25. Martedì

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Sono sempre stata un totale contronsenso.
Odiavo la pioggia, ma ero innamorata di quella estiva.
Mi lamentavo di pensare troppo, ma continuavo a farlo.
Passavo le giornate a chiedermi come sarebbe stata la mia vita se fosse stata diversa, se fossi stata famosa, per poi tornare indietro nei miei passi.
Amavo i miei piedi sotto la neve, ma detestavo il freddo.

Vorrei tornare indietro a parlare dei problemi con spensieratezza.
Quando un bambino, per esempio, deve attraversare un ponte sospeso in aria e traballante lo fa con filosofia, sorridente, non pauroso.
Un adulto, con meno sogni rispetto ai giovani, viene riempito da un senso di angoscia, al pensiero di non aver lasciato alcun segno durante la sua esistenza.

Beati i bambini che godono di una spiccata fantasia, di un innata visuale rosa e fiori, di quella maledetta ingenuità che con il tempo si perde, di quella bellezza affascinante a modo proprio da spingerti a fare complimenti per qualunque cosa dicesse o facesse.

La tavola imbandita di ogni ben di Dio era stata servita.
Per la prima volta non avevo apparecchiato io e rimasi estasiata da quanto fosse diverso dal mio modo di farlo.
I piatti non erano di carta, i calici recipienti di vino e quant'altro, tre posate per ogni portata, il tovagliolo ricamato con delle iniziali.

Qualcuno qua dentro era ricco sfondato e non ne rimasi su questo totalmente sorpresa, a Londra era un dato di fatto.
Ero io quella stramba.

Le sedie erano intagliate in legno antico mogano, il mio preferito.
Sebbene non ne avessi mai avuto la possibilità, i gusti antichi erano quelli che più mi attiravano.
La tovaglia era di un rosso accesso, come natalizio, ed io amavo il Natale.

Non sapevo dove mettere le mani, dove sedermi, come dovevo comportarmi.
Fred si affiancò a me strabuzzando gli occhi, disorientato.
Scossi la testa, scosso quanto lui.

«I nostri cari nuovi coinquilini si sono finalmente fatti vivi per bene. Che ne dite di iniziare con le presentazioni?».

«Vai al diavolo, Chase, ci conosciamo tutti», si sedette bruscamente strascinando la sedia verso la tavola Ash.

«Io questo qua non lo conosco», scrollò le spalle sedendosi.

Lanciai una saetta in pieno viso a Chase, mentre Ash si versava qualche strano liquido colorato nel bicchiere di cui a me non interessava minimamente.

«"Questo qua" ha un nome. Si chiama Fredrick, e no, non puoi abbreviarlo. Porta rispetto a lui così come lo fai con me quando te ne ricordi, intesi? Mettiti contro mio fratello, e automaticamente ti metti contro di me che fidati sono la persona meno idonea con cui combattere».

Il calcio alla caviglia nascosto di Fred mi ammonì, alimentando ancora di più la mia focosa rabbia.

«Rilassati, principessa, stavo solo cercando di fare amicizia».

«Non. Chiamarmi. Principessa. E per tua informazione, non si fa così amiciz-».

Mio fratello mi interruppe, prendendo posto.
«Apposto, amico. Fredrick a Chase, tutto chiaro».

Fui l'ultima a sedermi, indignata.
Mi guardai attorno totalmente estraniata a quel che si stava creando quella sera.
Mandai "segnali di fumo" ad Ash, il quale sorrise bevendo Champagne, credo.

«Allora quale buon vento vi porta qui?».

«Cazzo, Chase, la smetti di parlare come fossimo nel diciannovesimo secolo?», imprecò il fratellastro quasi bagnandosi la camicia bianca. Si pulì le labbra lentamente, per poi alzare lo sguardo verso di me malvagiamente.

Distolsi lo sguardo, imitando i gesti di Chase nel mangiare.
Facevo quel che faceva lui con forchette e coltelle - di cui ancora non comprendevo l'utilità - perché usarne di più quando potevano essere riutilizzate?

«Scusa, scusa. Quindi perché siete qui?».

«L'educazione non è il tuo forte, non è vero?», ripresi io.

«Nemmeno il tuo, o sbaglio?», lo difese Ash.

Colpita e affondata, lasciai la parola a Fred.
«Problemi familiari, diciamo così».

Lo guardai incredula che lo avesse affermato una volta tanto.

«Scontato, ricevuto. Immagino che tuo padre non si presenti alle tue partite di calcio e che tua madre sia troppo innamorata di tuo padre dal far sentire la sua voce», ammiccò il biondo.

Fred mi guardò in attesa di puro attacco che però non arrivò.
Non reagii, ero abituata a cattive lingue che non sapevano farsi gli affari propri.

«Tu non bevi?», Chase si concentrò su di me con un sopracciglio alzato.

Ammirai - trovandolo interamente interessante - l'oggetto usato per bene davanti a me che era ancora vuoto.

Mio fratello continuava a guardare come per dire: "hey, che aspetti? Diglielo".

Era cresciuto, un adolescente carino, e non me ne vergognavo a dirlo.
Tuttavia, spesso non riusciva ancora a capire come certe conversazioni potessero prendere la piega sbagliata e sfociare in armi a doppio taglio.

Il ragazzo dai capelli castani invece continuava a guardarmi, stavolta senza alcun accenno al sorriso.

Mi schiarii la voce.

«No. Sono... astemia», mentii, versando solo dell'acqua.
Non potevo usare la solita frase: "Non mi va" per un intera settimana.

Non risposi di traverso poichè non volevo rovinare l'atmosfera che di per sé era tesa.

«Perché non ci dici qualcosa di te piuttosto?», aveva domandato Fred al bell'imbusto dagli occhi azzurri.

«Solo su di me? Oh, sì. I miei genitori dirigono una prestigiosa linea di moda molto famosa all'estero. Ho vissuto per un periodo a New York, dopo in California, e un paio di anni a Parigi. Sapete, ho dovuto seguirli con il lavoro e non è stato facile per niente. Ma sono i problemi della vita questi, no?».

«Sì... i problemi della vita», sussurrò Fred.

«Ho detto qualcosa che non va?», non capì Chase.

«No, non hai detto niente. Cambia solo d'umore facilmente, hai presente no, l'adolescenza», gli sorrisi leggermente per mascherare il tono di voce abbassato del mio fratellino.

«E dimmi, la città che ti è piaciuta di più?».

«Parigi, senza dubbio. Il francese mi affascina, non ci si può non innamorare della città dell'amour. Non credete?».

«E immagino che per dire questo tu abbia avuto molte relazioni».

«Sì, ma sono state sfortunate. Altri dilemmi della vita».

Ash tornò a guardarmi e non potei non immergere la mia faccia dentro al bicchiere cristallino.

«Come va l'occhio nero?».

«Tornerà come nuovo».

Annuii solo, finendo il mio pasto.

«Vi tratterrete tanto?».

«Fino a domenica».

LA FIGLIA DEL CAOSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora