14. Insicura

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«Per qualunque cosa avvisami, va bene?», mi raccomandai.

«Hayra, sarà la millionesima volta che me lo ripeti. Lo so, ho il telefono al 99%».

«E non al 100?».

Lo sguardo ammonitorio di mio fratello mi fece capire che forse stavo oltrepassando il limite e perciò avrei dovuto solo oltrepassare la porta.

Ero costantemente in ansia, in paranoia, senza volerlo con cattiveria.

Mi lasciai tutto alle spalle, mentre lui stava giocando alla play come al solito.

Indossavo una maglia con una giacca nera sopra, i leggins e delle scarpe da ginnastica.
Mi stavo dirigendo nel mio posto speciale, quello dove ogni tanto mi tirava su il morale.

Non era una ricorrenza importante quel giorno, a volte mi capitava di voler rimanere sola senza un apparente motivo.
Sola con me stessa, che sia stata colma di rimproveri e rancore da infliggermi o meno.

La mia amatissima Londra mi riservava il suo calore, mi avvolgeva nella sciarpa come fossi un fagotto di poche ore, mi faceva respirare aria pulita dall'inquinamento che provavo dentro.

Mi sentivo vuota ma piena allo stesso tempo e non riuscivo a capacitarmene.
Dicevo di non aver niente, a me e ai passanti, perché se avessi scavato a fondo sapevo che non sarei riuscita a trovare risposte.
O forse era proprio quel sorpassare il limite a bloccarmi le viscere, forse era il dopo che ripercuorreva il mio presente.

Stavo sbagliando?

Ammiravo quell'imponente orologio e le sue lancette, la città era invasa da lucine che illuminavano la notte assieme alla luna.
Quella sfera lunare mi mostrava il cammino del clima umido, mentre contornava il panorama.
Il London Eye mi riempiva di curiosità ogni giorno di più, nonostante non fossi una turista affascinata anche solo dai taxi.
Quella ruota panoramica era la mia certezza, mi faceva metabolizzare che non fosse frutto della mia fervida immaginazione.

Il mio pensiero volò diretto a Kevin: sospirai.

Stavamo insieme da un mese e mezzo, eppure non sapevo cosa farne.
Non di lui, perché era e sarebbe stata una delle persone senza le quali non avrei potuto fare a meno.
Bensì, vederlo in quel senso.
Avevo corso troppo, e non era giusto nei suoi confronti continuare a prenderlo in giro.

Ero stata una sciocca.

A quel punto, la mia coscienza mi provocò una morsa allo stomaco.

La nostra amicizia sarebbe potuta terminare, a seguito di una ipotetica fine di relazione.

«Signorina?».

Una voce mi risvegliò e le mie labbra si incresparono in un sorriso.

«Buonasera mia principessa», mi inginocchiai a mia volta con lei.

«Quale buon vento la porta qui?», trattenne una risata.

«Mi incomoda e disturba tale sfrontatezza nei suoi confronti. Potrei porgerle lo stesso quesito, se non le rievoca traumi permanenti», scoppiammo a ridere insieme.

I suoi occhi azzurri mi piacevano da impazzire, le ho confessato più volte che avrei dato di tutto per essere uguale a lei.
Una sorella gemella come lei, insomma, me la sarei meritata.
I capelli corvini sulle spalle le ricadevano morbidi, mentre si mimitizzavano con il cielo oscurato.

«Senti, Cole e gli altri hanno organizzato una festa in piscina domani. So che non è il tuo tipo di sballo e che è stato con poco preavviso, ma... per cambiare potremmo tentare no? Naturalmente è invitato anche Kevin».

Cole era suo fratello maggiore, aveva solo un anno più di noi.

Jane mi pregò unendo le mani.

Se non mi avesse incontrato, mi avrebbe proposto lo stesso?
Decisi di non darci peso.

Dovevo  essere impulsiva e egoista una volta tanto.

«Ci sarò».

***

Il cortile della casa della mia migliore amico era sensazionale.
In mancanza di mare, lago e fiume, avevano comperato una piscina interrata.

Aveva una graziosa villetta in mezzo al verde, lontano dalle case.
Il mio sogno da bambina, quella quiete tanto bramata da generazioni e generazioni.

Il prato non era sintetico, le piante producevano fiori e frutta dalle mele alle albicocche a molto altro.

Quella piscina enorme era un tocco di classe in più e rendeva più vivida l'immaginazione di quel castello, ai miei occhi.

Tutto perfetto, lucidato anche all'interno.

Quando arrivai io, era già immerso di adolescenti dagli ormoni a mille ancor prima di indossare il costume.

Alcuni erano già in acqua, i rimanenti si beavano della grossa opportunità del sole caldo che acquisiva colore alla pelle.
La mia a dire il vero ne aveva bisogno.
La mia pelle infatti era sempre stata bianca-fantasma-cadavere.
Uno dei miei più grossi difetti che non mi passavano inosservati, soprattutto d'estate che non riuscivo ad abbronzarmi nemmeno dopo tre mesi di vacanze.

Ero l'unica ancora vestita, e me li tenevo stretti, i miei vestiti, per la cronaca.
Mi sentivo nuda, spoglia, ancor prima di indossare il bikini.

Avrei dovuto mettermi il costume intero, ma non mi allettava l'idea di essere una novantenne vedova il un luogo pieno di giovani pesci squalo.

Quell'essere osservata da tutti doveva essere una mia impressione e lo sapevo.
Non ero il centro dell'universo e sapevo anche quello.

Nonostante ciò, quel tragitto dall'entrata alla pozza d'acqua mi pareva peggio del corridoio di scuola.
Forse nessuno mi stava adocchiando, ma avevo la costante paura di essere criticato.

Era sbagliato dipendere dal parere altrui, ma il problema era il mio, di parere.
Solo io sapevo chi ero, come ero e perché ero.

Non mi girai a controllare, a decifrare se effettivamente le mie teorie erano concrete, e mi limiti solo a salutare con la mano Jane e sorridere a Cole per aver avuto la gentilezza di coinvolgermi.

Quel che organizzava lui, in quanto ricco sfondato, andava sempre a buon porto.
Non c'era festa a cui non sfondava.

Non mi piaceva dare nell'occhio, così andai diretta nel bagno e mi cambiai.
Una volta tanto avevo optato per un colore diverso dal nero, un verde acqua simile all'iride della mia corvina.

Rimanei comunque con i pantaloncini, mi aiutavano a sentirmi meno vuota.
O almeno fino a che non sarei andata in contatto con l'acqua tiepida.

Non feci attenzione ai presenti, avevo fatto tutto per me stessa, anche se sembrava solo aver peggiorato la mia autostima che si gonfiava e sgonfiava.

Jane mi affiancò, sorridendomi.

«Bellezza, su, togliti quei "cosi" ed entra. Non rompere, hai un fisico da favola. Sei dimagrita ancora?», mi sgridò quasi, al punto da farmi tuffare per non ascoltarla più.

Lasciai che la sostanza liquida mi avvolse in pieno, come un'ondata di calore e freddo assieme, al punto da farmi rilassare.
Le risate, i palloni, mi fecero ricordare l'immaturità di quell'età.

Spensierati, i giovani.
Sì, ma non tutti.
Non io.
Dovevo farmene una colpa, cambiare il mondo o aspettare che il mondo cambiasse?













Sto scrivendo capitoli tranquilli per preparavarvi alla tempesta.
Spero stia venendo qualcosa di decente, me lo auguro per lo meno.
Grazie a chi sta leggendo e si immedesimando💖

LA FIGLIA DEL CAOSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora