Capitolo 2

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-Cosa ti sei fatto?- si preoccupò Yasmine vedendolo salire con la bicicletta sulle spalle.

-Niente, sono caduto-

-Di faccia? Dai Michael, non dire cavolate.-

In effetti non era una buona scusa. Era piuttosto banale a dire il vero.

-Ok- disse.

Semplicemente.

-Michael!-

Sua sorella lo seguì fino alla porta, ma l'unica risposta che ebbe fu la porta chiusa in faccia.

Lui appoggiò la bicicletta al muro.
Lasciarla giù sarebbe stato come regalarla ai ragazzi in motorino, non perché a loro interessassero le biciclette. Ma interessavano i soldi. E la sua bicicletta sarebbe stato un bellissimo affare.

Michael rabbrividì al pensiero della sua bicicletta nelle mani di qualcun altro.

-Ma l'hai visto? Non gli dici niente?- sentì Yasmine dire a sua madre.

-Lascialo stare, sono cose sue- la zittì la madre e lui gliene fu grato.

Sentì Yasmine sbuffare e sorrise, immaginandosi la faccia della sorella.

Si sdraiò sul letto e pensò a quello che era successo nelle ultime due ore.

Pensò a quel respiro che gli era mancato. Dove era finito? Chi gliel'aveva tolto? L'avrebbe riavuto indietro?

Poi pensò a quegli occhi verdi che guardavano il cielo. A quella discesa, senza freni, così, lanciati a catturare un vento invisibile.

E poi la sua bicicletta. Come Andreas avesse capito che lui ne possedesse una senza che lui avesse ancora detto una parola.

Come Andreas l'avesse trovata non l'aveva ancora capito.
Ma intendeva capirlo.

Avevano pedalato per circa un'ora, senza nessuna voglia di tornare a casa. Senza nessun bisogno di parlare. Senza nessuno intorno.

Solo il vento, i pedali, il tramonto e due respiri.

E per la prima volta nella sua vita Michael si accorse che oltre ad essersi sentito libero, si era anche sentito felice.

Andreas l'aveva capito in silenzio, come se anche lui avesse provato le stesse cose. Come se per un'ora avessero respirato allo stesso ritmo.

Non aveva fatto domande. Nessuna parola, nessun discorso.
Sapevano entrambi che quando si parlava di biciclette qualsiasi parola sarebbe stata stupida.

Al contrario di quando usciva con Anita, Simone e gli altri suoi amici.
Non facevano altro che parlare, di chiedergli perché avesse sempre dietro quella 'stupida bicicletta', perché se la portasse dietro anche quando sapeva che sarebbero stati a piedi tutto il tempo.

Michael non aveva risposte a quelle domande.
Anzi, pensava che le risposte fossero stupide.

Poi gli venne in mente quel momento. Prima di svoltare nel suo cortile.

-Grazie- aveva detto.

-Non ho fatto niente- gli aveva risposto Andreas.

Michael l'aveva seriamente giudicato un pazzo. Ma forse lo era.
Non sapeva cosa rispondere, così non rispose.

Sorrise e basta. Accorgendosi che quella giornata aveva sorriso tante volte. Troppe. Anzi, no. Non si sorride mai troppo.

.

Andreas mise la bicicletta al sicuro nella sua cantina e salì le scale, aprendo la porta del suo appartamento

-Dove sei stato?- chiese la madre, fredda, mentre tirava l'ultima pennellata di uno smalto rosso fuoco sulle unghie.

-In bici- le rispose il ragazzo.

-Tutto il pomeriggio?-

-Problemi?-

-Sì, molti. Ti ho chiamato almeno dieci volte.-

-Non l'ho sentito, e voglio ricordarti che ho vent'anni, posso avere il diritto di fare quello che voglio- le fece notare Andreas.

-E io ti ricordo che hai vent'anni e passi i pomeriggi a girovagare in bicicletta senza preoccuparsi di contribuire ai risparmi della famiglia-

-Ha parlato quella che esce con un uomo diverso ogni sera-

Andreas non voleva dire quelle parole. Sapeva che le parole facevano male. Meglio non dirle.
Meglio stare zitti e ascoltare solo il vento.

La madre scattò picchiando una mano sul banco della cucina.
Andreas si spaventò.

-Scusa- disse, chiudendo la porta della camera.

La madre tornò a guardare le sue unghie.
Lo smalto si era sbavato.

.

Andreas si sdraiò sulla scrivania e guardò il peluche verde sopra al sua computer.
L'ultimo regalo di suo padre.
A otto anni.

Gliel'aveva messo tra le mani e gli aveva detto di tenerlo fino a quando lui non sarebbe tornato indietro dalla sua vacanza a Londra.

"Tra quanto torni?" aveva chiesto Andreas.
Il padre gli aveva risposto con un numero che Andreas non ricordava. Meglio, tanto era una bugia.

E lui si era tenuto quel peluche a forma di cactus senza spine.
Che poi a cosa servisse un cactus senza spine non gli era ancora molto chiaro.

Gli restava solo una Olmo azzurra. Un cielo e qualche nuvola da seguire.
Un vento e delle persone a cui migliorare la giornata.

Quel giorno era toccato ad un ricciolino dagli occhi castani, lo aveva trovato sdraiato a terra con un taglio sulla guancia.
Non gli aveva detto da che parte era venuto fuori quel taglio.

Lui aveva accettato quella risposta.
Anche lui aveva un segreto.
Era il contrario di quello che sua madre gli aveva urlato contro venti secondi prima.

Aveva un lavoro. Aggiustava biciclette, in una ciclofficina di via Dante.
Non guadagnava chissà quanto, ma era già qualcosa. E quello che non spendeva per se stesso lo lasciava in una busta nella posta firmandosi Flavio Dermanis, il nome del papà, e fingendo che i soldi venissero mandati dal padre per aiutare la famiglia.

Era sicuro che sua madre non avrebbe accettato gli amici della ciclofficina. Che non avrebbe accettato l'olio sulle mani e quello sporco lavoro che faceva.

Lo voleva avvocato, medico o addirittura politico.

Niente che aveva a che fare con ingranaggi e catene, ruote da aggiustare e storie da ascoltare. 

Chiuse gli occhi e decise di lasciarsi alle spalle quella giornata sognando cactus, uomini che tornavano chiedendo perdono, biciclette e, senza che lui se ne accorgesse, nei sogni si infilarono anche un po' di boccoli castani.

Over My Sky | Mikandy Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora