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"Non voglio dire che soffrire sia sbagliato, che il dolore non debba essere provato.
Piuttosto dico che...dovremmo accettarlo, farcene una ragione, accoglierlo nella nostra vita.
Ho imparato a vivere al momento, a non farmi troppi piani, ad amare ciò che possiedo ed a...dare importanza a ciò che lo richiede, ciò che lo merita."

Quel pezzo di carta stropicciato che teneva tra le dita tremava insieme alle sue mani, come la sua voce ed il suo corpo.

Il suo sguardo oscillava da una parte all'altra della sala, e in un attimo, ricordò il motivo per cui era lì.

Deglutì a fatica per mettere in ordine i propri pensieri, ed improvvisamente un silenzio assordante calò nella stanza.

Poi afferrò il microfono con la mano destra, con quella sinistra nascose il foglietto dietro la propria schiena.

"La realtà è che...ho odiato così tanto la mia vita che adesso sento il bisogno di viverla."

-

Cinque anni prima

Toni

Los Angeles è il covo dei truffatori, spacciatori di droga ed avvocati falliti.

Ero egoista, cinica, indisciplinata, apatica, e anche stronza, molto spesso.

In più, nativa della città quale ero, odiavo anche il posto in cui ero nata e cresciuta.

Alcun patriottismo faceva parte della mia cultura, del mio modo di essere.

Ero quel mix di difetti che io vedevo chiaramente, che appesantivano il mio cuore. Eppure, potevo sembrare anche simpatica.

Non è un atto di modestia, solo pura verità. Perché sì, ero perfida anche con me stessa.

C'è una differenza abissale tra ciò che siamo e quel che vorremmo sembrare di essere. E a me, purtroppo o per fortuna, non me ne fregava proprio un cazzo.

Qualsiasi critica sembrava acqua ghiacciata in una tipica giornata di luglio, quando sei costretta ad uscire di casa per volontà altrui, sotto i quaranta gradi dei raggi solari che colpiscono il mare.

Rigenerativa.

Inoltre, si diceva che Los Angeles fosse la città degli angeli.

Eppure, tutti quegli angeli, ancora dovevo conoscerli.

Possedevo questa tendenza al pessimismo che le persone odiavano, rendevo grigia e cupa qualsiasi cosa.

Perché, effettivamente, per me i colori non esistevano.

Vorrei dire di essere stata felice, vorrei dire di essere cambiata in peggio.
Invece, sono sempre stata la solita stronza apatica dalla lingua tagliente.

Molti avrebbe potuto dire che sarebbe stato meglio vedermi morta piuttosto che viva, o che ciò non avrebbe fatto differenza.

Perché il mio realismo portava anche gli altri a realizzare che mondo di merda quello fosse.

Eppure, una cosa che amavo esisteva.
Oltre all'alcool, lo studio.

Amavo i libri più di qualsiasi altra cosa, e studiare mi veniva così semplice che la voglia di apprendere aumentava dopo ogni pagina che leggevo.

Era amore passionale, senza alcun rimorso o dubbio.

Ciò è testimoniato dal fatto che mi trovavo in un college. Amavo così tanto la mia famiglia che decisi di andare in un'università dall'altra parte di Los Angeles. A ovest, Santa Monica, il paradiso terrestre.

E nonostante il mio amore per i libri, erano ormai tretasette ore che non mangiavo, e che non bevevo. Inutile dire che furono le trentasette ore più inutili della mia esistenza.

Jughead, che dormiva nella stanza di fronte alla mia, mi aveva obbligata a smettere di bere.

Ed io lo stavo facendo, ma da sobria ero così negativa che preferivo vivere nella più completa solitudine, nella mia bolla.

Condividevo la mia camera da letto con Veronica Lodge, una delle persone migliori che abbia mai conosciuto.

Suo padre era uno spacciatore, narcisista, affamato di soldi e di potere.

Lei sembrava dispiaciuta, o così mi raccontava con un paio di occhiali da sole Chanel tra i suoi capelli corvini, con un iPhone ultimo modello tra le mani ed una collana d'oro puro al collo.

Eppure, rimaneva umile.

Era New Yorkese, aveva vissuto e frequentato il liceo a Riverdale, poi decise di trasferirsi in un college a Santa Monica.

"Riverdale è un mondo a parte.", o così disse una delle poche volte che mi soffermai ad ascoltarla davvero. Molto spesso usavo i suoi racconti come favola della buonanotte.

E non ho mai capito perché la odiasse così tanto, il motivo di così tanto astio. Probabilmente avrei dovuto ascoltarla meglio.

Ad ogni modo, non avevo forze, riconoscevo che era già tarda mattina, ma mi sentivo estranea dal mio corpo.

Non mi accorsi neanche che Jughead entrò nella mia stanza.

"Toni, sai che ore sono?"
"Mh?"
"Ho detto: sai che che ore sono?"

Sospirai, tenendomi sui gomiti mentre cercavo il mio telefono.
Era scomparso. "Tardi."

"Wow...te ne sei accorta.
Non vieni a lezione da due giorni, e non ti abbiamo vista da nessuna parte."
"Ero qui. Poteva avvisarvi Veronica."

Jughead scosse la testa con disapprovazione. "Due giorni fa è partita per New York, è morto suo nonno. Tornerà questa sera."
"Cazzo..." sospirai. "mi sono dimenticata. Volevo scriverle un messaggio ma non so se è troppo tardi, ha importanza?"

Il corvino si sistemò i capelli nervosamente, poi si inginocchiò per spostare i miei dal viso. "Ha molta importanza. Quando torna, fai qualcosa per lei."

Annuii forzando un sorriso, per poi schiarirmi la voce. "Ho bisogno di cibo. E da bere."

-

Quando Veronica tornò non era molto triste.

Ero solita ad assorbire le emozioni altrui per poi espellerle con una pesante quantità di disinteresse, ma questa volta il suo stato d'animo era neutro.

"Ei Ronnie."
"Ciao, Toni. Tutto bene?"

Non mi guardò in faccia. Era indaffarata con le sue valigie, che posò a terra prima di voltarsi verso la mia direzione.

Ignorai la domanda, perché non le interessava davvero come stessi. E in più, volevo che si concentrasse sul mio gesto.

"Questo è per te."

Le porsi una scatola di cioccolatini con sopra un bigliettino: "mi dispiace :(".

Inutile dire che Jughead ci aveva messo del suo.

Veronica li afferrò, poi rialzò lo sguardo rivelando degli occhi lucidi. Avvolse velocemente le braccia attorno al mio collo, sorridendo. "Grazie, sei così carina! Sono contenta di essere la tua compagna di stanza.."

"Okay, Ronnie. È sufficiente." la interruppi e feci due passi indietro, lei posò la scatola sul suo comodino. "Piuttosto, cosa mi racconti di New York? Novità?"

"Oh beh...niente. Mio nonno era uno stronzo. Forse mi dispiace per mia madre ma...insomma, la morte fa parte della nostra vita."

Io annuii, sedendomi sul mio letto ed incrociando le gambe. Mi fingevo interessata.

"Però...ho delle novità." rivelò il suo sorriso smagliante. "Una delle mie più care amiche da Riverdale si trasferirà in questo college domani."

Inarcai un sopracciglio confusa, controllando la data sul mio telefono prima di parlare. "Ma è già...iniziato il semestre. Come è possibile?"

"È una Blossom, Toni. È una Blossom."

𝘈𝘧𝘵𝘦𝘳𝘨𝘭𝘰𝘸 «𝙘𝙝𝙤𝙣𝙞»Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora