Capitolo 60

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Abbasso gli occhi, cercando in qualche modo di schermarmi dai raggi del sole che, come poche altre volte in questi ultimi giorni, risplende in un cielo privo di nuvole.

Con lo sguardo puntato a terra scruto la punta delle mie Converse, leggermente sporche, calpestare un prato verde perfettamente curato.

L'erba, di un verde rugiada, brilla sotto i caldi raggi solari. Osservo i tanti fiorellini colorati ricoprire questo prato, che piano piano inizia a sembrarmi sempre più familiare.

Lentamente, abbasso il braccio ancora teso sulla fronte, per poi rialzare lo sguardo su quello che solo ora, riconosco essere il giardino del campus.

L'atmosfera è piacevole: l'odore della primavera nell'aria mi riempie i polmoni ad ogni respiro e il cinguettio degli uccellini giunge alle mie orecchie in una soave melodia dolce e rilassante.

Abbozzo un sorriso, non potendo fare a meno di analizzare con meraviglia ciò che mi circonda.

Adoro la natura. In ogni sua piu' piccola sfaccettatura.

Continuo a guardarmi in torno divertita, felice come una bambina, fino a quando però la mia attenzione non viene catturata dalla grande quercia posizionata proprio al centro del giardino.

I rami possenti si aprono a mo' di ventaglio come a voler adornare un cielo già di per sé colmo di nuvole color panna. Si allungano, si intrecciano l'un l'altro rincorrendosi in un manto di foglie sottili e colorate come tanti piccoli coriandoli.

Nevica, una polvere di petali gialli e verdi, nel momento in cui il mio sguardo si posa finalmente sul ragazzo intento a disegnare, lì, ai piedi dell'albero.

Esattamente come la prima volta che l'ho visto.

Un cappellino da baseball poggiato sui capelli rigorosamente disordinati, gli donano quell'aria da cattivo ragazzo, quell'aria da ribelle che si porta dietro fin da quando i nostri occhi si sono incrociati per la prima volta. Il blocco da disegno è poggiato sulle gambe, fasciate da un jeans nero.

Tiene la testa bassa, concentrata sul foglio che la sua mano, maestra, sta imbrattando. Traccia linee, cancella, fissa il vuoto intorno a lui, per poi abbassare nuovamente lo sguardo e perdersi nel suo mondo.

Un mondo fatto di proporzioni e colori. Un mondo che io non capisco ma che riesco a vedere solo guardandolo negli occhi, lì, dove vedo riflesso l'amore che prova per quello che fa. Per quello che crea.

Lo osservo, con un sorriso stampato sulle labbra e il cuore a mille, il mio tatuato. Mi beo di ogni sua più piccola sfaccettatura: dal carnoso labbro inferiore intrappolato tra i denti perfettamente dritti al sopracciglio inarcato in una tenera espressione di visibile concentrazione.

Lo contemplo un po' prima di fare il primo passo verso di lui.

Cammino, sciogliendo la stretta delle braccia al petto pronta a spalancarle per racchiuderlo al loro interno.

Ho voglia di abbracciarlo. Di baciarlo. Di far scontrare le nostre lingue e far confondere i nostri sapori. Ho voglia di tenerlo stretto a me e di non lasciarlo andare. Mai.

Ho voglia di amarlo come merita. Ho voglia di sentirlo connesso a me, come succede ultimamente. Ho voglia di complicità, di follia e di tanto altro, che so che solo lui è in grado di darmi.

Solo lui.
Il mio tatuato.
Il mio Christopher.

Scuoto la testa cercando di scacciare dalla mente i soliti pensieri troppo sdolcinati, quando finalmente i nostri occhi si incontrano.

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