44. Credi nell'amore?

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«Tu... wow, quanto tempo!», sorrisi alla vista della - ormai anche lei donna - dai lunghi capelli castani e occhi marrone scuro.
Mi presi del tempo per squadrarla bene:
Indossava un vestito floreale giallo, imbrattato di colori accesi e caldi.
La chioma era raccolta in graziose treccine e il viso magro allestito da un raggiante sorriso in mia direzione.

Blue, questo era il suo nome, odiava il blu.
Diceva fosse scontato e triste, preferiva di gran lunga il giallo.
Un colore carico di gioia, che si associava al sole estivo che non si stancava mai di ammirare durante il suo momento preferito: quello in cui raggiungeva l'apice della sua altezza.
Il blu veniva impigliato nell'oceano, ma a lei il mare non piaceva neanche un po'.
Diceva che la sabbia ovunque la infastidiva, i bambini pure, il rumore delle racchette da tennis lungo la riva, le onde grandi diventare piccole e con poche forze quando voleva immergersi dentro quella più grande le facevano perdere la pazienza.
Preferiva la montagna, insieme ai suoi animali, alla quiete, alla flora, al ruscello semplice che non dava noia a nessuno.

Odiava gli sport, amava mangiare schifezze, ma si manteneva in forma.
Era magra, nonostante mangiasse tanto, non ingrassava.
Una delle persone che avrei voluto mandare al rogo, su quel punto di vista lì.

Aveva solo un anno meno di me, aveva frequentato e finito la mia stessa scuola con il mio stesso indirizzo.
Aveva la classe vicino alla mia, diceva di voler vedere il mondo.

Oggi, per l'appunto, ce l'aveva fatta.
Era riuscita ad ambire al suo sogno di diventare una guida turistica.
Ce la vedevo benone, solare e con voce dolce.

Quella mattina, però, non sembrava felice di vedermi.
Il buio oscurava il suo volto levigato, mentre girava attorno il suo anello presumo di fidanzamento.

«Devo parlarti», mi intimò di sedermi.

«Tutta ad orecchi», ero confusa ma morivo dalla curiosità.

«Ricordi quando mi lamentavo del fatto che nessun ragazzo mi volesse? Di quando ti parlavo del mio seno piccolo che non avvicinava nessuno? Del mio avere un corpo bellissimo, ma di vergognarmene di mostrarlo a causa del mio "essere una tavola da surf"? Ecco, è passato tanto tempo e sono cambiata. Ho scoperto la vera me stessa e sento l'obbligo di trovare coraggio per dirtelo».

«Mi stai facendo paura...è successo qualcosa di brutto?», la studiai con attenzione.

«Tu credi nel vero amore, Hayra?».

Esitai.

C'era un tempo in cui rispondevo "sì", senza ripensamenti.
Leggevo favole su favole, sognavo il mio principe azzurro arrivare sotto casa come fosse appena uscito dalle pagine di un romanzo.

Nemmeno quello con Kevin riuscivo a definirlo "amore", era qualcosa di forte, ma l'amore era diverso.
Non sapevo spiegarlo, perché forse ero piena non di odio ma bensì di... scarabocchi.
Non tanti erano intenzionati a decifrarli.

Un po' come quando ci si fermava davanti ad un logoritmo e si pensava:
"Ma chi me lo fa fare?".
"A cosa serve?".
"Chiunque l'ha inventato, poteva essere ordinario e non fare nulla?".
Questo con me accadeva in ogni argomento di algebra.

Poi è arrivato il periodo "sì, ma...".
Sì, ma sono impegnata.
Sì, ma devo studiare.
Sì, ma c'è tempo.
Sì, ma chi mi amerebbe?
Sì, ma se finisse male?

Fino al "non esiste".

Siamo tutti esseri umani con caratteristiche diverse, con obbiettivi, con passioni, con giornate no.
Tutti abbiamo bisogno di un pizzico di passione, di sentirsi amati.
Perché, all'essere umano, non basta mai l'amore che può provare verso una cosa, un animale, verso sè.
E cerca altro.
Sì stanca, o vuole di più.

C'è chi lo cerca, chi vaga, chi fa cadere di proposito libri nei corridoi per essere raccolti dalla propria cotta.

C'è chi ha perso le speranze, chi morirà con quaranta gatti nel proprio appartamento.

C'è chi vede bianco e nero, ma lascia lo spazio alla fantasia dei "chissà".

Io mi ponevo ogni qual volta la solita domanda: "Ne ho bisogno?".
Avevo bisogno di un sentimento invisibile che non potevo toccare, annusare, gustare, vedere?
Come potevo riflettermi in esso senza paura di cadere se non potevo assimilare quando c'era o non c'era?

Era certo: se mi si fosse parato davanti, ne sarei fuggita.
Ma... se fosse stato inaspettato?
Se lo avessi avuto davanti al palmo del naso da sempre e non ne avessi colto i segnali?
Cosa sarebbe successo?

Chiaramente, non era il mio caso.
Era un argomento complesso quanto me per poterne discuterne con una persona che mi guardava con quegli occhi sgranati che pendevano dalle mie labbra.

Ogni tanto, si poteva lasciare che l'illusione prendesse il sopravvento.

Ogni tanto, potevamo lasciar correre.

Ogni tanto, potevamo permetterci di essere romantici.

Persino io, che ritenevo non esistesse, mi trovai impedita.
Mi ritrovai persa in pianeti non scoperti, sospesa in aria da un filo non spesso.
Era un modo dell'uomo di andare avanti, aspettando il cambiamento.
Era il mito orale raccontato nei secoli indietro.

E soprattutto: "Perché scegliere una persona e mettere da parte le altre quando, se dovesse lasciarti, puoi al 50%, cambiare rotta? Sarei arrivata ad essere quella persona per qualcuno? Perché prendere in considerazione una possibile delusione in più quando le situazioni brutte accadono già di per sé?".

«Sì, credo nell'amore ma non in tutte le sue sfumature».

Non comprese, ma proseguì a spiegarmi fino a che non raggiunse un punto cruciale.

Io credevo nell'amore tra fratelli e sorelle, tra un clima di famiglia, tra amico e amica.
L'amore delle piccole cose, della natura, di un oggetto con valore affettivo, dell'idea che la gente aveva dell'amore, dell'amore che i bambini avevano dentro il cuoricino.
Non sempre "amore" significava "coppia".
Non sempre "amore" significava farlo.

«Sono gay, Hayra. Lo sono sempre stata. Lesbica, per la precisione».

LA FIGLIA DEL CAOSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora