Capitolo 46

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Caro Andreas...
Ciao Andreas!
Scusami, Andreas.
Ehi, Andreas...
Buon compleanno, Andreas!

Andy sorrise silenziosamente al pensiero che suo padre avesse scritto il suo nome così tante volte.

Sentì gli occhi inumidirsi, e si alzò per chiudere la porta della sua camera.

Suo padre gli aveva raccontato un sacco di cose in quelle lettere.
Aveva una fidanzata ora, italiana, ma viveva con lei in Grecia.
E poi un bambino che avevano chiamato Francesco.

Tornò sul letto.
Prese una busta verde che non aveva ancora aperto, e tornò a leggere.

Era del trentuno di giugno. Il suo compleanno. Probabilmente l'ultima che gli aveva spedito.

Ciao Andreas,
innanzitutto, BUON COMPLEANNO!
No, non me ne sono dimenticato.
Hai ventitré anni.
E mi piace pensarti in questo momento.
Immaginarmi la tua faccia.
Chiedermi se tu sia diventato più alto di me, chiedermi se hai un pochino di barba, se i tuoi capelli sono dello stesso colore.
Mi chiedo se hai un lavoro, o che scuola stai facendo.
Spero che tu non abbia lasciato gli studi, perché la cultura è importante.
Ma soprattutto, mi chiedo se stai bene. E sto pregando chiunque perché sia così.
Mi sto chiedendo se hai una ragazza, una donna che ti renda felice.
E che tu sappia rendere felice. Non imparare da tuo padre.
Ma spero che potrò conoscerla, un giorno.
Immagino che magari la mamma ti starà preparando una bellissima torta, oppure starai festeggiando con i tuoi amici. Magari in discoteca.
Mi chiedo se sei diventato un tipo da discoteca, quando andavi in giro con la tua bicicletta non lo sembravi.
Ma sono passati quindici anni.
Magari ti starai pure ubriacando.
E sono felice se tu lo stai facendo.
So che da padre dovrei impedirtelo, dovrei dirti di non farlo, ma a quello ci avrà pensato di sicuro tua mamma.
Quindi io ti dico di divertirti e basta, hai ventitré anni. Ed è fantastico.
Vedo che non mi hai mai risposto in tutti questi anni.
A dire il vero non so neanche se tu mi abbia mai letto.
Ora sono in aereo, questa lettera te la spedirò quando saremo arrivati a destinazione.
Abbiamo deciso di passare questi tre mesi di vacanza in Sicilia, in un piccolo paesino che si chiama Tusa, nell'attesa che Francesco torni a scuola a settembre.
Io so che può sembrarti strano. O forse sei arrabbiato.
E hai tutto il diritto di esserlo.
Ma vorrei vederti, e so che non posso suonare al campanello di casa tua una mattina e farmi trovare lì, come se niente fosse.
Ma vorrei spiegarti tutto.
Vorrei chiederti scusa, anche se non basterà mai.
Quindi, Andreas, ti prego, se stai leggendo queste parole, rispondimi.
Anche solo un "ciao papà". O "ciao Flavio" se hai deciso che non mi merito di essere chiamato padre.
E avrai ragione.
Quindi Andreas, te lo chiedo in ginocchio. Per favore.

Con affetto, tuo papà.

Andy chiuse il foglio davanti a lui.
Suo padre era in Italia.
A millequattrocento chilometri da lui.
Ma in Italia.

E lo stava supplicando per una risposta.
E gli diceva che voleva dargli spiegazioni.
Ma non c'era nulla da spiegare. Era tutto fin troppo chiaro.

Si strofinò gli occhi e scosse la testa, guardando l'orologio.

Erano le quattro e mezza.
Mika lo aspettava dalle tre.

Prese di corsa uno zaino e ci mise dentro un paio di boxer, una maglietta a caso e il pigiama.

Rimise tutti i fogli e le buste nella scatola, rimettendola nell'armadio.

Gli sembrava strano quanto in quel momento la sua vita fosse quasi su quattro mondi paralleli.
La sua casa.
La ciclofficina.
Mika.
Papà.

Over My Sky | Mikandy Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora