Capitolo 59

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Meravigliosa.

È questa la prima parola che mi verrebbe in mente se qualcuno mi chiedesse di riassumere la giornata di ieri.

Avevo paura.
All'inizio, quando mi sono presentata alla porta della villa di Christopher così, senza nessun preavviso ho avuto paura di star facendo una pazzia.

Ho avuto paura di star commettendo un errore.

E l'ho creduto per tutto il tempo in cui con il fiato sospeso ho salito quella rampa di scale, pronta a raggiungerlo.

Pronta a vederlo.

Perché in quel momento la voglia di starci insieme, di prendermi cura di lui, di coccolarlo sul mio petto era più grande di qualsiasi timore, di qualsiasi ansia.

E quando, poi, una volta varcata la soglia della sua camera ho trascorso uno dei momenti più intimi che abbiamo condiviso, ho capito che avevo fatto la scelta giusta.

La pazzia giusta.

Mi sono presa cura di lui così come merita, perché ieri, mentre febbricizante mi teneva stretta a lui, io le sentivo le sue dita rafforzare la presa sulla mia pelle, come a volermi impedire di andare via. Li vedevo i suoi sussulti quando, si svegliava all'improvviso con la paura che io me ne fossi andata e che fosse rimasto solo. In quelle quattro mura. Immerso nell'oscurità, divorato dai suoi stessi demoni. Ucciso dalle sue stesse paure.

Ed è stato proprio in quei momenti, che con le lacrime agli occhi, ho percepito, forse come poche altre volte mi era successo, tutta la sua fragilità. L'ho vista, in un resta sussurrato. L'ho vista, in una stretta sui miei fianchi più forte del necessario. L'ho vista, nei suoi occhi lucidi e spaventati, quando tra un incubo e l'altro mi permetteva di osservarli. L'ho toccata con le mie mani. L'ho assaporata con i miei baci ed ho cercato di alleviarla restando lì, al suo fianco, fino a quando, dopo ore, non è sprofondato in un sonno profondo, costringendomi a malincuore a tornare al campus dove come promesso in mattinata ho chiamato la mamma, condividendo con lei tutte le mie preoccupazioni, tutti i miei dubbi, tutte le mie paure perché d'altronde, lei rimarrà sempre la mia migliore amica. Quella che c'è sempre stata.

Nonostante tutto.
Nonostante tutti.

"Non è vero signorina Smith?"

La voce del professore Forbs, come una secchiata d'acqua fredda, mi strappa bruscamente dai miei pensieri riportandomi alla realtà.

Alzo lo sguardo, notando solo ora, la figura del professore a pochi passi da me, in attesa di una risposta alla sua ipotetica domanda che non ho neanche sentito.

Presa dal panico, faccio rimbalzare più volte lo sguardo da lui alla grande lavagna digitale sulla parete alle sue spalle cercando di captare qualche informazione utile, ma quando mi rendo conto che su di essa sono riportati solo tanti nomi di autori capisco di non aver altra scelta se non ammettere le mie colpe, pronta a sprofondare nella vergogna.

Con le guance in fiamme per l'imbarazzo sposto il mio sguardo in quello del professore, rassegnata ormai a sputare il rospo, quando proprio in quel momento il mio salvatore si materializza alle sue spalle.

Come cavolo ho fatto a non vederlo prima, penso mentre lo vedo farmi segno con la testa di annuire. Presa alla sprovvista mi ritrovo a copiare il suo gesto come una cretina, di fronte alla faccia soddisfatta del professore, che senza attendere altro torna alla cattedra, riprendendo il suo discorso su quelli che, come notato poco prima, sono gli autori della letteratura inglese seicentesca.

Rilascio un sospiro di sollievo, abbassando le spalle e sistemandomi meglio sulla sedia quando un'improvvisa consapevolezza mi fa sbarrare gli occhi:

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