26. Mercoledì

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«Perché lo stai facendo?».

La voce femminile risuonava nella mia testa come il ronzio di uno sciame di ape posizionato vicino al mio orecchio.
La sentivo reale, non più come un richiamo del passato.

«Perchè lo stai facendo?».

Ammiravo la maestosità della mia cittadina avvolta nella nebbia di una mattinata non ancora soleggiata dovuta all'orario sconsiderato delle sei.
Alle prime luci di un alba nascosta, fuori dal balcone, lasciavo che i miei capelli fossero accarezzati dalla brezza fresca a cui il mio corpo si aggrappava per ingannare la vista che si sforzava di vedere oltre quel fumo bianco.
Non era ancora ben definito, il tutto, ma mi piaceva rispecchiarmi nel vuoto.
Le mani si raffreddavano sotto la ringhiera che mi impediva di sporgermi e di cadere nel nulla per imbattermi nel marciapiede di marmo.

La mia velata melinconia mi rivestiva di falsa sicurezza, di finto calore.
Era come un maglione orribile che detestavi ma tenevi stretto a te per sentirti al caldo.
Come quella sciarpa che ti pizzicava il collo, ma che portavi ovunque perché simboleggiava un ricordo felice, una persona cara, e inispiegabilmente ti faceva stare bene per il semplice gusto di averla addosso.

«Perchè lo stai facendo?».

La voce si era impersonalizzata in una maschile, distogliendomi dalla mente un episodio passato.

Ash era alle mie spalle, lo potevo percepire non solo dal suo brusco modo di rivolgersi a qualcuno ma dal suo profumo; menta.
Quest'ultima non mi ha mai fatto particolarmente impazzire: la odiavo nel dentifricio, la odiavo nelle granite, ma la ritenevo sopportabile nelle caramelle.
Mi dava quel senso di freschezza, di purezza, di quasi libertà, che barcollavo nell'assimilarla al centro tra stabilità e instabilità.

Lui portava quell'odore.
Tanti uomini giravano con la menta negli abiti, con il profumo, ma nessuno era come il suo.

I miei non erano apprezzamenti verso di lui - si da il caso che lui fosse l'ultimo essere umano di sesso maschile per cui avrei potuto anche solo farmi scappare qualche tipo di complimenti positivo - ma erano dati di fatto su quanto riuscissi a sentirlo quando era poco distante da me.

Non risposi non capendo dove volesse andare a parare e nemmeno cosa gli importasse.

«Non stai guardando la nebbia, Hayra. Per la prima volta ti colgo disinteressata nel non perdere un solo particolare».

«I miei occhi sono puntati su quel che vogliono vedere. Sono io che comando me stessa, solo e soltanto io so e posso dirlo. Ora vai, non voglio perdere tempo in una conversazione che non regge in piedi una lettera».

Una folata di vento mi spettinò, provocandomi la pelle d'oca.
Il mio coetaneo non si perse d'animo, e riprese là dove aveva lasciato.

«Tu non stai guardando la nebbia come una persona normale fa».

«Oh, ma non ti preoccupare! Cos'è, vuoi fare come tutti? Anni fa mi avevi promesso che non saresti stato come gli altri e ora ti ritrovo a dire quel che tutti dicono? Sul serio?».

Mi aveva riscaldato dentro, mi aveva acceso come fiammiferi.

E lui sapeva.

«Fammi finire. Tu non stai guardando la nebbia, tu ti ci stai perdendo dentro. Probabilmente non te ne curi nemmeno, probabilmente pensi di avere meno problemi rispetto a tutti quando in realtà sei una delle tante che ha preso un brutto tiro dalla vita. Non perderti troppo in quel grigio, non hai bisogno di lui per capire come va il domani e il presente. Non assillarti con quei perché, non ne vale la pena. Cosa ne pensi?».

LA FIGLIA DEL CAOSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora