10. Non sono pronta

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Il volere con lentezza
è tipico di chi
non vuole
-Seneca

Freud, il locale dove lavoravo, si trovava su Shaftsbury Avenue a due passi da Coven Garden in una zona sempre piena di turisti che, ovviamente dove ci passavano accanto senza sospettare di nulla.

Uno dei principali motivi della "segretezza" è l'accesso tramite una ripidissima, e se siete già brilli anche pericolosa, scala in ferro che conduce dritti a questo bar sotto il livello della strada.
La percorrevo spesso, mi attraeva da matti quella piccola adrenalina scorrere nelle vene.
Nonostante si trovasse al centro della mia splendida cittadina, era poco frequentata.
I costi non erano cari, anzi, invogliava a tornare il numero basso di sterline richieste.

L'atmosfera era molto calda, in tutti i sensi, e rumorosa.

Le mie giornate si scandivano tra corse con vassoi in mano attenta a non urtare nessuno, precipitarmi a scuola di Fred per portarlo a casa e preparare il pranzo. Nel pomeriggio ripartiva il mio turno - sempre per motivi di mancanza di personale - e finivo la sera ad un orario improponibile.

Non guadagnavo tanto, ma con i soliti sacrifici, piano piano, sarei arrivata a dei risultati che fino a qualche giorno fa sognavo.

Dovevo pazientare.

La campanellina in alto dell'entrata avvisò un altro cliente.
Sorrisi, facendo un cenno, che venne ricambiato.

«Vuole ordinare?», mi preparai ad annotare gli ordini.

«Sì, desiderei la mia ragazza, grazie», Kevin si guardò attorno prima di farmi abbassare alla sua altezza.

«Mi manchi», mi sussurrò romantico, dandomi poi un bacio non profondo sul collo per non lasciarmi segni.

«Temo di non poterla accontentare, per il momento. Che ne dice di passare stasera?».

«Mi avevi promesso che saremmo stati insieme».

«Scusami, hai tutta la ragione di questo mondo, ma Fred è più importante. Sai, Daniel...».

«Che ha fatto questa volta?».

«Niente. Non si fa vivo da più di tre giorni».

«Che uomo... peggio delle zanzare».

«Facciamo così. Oggi ti dò buca, ma stanotte verso le 2 mi raggiungi. Ti aspetto sveglia, che ne pensi?».

«Proposta ambiziosa. Ci penserò», mi fece l'occhiolino.

«Sapevo che avresti capito. Sei fantastico. Ora ti chiedo di dirmi seriamente cosa vuoi, o il mio capo mi ammazza. Non posso fare sconti, mi spiace».

«No problem, girl», marca con un accento americano falso.

«Qui sono tutti patriottici. Fammi sentire il tuo essere britannico, su», lo invogliai.

«E se ordinassi del thè?».

«Classico. Ma a quest'ora? In un bar?».

«Volevo solo vederti».

Sorrisi.

«Torno subito».

***

«È bellissimo!! Lo adoro!», si buttò sul divano a peso morto mio fratello con tra le braccia una delle tante macchinine che collezionava.

«Ne sono felice», finii di sparecchiare.

«Hayra», mi richiamò.

«Uhm?».

«Quanto pensi ci voglia per un cellulare?».

Sospirai.

Sapevo che sarebbe arrivato quel momento.

«Non saprei. Lo vuoi, eh?».

«Sì, lo hanno tutti in classe...», sbadigliò.

«Io vado, 'notte sorella», salì le scale.

«'Notte fratello», gli risposi divertita.

Avrebbe potuto comprarsi molto di più con quei soldi e invece ne aveva spesi meno della metà per un giocattolo.

Quelle piccole cose che non potei non cogliere.

Fino alle due del mattino, passai il tempo tra fare la lavatrice e stirare i panni.

Il campanello arrivò e mi affrettai ad aprire la porta.

«Hey», dissi io.

«Hey», disse lui.

Mi focalizzai sul suo fisico. Non era palestrato come Chase, i capelli erano un po' più lunghi e per essere un uomo non era tanto alto.

Eppure mi piaceva.

Poteva funzionare, se mi fossi impegnata.
Se ci fossimo impegnati.

«Mi lasci entrare?».

«No, muori di freddo», mi scanzai.

Si diresse verso il frigo.
Non badò a quanto vuoto potesse essere, prese delle ciliegie e ne tolse il nocciolo.

Osservai le sue labbra arrossate e più succose, metabolizzanto quanto fossero pronte solo ed esclusivamente per me.

«Camera tua?».

«Camera mia».

Mi avvolse la vita, portandomi di sopra.

Eravamo stati frettolosi, fin troppo.
Questo pensavo mentre si spogliava.
Rimanevo a fissarlo, mordendomi il labbro.

Era carino, lo conoscevo da tanto.
Conoscevo a chi aveva dato il suo primo bacio, conoscevo la sua prima ragazza, conoscevo le sue prime figure di merda e le ultime.
Siamo sempre stati inseparabili.

Mi chiesi se stessi facendo il giusto.

Dovevo rilassarmi.

Dovevo solo lasciarmi andare.

Non era un estraneo.

«Ti va una sitcom?», domandai dal nulla.

«Oh...», si aggiustò la cerniera dei pantaloni, per poi stendersi sul letto e raggiungermi.

Esitai, poi mi appoggiai sul suo petto.
Accesi la televisione con il telecomando, accarezzando delicatamente il braccio di lui per farlo rilassare sotto al mio tocco.

LA FIGLIA DEL CAOSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora