«Allora...», una giovane donna sui trenta scorreva l'indice su un elenco lungo dove io ero solo una dei tanti.
Mi sistemai bene sulla sedia, mentre le mani rimanevano impigliati sui miei leggins.
«Perché non iniziamo con il dire come ti senti?».
Una voragine interiore mi risucchiò a quella domanda tanto banale ma per me difficoltosa.
Era sopravvalutato, quel "come stai?".
Lo si trovava ovunque, perfino sui social.
Tutti a parlare di quanto veniva spesso chiesto, di quanto tutti mentissero perché era più facile farlo.
Tutti a dire di quanto venisse chiesto per educazione o per ricambio di favori.
Del tipo:"hey come stai?"
"bene, tu?"
"bene. Che fai?"
"Niente di che. Tu?"
"Niente nemmeno io. Non è che potresti mandarmi i compiti?"
Quante volte ci è successo?
Ormai il mio correttore automatico rispondeva da solo.
Nessuno capiva, nessun ragazzino della mia età almeno.
Forse sì, c'era qualche eccezione, ma se ero diffidente con chiunque, come potevo aprirmi e sperare in un aiuto?
Oltre tutto, anche chi ti capisce, alla fine contesta con:• "Mi dispiace".
• "Possiamo farcela".
• "Ti ho ascoltato, ma sono nella stessa situazione. Non so come possa esserti utile".
Come se non bastasse, ogni qual volta aprissi bocca, non riuscivo ad esprimere il concetto che volevo spiegare.
Non era mai sufficientemente corretto, avevo l'impressione di non aver detto tutto.
La mia mente vagava, al punto da lasciar metà argomenti indietro.
Era frustrante, ma era routine.Ho sempre creduto che il cosiddetto "segreto professionale" fosse un immensa stronzata.
La psicologica è lì per lavoro, per soldi, non perché ti voglia concretamente aiutare.
Era un illusione per farti sentire al sicuro.
Anche perchè, come pensi possa cambiarti?
Parlando?
Dicendoti parlare che non avrebbero cambiato un bel niente?Per questo odiavo quell'ufficio ordinato, quella perfetta convinzione che le cose si sarebbero aggiustate.
Mi concentrati su qualche giocattolo che c'era attorno a me, su qualche quadro, fino a che fiatai.
«Bene», le sorrisi.
«Davvero?», sistemò i suoi occhiali sul naso e annuii. Era già tanto che avesse insistito, anche se sapevo si sarebbe fermata dopo quel mio "sì".
Non pretendevo capisse, perché non poteva leggermi la mente.E menomale.
«Hayra... se solo avessi lottato più di lei forse una parte di te sarebbe ancora salva e ingenua. O per lo meno lo sarebbe stata quando avevi l'età per esserlo».
Di spalle, ascoltavo le parole di mio padre lontane.
«Non ero lì per te nelle giornate soleggiate, nè durante i temporali. Invece di lottare, ti ho totalmente lasciato sola con un bambino da crescere. Avresti potuto fare lo stesso e andare avanti per conto tuo, ma non lo hai fatto. E sono fiero di te».
«Sembra quasi sobrio», sdrammatizzò Ash, ma non lo calcolai minimamente.
«Lei che ti ha detto? Di aver lasciato me, e non voi. Vero?».
Non riuscivo a guardarlo negli occhi e nemmeno lo volevo.
Sapevo che sarebbe stato passeggero, sapevo che non sarebbe durato.«Devo andare a lavoro», mi congedai in fretta, chiudendo di forte impatto il portone.
***
«Cosa? Lo hai portato a casa? Cioè... non è da te. Ti conosco, conosco la mia migliore amica. Qui non si tratta di orgoglio, si tratta rabbia. E nei suoi, nei loro confronti, lo sei sempre stata, oltre che delusa. Perché questo cambiamento rapido?».
«Per Fred, Jane. Per Fred».
Stavo finendo di pulire gli ultimi tavoli, ormai il locale era a fine chiusura e non c'era rimasto più nessuno.
«Sai che stare lontano da quei due è il regalo migliore che tu possa fargli. È grande abbastanza da capire che tu hai fatto tutto quello che potevi, anche troppo».
«Avrei voluto fare di più. Avrei voluto vivesse diversamente, non di certo così. Faccio di tutto, okay? Faccio quello che posso, mi spacco la schiena, e le sterline che prendo le spendo per lui e per il cibo. Non capisco, non capisco perché ogni qual volta io cerchi di andare avanti... debba essere affondata ancora. È destino che io non trovi pace, dici?».
Passavo lo straccio su ogni tavolata per sanificare bene prima del prossimo riutilizzo che sarebbe stato la mattina dopo, però ero con la testa sulle nuvole.
«Dovresti mettere dei paletti da quei due», confermò decisa la mia corvina.
«Non posso, vuoi capirlo o no? Io... non so veramente come sia possibile, ma lui vuole bene. Se non a nostra madre, a nostro padre. Non so che coraggio, con che logica, ma ci tiene. Mi ha chiesto di lui, dopo tanto tempo. Non si parla più di un bambino dell'asilo, delle elementari o delle medie. Ama persone che non lo hanno amato, protegge chi non lo ha protetto. È irrilevante, è...».
«Ha soltanto un modo diverso di reagire dal tuo».
«E quale pensi sia quello giusto?», aumentai la velocità con più enfasi il modo in cui stavo pulendo.
«Non lo so, sinceramente. Non lo so...».
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LA FIGLIA DEL CAOS
RomanceCOMPLETATA - IN REVISIONE Trama: Hayra Stevens è una giovane alle prese con la vita. Non è mai stato facile per lei integrarsi nella società fin da piccola tra traumi e drammi. Potrà sembrare esagerato affermare già questo data la sua giovane et...