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Josef pov's ❤️‍🩹

Ci sono molte cose da cui si può guarire in questa vita: l'influenza, una lite, un disturbo...
Ma nessuno aveva ancora trovato una cura per un cuore spezzato.
I cocci erano tanti, e forse non era nemmeno quello il problema, perché sarebbe bastato raccoglierli e rimetterli insieme; ma quando i cocci erano sparsi da una parte all'altra, incastonati in ogni momento che avevamo vissuto assieme, in luoghi diversi, non potevi sapere da dove iniziare a raggrupparli.

Ero troppo giovane per questo.
Ero troppo giovane per poter dire di aver perso per sempre l'amore della mia vita, la gente mi guardava storto quando parlavo di Lola, credevano che fossi pazzo, che fossi convinto di una cosa solamente perché non avevo trovato nessun altra dopo di lei... ma come glielo spieghi che te lo senti dentro? Come glielo spieghi che una parte di te é morta insieme a lei in quell'incidente e non é più tornata?

La foto di Eleonor Baker, accompagata dalla sua data di nascita e la data della sua morte, mi guardavano dalla lapide in marmo bianco.
La foto la ritraeva sorridente con i capelli ramati sciolti e un po' spettinati... era bellissima. Mi mancava tremendamente.

Le lasciai una rosa bianca sopra alla lapide, come facevo quasi ogni giorno e mi sedetti sull'erba di fronte, sospirando.
Avrei voluto che ci fosse ancora, avrei voluto che fosse rimasta con me... invece che scappare come aveva fatto.

Lola girò il volto e mi guardò con astio, non ne voleva proprio sapere di ascoltarmi.

«Senti, lo so che ho sbagliato al liceo quando ho baciato Adrian da ubriaca, ma se il tuo intento era quello di vendicarti mi domando perché ci siamo rimessi insieme...» sussurrò delusa.

«Ma che cazzo stai dicendo? Sul serio, pensi che volessi vendicarmi? Solo perché mi hai trovato a parlare con una mia compagna di corso?!»

«Certo, parlare. Ti si stava strusciando addosso Josef, non dirmi cazzate!» sbottò voltandosi nuovamente diretta verso la sua auto.

Diede un paio di spallate alle persone che si trovavano lungo il tragitto senza nemmeno preoccuparsi di chiedere scusa.

«Cazzo, fermati!» le urlai attirando l'attenzione delle persone nei dintorni, ma lei non voleva saperne di starmi a sentire.

Ero stanco.
Ero stanco di venire accusato per niente e stanco di non essere creduto.
Mi fermai sui miei passi e la guardai continuare a camminare davanti a me, prima di voltarsi nella mia direzione. Aveva le guance rigate di rimmel e sembrò sorpresa quando notò che mi fossi fermato. Non disse nulla, mi guardò con disprezzo e si voltò nuovamente.
Aprì la sua auto e ci si fiondò dentro, allontanandosi da me più in fretta che poteva.

Provai a chiamarla al cellulare, ma non rispose mai. Rimasi a guardarla sparire e sospirai, consapevole del fatto che avremmo dovuto risolvere questo problema se volevamo continuare a stare insieme.

«Se non te ne fossi scappata in quel modo... a quest'ora saremmo ancora insieme...» bisbigliai guardando la sua foto con le lacrime agli occhi.
In qualche modo speravo che potesse sentirmi.

La suoneria del mio telefono mi distolse da lei, e lo estrassi dalla tasca dei jeans per guardare chi fosse. Shannon era il mittente della chiamata, ma di solito ci sentivamo sempre di sera quando la tenevo aggiornata su come stesse Adrian.
Non mi aveva mai chiamato di mattina presto.
Aggrottai la fronte e risposi... ma la persona che c'era dall'altra parte non era lei.




Rientrai in casa di corsa e sperai di trovare Adrian sveglio... e lo trovai con una tazza di caffè fra le mani mentre guardava al di fuori delle vetrate.

«Adrian... vestiti».

«Non ho lezione oggi.» ribatté tranquillo.

«Lo so, che non hai lezione. Devi venire con me...» sospirai.

«Scusa, non vengo a correre... lo sai bene che non fa per me.» alzò le mani ridacchiando prima di posare la tazza sporca dentro al lavandino.

Adrian sembrava una persona diversa da quando aveva iniziato con la terapia.
Si teneva alla larga dai guai, dall'ingurgitare troppo alcol e anche dai club, seguiva le lezioni più frequentemente e la notte dormiva meglio.
Nonostante il fatto che mi sembrava più una tranquillità malinconica la sua, ero fiero di tutto il lavoro che stava facendo.
E lo era anche Shannon, anche se lui non lo sapeva.

Il primo istinto era stato quello di non raccontargli nulla della chiamata ricevuta e di vedermela da solo... ma non avrei mai potuto nascondergli una cosa del genere, nemmeno per il suo bene. In cuor mio temevo che avrei potuto scombussolarlo in qualche modo, ma allo stesso tempo, ero fin troppo sicuro che qualsiasi cosa fosse successa a Shannon, lei aveva bisogno di Adrian.
Di questo Adrian.

«Shannon é al pronto soccorso da stanotte, pensavo volessi saperlo.» dissi tutto d'un fiato.

Si voltò verso di me alla velocità della luce e si bloccò per un istante.

«Vado a mettermi le scarpe». Sentenziò avviandosi a passo svelto verso il corridoio.

Il tragitto fu abbastanza lungo per il traffico e silenzioso, con la musica della radio a volume basso di sottofondo. Adrian aveva insistito per prendere la sua macchina e aveva deciso che avrebbe guidato lui. Rimasi stupito quando non imprecò nulla di cattivo contro gli altri automobilisti, si limitò solamente a sbuffare un paio di volte con le mani sopra al volante, quando si trovava costretto a fermarsi.

«Adrian, posso chiederti una cosa?» mormorai calmo, guardando il semaforo rosso.

«Da quando me lo domandi?» ribatté stranito guardandomi con la coda dell'occhio.

«Tu la ami, vero?» gli domandai.

Avevo paura di aver commesso un errore a chiederglielo, forse non era ancora pronto a parlare di questo. Aveva subito un grande stress negli ultimi tempi, aveva faticato per arrivare fin dove si trovava quel giorno, e non volevo innervosirlo. Mi preparai mentalmente ad essere insultato o ad assistere a uno dei suoi soliti scatti d'ira che uscivano quando si parlava di sentimenti... invece non vidi nemmeno una traccia di fastidio sul suo volto.
Il semaforo diventò verde e premette sull'acceleratore, prestando attenzione a cambiare la corsia che ci avrebbe portati dritti dalla parte del pronto soccorso.

«Sì, certo che la amo».

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