di fare colazione la mattina, stavo per avere un'altra vita a carico.

Io madre, no ancora non riuscivo a mettere quelle due parole l'una vicina all'altra.

Eppure era la sacrosanta verità e io, ci avrei dovuto fare i conti, prendendomi le mie responsabilità, se solo questa consapevolezza avesse raggiunto anche il mio corpo e non solo la mia mente.

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