Capitolo 27

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Christopher's POV

Sto sbagliando tutto nella mia vita? Ho sbagliato ad avvicinarmi così tanto a Clare?

Sono queste le domande che da più di due giorni mi ronzano nella testa.

Sbuffo il fumo della sigaretta che lentamente si disperde nell'aria.

Sono così incazzato con me stesso che mi prenderei a calci in culo da solo. So che lei non mi merita, so che lei merita il meglio e quel meglio sfortunatamente non sono io e questo cazzo mi fa uscire di testa più di quanto io non lo sia già, perché nonostante io già sappia tutte queste cose continuo lo stesso a volerla al mio fianco, continuo a desiderare le sue labbra e io non ho mai desiderato le labbra di nessuna.

Che cazzo mi sta succedendo?

Faccio l'ultimo tiro e sento il fumo entrarmi dentro, nei polmoni sicuramente neri e marci, come la mia anima.

"Fanculo" urlo ad un cielo grigio coperto da nuvoloni che promettono pioggia.

Dopo le lezioni avevo bisogno di stare da solo, così ho salutato Clare, che dopo avermi fatto mille domande a cui io però, non avevo intenzione di rispondere, si è arresa e mi ha lasciato andare. Ho guidato per un'ora e mezza in compagnia solo dei miei demoni e sono venuto qui. Al mare, per vedere il tramonto. Quel tramonto che avevo promesso avrei visto insieme a lei, lentiggini.

Non so come mai gli abbai parlato di mio padre, non l'ho mai fatto con nessuno e questo mi ha destabilizzato, perché non mi piace mostrarmi così vulnerabile. Non mi piace mostrare le mie debolezze, che come buchi neri cercano di risucchiarmi al loro interno, ed io lo so, so che se mai ciò dovesse accadere per me non ci sarebbe più niente da fare. Sarei fottuto più di quanto non lo sia già.

Mi scompiglio i capelli con fare frustrato. Sento che sta scorrendo tutto troppo velocemente sotto i miei occhi ed io non sto facendo niente. Sto li a guardare, impotente che ciò che deve accadere accada, ma non posso più farlo, lo devo a me e alla fiducia che Clare ha risposto in me, in noi; un noi che anche se mi costa ammettere e che probabilmente non dirò mai ad alta voce mi piace.

Prendo il mio iPhone nero dalla tasca dei jeans militari e dopo aver cercato il numero nella rubrica premo il tasto verde.

"Christopher"

Strizzo gli occhi sperando di star facendo la cosa giusta.

"Dottor. Hosted" accendo un'altra sigaretta e sbuffo quando vedo che è l'ultima del pacchetto.

"Qualcosa non va?" chiede sapendo che quando mi faccio vivo è o per le medicine, che sono passato a prendere la scorsa settimana dopo la mia sfuriata in palestra o perché sto nella merda. Come in questo momento.

"Ho bisogno di parlare. Adesso" scandisco puntando lo sguardo sulla sigaretta che continua a bruciare. A consumarsi così un po' come la mia vita.

"Va bene. Ti aspetto" dice prima di agganciare.

Il dottor.Hosted è il mio psichiatra da qualche anno. Quando ero più piccolo, sono stato sballottato da parecchi psicologi, perché le maestre quando le babysitter andavano a parlare con loro al posto dei miei genitori dicevano loro testuali parole: Christopher ha bisogno di parlare con qualcuno. Non vorrei allarmarla ma ha bisogno di frequentare qualcuno in grado di capire cosa c'è che non va, perché diciamocelo qualcosa che non va c'è. È evidente. E dopo queste parole andava a finire sempre così, io in lacrime di fonte ad uno psicologo, che mi riempiva di domande che mi fottevano il cervello.

Otto anni avevo quando questa merda iniziò, per sempre è il tempo che durerà.

Con una rabbia famigliare addosso entro in auto. Accendo il motore, innesto la retromarcia e mi immetto nella provinciale cercando di allungare il tragitto il più possibile.

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