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Provare nostalgia per qualcosa che non è neanche mai accaduto è la forma più logorante di dolore.

Ed io ero solita a sentire una mancanza positiva per tutto ciò che non avevo mai vissuto, ma che avrei voluto provare.

Non avevo una precisa ambizione, perché gli ultimi anni della mia vita furono così vuoti e privi di emozioni che non ci avevo neanche mai pensato.

Sapevo solo che fuggire nel college più lontano possibile sarebbe stata una vittoria.

Però, forse, ciò che volevo fare era scrivere. Ero brava in inglese, leggevo moltissimi libri e sapevo esprimermi soltanto quando lo mettevo su carta.

A volte mi mancava forse l'ispirazione, ed era proprio per quello che avrei voluto correre all'estero per intraprendere un viaggio spirituale in solitudine, alla ricerca di me stessa.

Sarebbe stato sicuramente difficile, perché quel che sognavo era lontano dal punto in cui ero. E non potevo fare a meno di morire di nostalgia in tutti i momenti in cui ci pensavo.

Una volta, parlando con Josie, ero così sopraffatta dai miei sentimenti negativi che decisi di sfogarmi. E dopo che tirai fuori tutte le mie frustrazioni, lei sospirò e poi mi diede una spiegazione.

"Vedi, Toni... a volte, la nostalgia è la prova che stai vivendo una vita per cui vale la pena vivere.
E se ci pensi così tanto... significa che già lo possiedi in un futuro."

Da quando conobbi Cheryl, quella strana sensazione di infelicità mista a soddisfazione non si fece più viva.

Era come scomparsa dal mio corpo e raramente ci pensavo, perché probabilmente non avevo più alcun sogno se non quello di stare con la persona che mi faceva del bene.

Ed era strano, perché mai nella vita avrei pensato di poter donare tutta me stessa a qualcuno, o di poter dipendere così tanto da un singolo individuo.

Eppure, mentre ero seduta sul sedile dell'aereo sul quale stavamo viaggiando, con il suo capo appoggiato sulla mia spalla mentre osservavo il paesaggio fuori dal finestrino, non lo considerai poi così malvagio.

D'altronde, non è forse vero che l'amore ci rendi ciechi?

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Riverdale era la città più strana in cui ero mai stata.

Mettere piede nelle sue vie principali mi trasmetteva inquietudine ed una sensazione di oscurità generale.

Mi sentivo strana, era grigia e fredda, al contrario di ciò a cui ero abituata.

E se nella mia città preferita era presente il sole la maggioranza dei giorni estivi, lì mi sentivo in pieno ottobre, nella stagione delle zucche e dell'Halloween.

Oltre ad odiare l'inverno, non apprezzavo i film dell'orrore ed avrei preferito bandire e smaterializzare qualsiasi cosa ne avesse del contenuto.

E questa città, ahimè, dava tutte le arie di averne fin troppo.

Il peggior passo da affrontare fu arrivare a Thornhill.
Più ci avvicinavano alla via principale, più gli alberi diventavano alti e maestosi, scuri e dalla folta chioma.
Il cielo sembrava come più cupo, con grandi nuvole scure e della fitta pioggia aveva reso il suolo zuppo e fangoso.

Quando il cancello si aprì, il taxi sul quale stavamo viaggiando attraversò una lunga via prima di arrivare all'abitazione.
Ed io, abituata alle piccole villette di Los Angeles, che con un po' di vento sarebbero state capaci di volare via, rimasi impressionata dall'enorme struttura che mi ritrovai davanti.

Era alta ed imponente, una casa a due piani, un tetto a spiovente, scura e maestosa. Il grande giardino esterno a me visibile era curato, colmo di fiori che incredibilmente resistevano alle basse temperature, ed in lontananza scorgevo una parte sul retro.

𝘈𝘧𝘵𝘦𝘳𝘨𝘭𝘰𝘸 «𝙘𝙝𝙤𝙣𝙞»Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora