21.. Addio

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«Hayra».

Una voce femminile voleva la mia presenza.

Ci provai, ma dalla mia bocca non usciva alcun suono.

«Hayra».

Stringevo una parte dei miei pantaloni, illudendomi di rimanere calma.

«Hayra...».

«Sì?», il mio volto era illuminato dal chiarore del plenilunio.

«Stavo pensando...».

Avevo condiviso con lui il mio posto speciale, illuminato dalle stelle e dalla luna, quello con la visuale della nostra Londra.
Era tanto importante, per me.

«...A quanto siamo cresciuti. Fisicamente e moralmente, dico», mi sorrideva.
«Insomma, ci siamo conosciuti su quelle dannate scale anti-incendio. Eravamo così piccoli, non curanti di quel che si sarebbe celato dopo. E ora siamo qui. Insieme. Noi... noi stiamo insieme. Io e te. Dio, riesci a crederci? Ora posso fare grandi cose, mi sento così forte! Sono così invincibile che... Posso fare questo!», salì sul muretto in piedi, girandosi e aprendo le braccia.

«FANCULO MONDO! AMO LA RAGAZZA CHE È STATA LA MIA MIGLIORE AMICA DA SEMPRE! LA AMO, CAPITO?!!», esclamò a pieni polmoni, facendomi ridere.

Era buffo, euforico.

«Scendi di lì», sorrisi, «è pericoloso».

«Beh, se questo è il piano che Dio ha in serbo per me, vorrà di che accadrà. Altrimenti, no. Dovresti prenderti una pausa da tutto. Se qualcosa di spiacevole deve accadere, accadrà. Non c'è bisogno di piangere, c'è bisogno di vivere».

Mi tese la mano.

La afferrai saldamente e mi feci tirare su con lui.

«Avanti, grida con me».

Sorrisi ancora.

«FANCULO MONDO!».

«FANCULO MONDO!».

«Hayra».

Sentivo la sua voce, ma non volevo sentirla.

Volevo solo piangere.

Volevo solo rimanere sola con quel che mi rimaneva.

«Chiudi gli occhi».

Lo feci.

«Ricordi l'ultimo San Valentino insieme?».

«Come dimenticarlo. Mi hai portato al Burger King perché non volevi cadere nel banale, dicendomi poi che era il peggiore appuntamento della storia e che andava bene in quel modo», risi.

«Ricordi anche Palla Di Pelo?».

«Quello stronzo mi aveva garantito che sarebbe stato un cane, invece era un gatto per lo più femmina! Me lo lego al dito questo affronto!», aggiunse poi.

Sorrisi.

«Sei tutto matto».

«E tu sei tutta bella».

«Anche a occhi chiusi?».

«Ti preferisco nuda, ma-».

«KEVIN!», lo ammonii, disgustata.

Mi sorrise angelico e dimenticai immediatamente la rabbia.

«Mi perdoni se ti dò questo?», mi aprì un cofanetto con un bellissimo anello di diamanti.

LA FIGLIA DEL CAOSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora