C.62

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Dove eravamo rimasti...

"Ho paura, Lemon" Le confessò Wade poco dopo con un filo di voce, attirando di nuovo tutta la sua completa attenzione.

La donna, che non l'aveva mai visto così perso e spaventato se non quando erano bambini e sua madre era appena venuta a mancare, spense il rubinetto, si sfilò i guanti e si avvicinò all'amico "Wade" Richiamò la sua attenzione, sentendosi trafiggere da quegli occhi spauriti "Andrà tutto bene" Gli disse, scandendo ogni parola con convinzione, lo sguardo fisso nel suo "E fidati di me, perché io ho sempre ragione" Aggiunse, scuotendo leggermente la testa mentre tornava ad assumere il suo solito fare pratico e ben poco modesto e strappava così un sorriso al suo amico "Ora..." Riprese la donna "...parlerò con Lavon e Annabeth e organizzeremo dei turni con tutta la città per aiutarti con la casa e per fare compagnia a Zoe"

"Lemon, non devi..." Si affrettò ad obiettare Wade, che però era palesemente stanco e provato, a riprova del fatto che l'idea della bionda non era poi così cattiva.

"Smettila" Lei scacciò le sue parole con un secco gesto della mano ed un tono di voce che non ammetteva repliche "Siamo vostri amici: i vostri problemi sono anche i nostri. Intesi?"

Lui non poté fare altro che annuire piano, alzandosi dallo sgabello e avvicinandosi a lei "Grazie" Le sussurrò, una mano sulla sua spalla, riversando in quella parolina tutta la riconoscenza che provava in quel momento, prima di stamparle un bacio leggero su una guancia, che Lemon accolse con un sorriso.

Dopo un ultimo sguardo di intesa, lui proseguì fuori dalla stanza, diretto con il cuore un po' più leggero al piano di sopra da sua moglie, e Lemon non lo perse di vista finché il suo migliore amico non fu fuori dal suo campo visivo, l'ombra di un sorriso che le solcava il volto. Poi, con un sospiro di incoraggiamento, riprese a fare ordine in quella stanza che sembrava reduce da un uragano.

Seduta a letto, Zoe stava picchiettando incessantemente le dita sul cuscino che teneva sopra il pancione, gli occhi fissi sulla parete carta da zucchero di fronte a sé quando Wade entrò nella stanza munito di un vassoio.

"Ecco il tuo pranzo" Le annunciò con un'aria gioviale che ben stonava con l'espressione scocciata di sua moglie, la quale si sollevò meglio contro la testiera del letto.

"Non ho molta fame. Sai, visto che passo tutto il mio tempo sdraiata qui"

A Wade non sfuggì la frecciatina sprezzante scoccata da Zoe mentre lui le poggiava il vassoio davanti, ma la ignorò, come ormai si era abituato a fare da giorni "Beh, devi comunque mangiare qualcosa"

"Per quanto tempo ancora mi terrai segregata qui?" Tornò alla carica lei in maniera laconica, la forchetta stretta nella mano destra a giocherellare con il contenuto del suo piatto.

"Finché sarà necessario" Rispose lui, cercando di non perdere la sua pazienza mentre si sedeva sul bordo del lato opposto del letto.

"Sadico" Borbottò a denti stretti e voce bassa Zoe, strappandogli un sorrisino divertito.

"Zoe, hai sentito cos'ha detto la dottoressa e hai detto che avresti seguito il suo suggerimento"

"Lo so, lo so ed è così" Si affrettò a rassicurarlo lei, come una bambina di fronte a suo padre, prima di fare un sospiro "Ma ha detto che non devo sforzarmi, non che dovessi passare due mesi confinata in un letto, senza nemmeno poter scendere al piano di sotto di casa mia!" La sua voce si alzò man mano che Zoe parlava, spalancando le braccia, con il contenuto del vassoio che oscillò pericolosamente.

"Hai tutto quello che ti serve, quassù. E quello che non hai posso portartelo io o chiunque altro sia qui quando ne hai bisogno" Fu la risposta serafica di Wade, con tanto di pratica alzata di spalle, e Zoe poté giurare che le stesse ribollendo il sangue.

Hart of Dixie_Dove noi apparteniamoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora