Capitolo 22

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Cammino per Center Park con la testa bassa e un senso di tristezza che mi lacera il petto e la causa di tutto ciò è il ragazzo tatuato che oggi mi ha mostrato un lato di sé che mi ha spaventata, mi ha ferita perché si, vederlo così, in balia di sé stesso mi ha fatto male.

Mi ha fatto male perché ho finalmente preso coscienza che ciò che lo divora da dentro è qualcosa di più grande di quanto pensassi.
Mi ha fatto male sentite le parole che ha utilizzato per se stesso.
Mi ha fatto male vedere il vuoto nei suoi occhi, quel vuoto che piano piano come un buco nero lo ha trascinato in un posto lontano. Troppo lontano dalla realtà.

L'ho guardato scaricare la sua rabbia che gli ribolliva nelle vene, l'ho guardato prendere a pugni i suoi demoni, l'ho guardato combattere contro se stesso e questo mi ha distrutta, perché so come funziona; la droga,l'odio, la rabbia, sono tutte cose che portano alla distruzione di una persona, la portano a camminare sull'orlo di un precipizio senza fine e stamattina, in quella palestra ho capito che Christopher sta camminando su quell'orlo da tempo ormai e che è solo questione di tempo prima che perda l'equilibrio e precipiti.

Mi siedo su una panchina e mi stringo le braccia al petto come a volermi proteggere da questa verità, da questa consapevolezza e senza rendermene conto mi ritrovo a versare lacrime amare che solcano le miei guance, toccano il mio cuore e marchiano la mia anima.

"Pronto" rispondo tirando su con il naso, non curandomi minimamente di chi possa esserci dall'altra parte del telefono.

"Clare che è successo?"

La voce di mamma mi esplode nell'orecchio e presa da un moto di nostalgia mi ritrovo a singhiozzare come una bambina.

"Tesoro che succede mi stai spaventando"

Cerco di riprendere il controllo di me stessa, nel momento in cui realizzo che lei di Christopher non sa niente.

Non sa niente perché nemmeno io so più cosa siamo. Quando con il cuore in gola sono uscita da quella palestra mi è sembrato come se quel filo sottile che ci fosse tra di noi, quel filo che ci teneva legati in qualche modo si fosse rotto.

"Scusa è che oggi abbiamo avuto un test ed io credo di non averlo superato" mento asciugandomi velocemente gli occhi.

"Fa niente tesoro, l'anno è appena iniziato vedrai che riuscirai a recuperare" mi rassicura con voce incerta.

Sicuramente non se l'è bevuta ma ora come ora non mi importa. Non posso dirgli una verità che nemmeno io conosco.

"Lo spero" affermo cercando di regolarizzare il tono di voce, il quale nonostante io abbia smesso di piangere continua a tremare.

"Sicura sia solo questo?"

"Si mamma stai tranquilla" cerco di rasserenarla "Piuttosto tu perché hai chiamato?" chiedo guardando una coppia di genitori poco distante da me.

Lui tiene la mano della bambina, la quale allegra saltella reggendo nella mano libera una bambola di pezza mentre lei si stringe al braccio di lui, come se fosse la sua ancora, la sua roccia nella vita e a questa scena inevitabilmente sorrido.

Sorrido per la loro felicità.
Sorrido per la loro fortuna nell'aver creato una famiglia.
Sorrido per il loro futuro ignoto ma sicuramente bellissimo e pieno d'amore.

"Ci deve essere per forza un motivo per voler chiamare la propria figlia che manca da casa da ormai più di un mese e che sembra essersi dimenticata di avere un telefono?" chiede ironica ma facendomi sentire lo stesso improvvisamente in colpa.

Con tutto il casino degli ultimi tempi l'ho sentita si è no cinque volte da quando sono partita per la Columbia.

"Hai ragione scusami è che sono stata impegnata con lo studio" cerco di giustificarmi.

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