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Sentii la terra mancarmi sotto ai piedi appena lo vidi. Avevo voglia di piangere, la testa girava ancora dopo il mio malessere... incontrarlo era l'ultima cosa che volevo.

Anche lui sembrò sorpreso di vedermi lì. Sbattè più volte le palpebre, massaggiandosi la spalla.

«Ma allora è un vizio!» sbottò con un sorriso amaro in volto.

«Non ti avevo visto.» Mi giustificai appoggiandomi con la schiena al muro. Non seppi perché lo feci, avrei dovuto - e voluto - andarmene, ma ero in pessime condizioni. Mi sentivo senza forze. Il muro dietro di me fungeva come unica certezza che non sarei caduta a terra.

«Quindi sei tornata, alla fine.» Scosse la testa, sembrò quasi divertito.
Non potei dirlo con sicurezza, la mia vista aveva iniziato a giocare brutti scherzi. Vedevo Adrian sfocato e doppio. Le palpebre erano sempre più pesanti. Avrei solamente dovuto tornare a casa, sperando di riuscire a guidare pur essendo in quello stato.

«Ma che cazzo... Shannon!» si lanciò verso di me.

Quella fu l'ultima cosa che sentii prima di vedere tutto buio.



Quando mi svegliai, mi resi conto di essere nel mio letto. Non ricordai affatto come avessi fatto a tornare a casa. Ero sicura di aver avuto davanti Adrian prima di svenire. Non ero a casa mia, ero in quello strano bar.
Quindi come ci ero arrivata fin quì?

«...avresti dovuto aspettare!» sentii.

Era la voce inconfondibile di Adrian.

«Che cosa potevo saperne io?!» ribattè Josef alzando di poco la voce.

Josef? Cosa ci faceva quì?

«Cazzo, amico. Avresti dovuto avvisarmi...» sospirò.

«Lo sai anche tu com'è Shannon...»

Alzai il busto e mi sedetti per sentire meglio cosa si stavano dicendo.

«In realtà non lo so più nemmeno io.» Ribattè duramente Josef.

Erano venuti a casa mia per parlare di me alle mie spalle?

Mi sentii infastidita e con una velocità che nemmeno immaginavo di avere, mi alzai dal letto ed uscii fuori dalla mia stanza.

Li trovai in piedi, uno di fronte all'altro. Josef aveva le mani appoggiate al tavolo, mentre Adrian aveva le braccia incrociate.

«Shannon!» esclamò Adrian appena mi vide. Preoccupato, mi venne incontro velocemente.

Non sapevo se avessi dovuto accettare il suo aiuto o se avessi dovuto mandarlo via.
Anzi, mandare via entrambi.

Ma alla fine accettai il suo aiuto e mi appoggiai al suo braccio. Sentivo ancora le gambe molli.

«Forse è meglio che io ora me ne vada... riprenditi, Shannon.» Si grattò la nuca Josef, in imbarazzo. Era già tanto che mi aveva rivolto la parola. Mi lanciò un ultima occhiata prima di uscire dalla porta, lasciandomi da sola con Adrian.

Cosa avrei potuto dirgli?
La situazione era già abbastanza imbarazzante di suo. Mi ricordai di mia madre, le sue parole.

Quando non sai come rompere il ghiaccio, offri una buona tazza di caffè.

«Caffè?» gli domandai.

Adrian mi guardò male e scosse la testa.

«È per il caffè che sei svenuta, quindi non credo proprio.» Sentenziò.

«Be', io una tazza me la bevo. Se cambi idea dimmelo.» Ribattei senza guardarlo e mi avvicinai al ripiano della cucina.

Lui mi prese un braccio per fermarmi, la sua stretta era solida, ma mi stava implorando.

«Lo sai perché sei svenuta?» mi domandò calmo.

«No.» Mentii e lui inarcò un sopracciglio.

«Sei svenuta perché non mangi, Shannon. Solo uno stupido non lo capirebbe.» Mi fece cenno di guardarmi allo specchio dietro di me.

Sapevo benissimo da sola di essere pallida in viso e di avere delle occhiaie tremende, ma non pensavo che qualcun'altro se ne accorgesse.

La verità è che da quando avevo lasciato la casa di mamma e Rob, mi ero sentita persa e sola. Tornare in America era stato un colpo al cuore.

«Lo so.» Ribattei guardandolo attraverso lo specchio.

«Perchè non mangi?» mi domandò incrociando le braccia al petto.

Era venuto quì per farmi il terzo grado? Ma come si permetteva!

«Davvero Adrian?» inarcai un sopracciglio, voltandomi verso di lui.

«Devi mangiare.» Sentenziò ignorando la mia domanda.

«Cosa te ne frega? Tanto anche se morissi non farebbe alcuna differenza.» Sbottai abbassando il viso.

«Che cazzo stai dicendo? Non stai dicendo sul serio. Shannon, guardami!» mi ordinò, mettendomi due dita sotto al mento per farmi alzare lo sguardo.

Eravamo troppo vicini, le sue labbra erano a pochi centimetri dalle mie. La mia cicatrice iniziò a bruciare, mi stava gridando di mandarlo via, ma per qualche strano motivo soffrii in silenzio pur di vederlo ancora una volta così vicino a me.

«Shannon io-»

Il suono del campanello lo interruppe ed io mi spaventai. Chi poteva essere a quest'ora? Forse Josef aveva dimenticato qualcosa.

«È il Mc.» Mi avvisò Adrian, come se mi avesse letto nel pensiero, avviandosi verso la porta.

Tornai a respirare regolarmente e sorrisi appena scuotendo la testa. Pensavo che da qui a breve se ne sarebbe andato, ma probabilmente non aveva ancora intenzione di farlo. Non seppi se esserne felice.

Avanzò verso di me con due buste grandi, il logo del Mc era inconfondibile.

«Avevi fame?» gli domandai.

«Sì, e anche tu. Non sapevo se ti piacesse ancora il bacon, allora ho preso un po' di tutto.» Mi spiegò appoggiando le buste sul tavolo.

Lo aiutai a tirare fuori il tutto e mi stupii per quanta roba avesse preso.

«Sei pazzo...» scossi la testa sorridendo lievemente.

Era così strano che la persona che mi aveva fatto più male, ora fosse in grado di farmi sorridere spontaneamente.

«Stai sorridendo però.» Mi fece notare sistemando la roba sul tavolo. Io, dal mio canto, ignorai la sua affermazione.

Ci sedemmo a tavola e mangiammo in silenzio, scambiandoci qualche occhiata di tanto in tanto. Era strano, non mi sentivo a disagio, nè imbarazzata per la sua presenza.
Provai un misto di felicità e dolore dei ricordi che ancora mi portavo dietro. Ovunque andassi Adrian era sempre con me, nei miei pensieri. Ora era qui, proprio davanti a me, ma non ebbi il coraggio di tirare fuori gli argomenti che ancora riuscivano a far sanguinare il mio cuore.

«Sapevo che avevi fame, ma non immaginavo così tanto. Da quanto non mangi qualcosa?» mi domandò serio.

«Non ricordo. Ho avuto lo stomaco chiuso.» Replicai con un'alzata di spalle prima di pulirmi la bocca e le mani con il tovagliolo.

«Per il caffè e le sigarette non ce lo avevi lo stomaco chiuso però.» Mi rimproverò stringendo i pugni.

«E tu che ne sai?» sbottai ormai stufa dei suoi rimproveri. Non ero una bambina!

«Ti ho vista in caffetteria più volte.» Mi confessò accartocciando il cartone del panino. Lo guardai confusa e aggrottai la fronte. «Secondo te Josef non mi avrebbe detto niente? Sapevo che eri tornata qui fin dal primo giorno».

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