41. Cuore e mente

94 16 6
                                    

«Perché non sei rimasta a lottare per noi? Perché non ci hai provato di più?
Te ne sei solo andata».

«A volte chiamo nel vuoto: "mamma". Divertente, no? Perché io non ho una madre».

«Mamma se n'è andata per colpa mia?».

«Me lo avevi promesso... che saresti stata qui per sempre. E ora... dove sei finita?».

«Invece di iniziare una nuova famiglia, perché non hai finito la mia pet prima? Non puoi agire solo e come ti fa comodo, quando sei di passaggio, quando non hai più niente da fare. Far soffrire le persone come hobby non è un buon modo di chi ha tentato di non farti mancare nulla da quando sei nata. Sei passata da un estremo all'altro, lo capisci?».

«Non puoi venire qui come se niente fosse, come se tu non ci avessi lasciato!».

«Non eri qui. Non basta esserlo soltanto ora.
È finito il tempo di essere la madre, non lo sei più. Forse non lo sei mai stata. Era l'idea che avevo di te a sperare di avere un genitore che potesse amarmi quando nemmeno io amavo me».

«Mi hai fatto gridare, piangere e ancora non è sufficiente. Quando finirai di pugnalarmi?»

«Ti ho cercato sperando di trovare un segno di pentimento, ma avevo ragione. Le persone non cambiano».

«Dovevi restare.
Cos'hanno loro che io non ho?
Cos'ha lui che io non ho?».

«Non doveva andare così».

«Avevi pianificato tutto dal primo momento in cui mi avevi vista? Perché io ti guardo e non vedo un minimo di amore in quello che tu mi dici di provare per me. E vorrei davvero che fosse tutto più facile, e vorresti anche tu per stare in pace con il tuo ego. Ma tanto, hai una coscienza pulita. No?».

«Hai ragione. Sei la LORO madre. E tu sei qui, ORA. Con me, però, hai chiuso».

«Ricordi com'era quando entravo sotto le coperte perché avevo paura? Quando cercavo il tuo profumo nei vestiti? Quando una tua foto e dei petali di rosa mi riempivano la tua assenza? No. Beh, io sì».

Le frasi mi attraversavano come schegge nella mia mente, andavano veloci e non riuscivo a distrarmi.
Talmente tante da non riuscire nemmeno ad assembrarle tutte.

«Tranquilla, sono un esperta in perdite. Ho iniziato presto».

«E tu non eri giovane, tu potevi permetterti di crescermi. Lo avevi deciso tu, di farmi nascere. Vorrei essere umana e non passare per la cattiva nella faccenda. Ma lo sono, a casa tua. E odio ogni centimetro di me per averti amata. Ma ora basta. Non voglio, non posso perdonarti. Ora basta. Sono stanca, ne ho abbastanza di te».

Poggiai le chiavi in casa, mi tolsi la giacca e guardai il caos attorno a me.
Faceva parte di me, da sempre.
Ero composta da negatività ma davo continue riprove di amore a chi pensavo lo meritasse.
E se avessi visto male su qualcuno?
Tipo...me stessa?

«I piatti, la tavola», mi ricordò Chase prima di uscire.

Mi sentivo a pezzi, non sapevo se fossi fatta di luce o di ombra.
Magari penombra.

«Sei in ritardo», la voce di Ash tuonò ma non a sufficienza da farmi alzare il viso che era impiantato sulle mattonelle.

Vedevo girare ogni cosa, mi sentivo una dei tanti.
In quel momento anche le stelle mi sembravano lontane, non forti, esauste per potermi vegliare.

Volevo domandare dove fosse Fred perché non volevo mi vedesse così.
Volevo comandargli di lasciare la stanza, di lasciarmi sola, ma nessuna parola usciva dalla mia bocca.
Era frustrante, l'intorpidazione delle mia braccia.
L'instabilità delle mie gambe al punto di cedere.
La mia mente che piano piano si annebbiava.

La sudorazione era intensa; sudavo freddo e caldo.
Ero presente mentalmente, sapevo chi fossi, dove, con chi.
Non giocava a mio favore perché, l'ultima persona che volevo fosse con me, era proprio lui.
Il mio peggiore incubo.
Non volevo ne godesse, che si cibasse della conquista di avermi visto soffrire, di nuovo a distanza di tempo.

Ma non dipendeva da me.
Non ero più a comandare me stessa.
Lucida mentalmente, ma prigioniera del resto.

La respirazione era fuori controllo, nonostante cercassi con le mie forze di sopravvivere a quella terribile sensazione di morte in avvicinamento.
Non importa quanti attacchi di panico avessi, ogni volta erano nuovi.
Ogni volta sentivo di star morendo, ma non era mai vero.

Portai una mano al cuore dato che il petto mi doleva, guardai Ash con sguardo perso perché era l'unico a cui potessi sorreggermi.
Mi aveva alzato il volto, ma non mi domandó: "che cazzo ti succede?".

Non supplicai aiuto.
Come cercavo di far uscire la mia voce, venivo pervasa dal senso di soffocamento.
Tremori smuovevano il mio corpo, palpitazioni non davano tregua.

La nausea si aggiunse, quando il ragazzo dinanzi a me saldó la presa sul mio braccio.
Sbandai, vittima di vertigini.
Legata al suo corpo, mi mantenevo stabile.

Mi aveva sollevata, stretta al suo torace freddo rispetto al caldo che emanavo io.
Era di contrasto, ma ci stavo dannatamente bene.
Nonostante quello, avevo paura di perdere totalmente il controllo.
In piena lotta, non riuscivo a riemergere dai miei demoni bui.
Il diavolo - il comandante - però, era proprio quello che mi teneva ancorato alla vita.

Ebbi la conferma di non star morendo.

Senza chiedergli nulla, mi porse un sacchetto di carta.
Dentro e fuori, riacquisii il mio ossigeno.

Avevo un ala rotta, una sotto medicazioni.
Una gamba fuori, una paralizzata.
Sotto lo sguardo di Ash, continuavo lo stesso a bruciare.

LA FIGLIA DEL CAOSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora