39. Mamma (parte 1)

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Mi preparai psicologicamente giorni prima dell' "appuntamento" con mia madre.
Dopo anni e anni mi persi nei meandri della soffitta.
Polverosa, disordinata, colma di oggetti inutili che prima o poi mi ero promessa avrei buttato.

Piccola, poco frequentata, nel dimenticatoio.
Una scatola, in un angolo lontano dallo spiffero da cui entravo quando e se volevo restare sola.
Ero tornata nella vecchia casa, dopo aver scavalcato mio padre svenuto in giardino.

Cinque album di fotografie ritraenti me e lei dai miei pochi mesi di vita ai primi anni delle medie.
Sorridente, ingenua, accanto alla donna che aveva distrutto quel che avrei dovuto combattere in futuro.
La persona che metteva in guardia sulla falsità e la cattiveria era stata la prima a rendere pezzi di vetro schegge pronti a bucarmi la pelle.

Accarezzai vecchi ricordi, percorrendo la via del passato.
Una strada tortuosa, piena di buche.
Soffermandomi su quella foto storica, di una famiglia unita.
Io al centro alla mia prima comunione, vestita di bianco con dei boccoli sulle spalle.
Lei, vestita elegante e sorridente.
Papà al suo fianco, quell'uomo che nonostante tutto l'aveva amata.
Mio fratello, molto piccolo, che non riusciva a stare fermo un attimo e che veniva male in ogni scatto.

Se c'era qualcosa che desideravo riavere indietro non erano quegli anni.
Non erano occhi nuovi che mi avrebbe fatto scoprire la persona che mia mamma era.

Era l'ingenuità.

Si dice che il dolore non può vincere l'amore.
Perché nel mio caso aveva battuto il sentimento per eccellenza descritto in ogni film, libro e serie TV?

Al cielo, ogni sera, domandavo dove fosse mia madre.
Non perché fosse morta, ma perché fosse chissà dove per affari suoi.

Aveva messo in seconda postazione, se non terza dopo sè stessa e il suo uomo, i suoi stessi figli.
Buttarmi via come un giocattolo rotto a causa sua?
Abbandonarmi come un padrone abbandona il cane iniziate le vacanze estive?

Verso il tragitto nel punto indicato, le domande erano più estenuanti mano a mano che andavo avanti.
Comunque sarebbe andata, sapevo che avrei guardato indietro.
Era inevitabile, ricordare quella bambina appoggiata alla madre, come unica garanzia di sicurezza.

La nonna era una figura fondamentale, poiché mamma non mi aveva mai davvero fatto crescere.
Eppure, l'avevo amata.
Le avevo voluto bene.

E lei, lei era sparita.

«Ciao, amore».

Una pugnalata al cuore rigirato più volte su sè stesso mi fece provare un misto tra disgusto e nostalgia degli "old times" d'oro, se così si potevano chiamare.

«Ciao, Katherine».

Non avrei dovuto, ma una morsa al basso ventre per averla ipoteticamente ferita nel nominarla per nome, mi fece male.
Non ero come lei catatterialmente, anche se portavo i suoi occhi e il suo sorriso.

«Sei una donna».

«Tu invece sei invecchiata», incrociai le braccia.

«So che ce l'hai con me, ma non è facile stare dentro un matrimonio in cui tuo marito non è mai presente».

«Puoi aver ragione, ma lui non è stato presente per me perché doveva lavorare. Non ti ha mai fatto mancare niente, tu facevi la bella vita. L'unica cosa che ti era stata chiesta era fare la madre, e invece... volevi solo estrarre le pile ai tuoi bambolotti. E quando hai capito di non poterlo fare, ci hai lasciati».

«Era geloso e-».

«Ci teneva a te. Aveva paura di perderti. È stato cieco fin da subito e troppo buono.
Ti amava, ti ama e non dovrei dirtelo perché so che ora ne stai godendo. Non ti permetto di parlare di lui in questo modo. Avevi segreti su Facebook, WhatsApp, Twitter, inclinavi il telefono verso di me per non farlo vedere. Non dovevo essere messa in mezzo. Invece mi hai usata, come diversivo. Bella mossa».

Le sue ciglia si impigliarono nella stessa quantità di mascara di cui erano state dipinte, al suono del mio applauso ironico.

«Capirai quando sarai più grande».

«Cosa dovrei capire? Che hai fatto la puttana per mancanza di attenzioni? Ops, fa male, vero? Fa male sentirlo dire da tua figlia. No, aspetta. Ma lo sono? Perché io, con te, non ci ho niente a che vedere. E avrei dubbi di chi fosse mio padre, se solo non avessi sbirciato i documenti e se solo non assomigliassi più a lui che a te. E menomale. Per un attimo, avrei preferito essere stata adottata. Avrei sofferto meno».

«Il matrimonio era-».

«Complicato? Era complicato? Indovina, niente è facile! Puoi avere tutte le ragioni buone per averlo lasciato, ma non per aver lasciato noi! Okay? Mi hai sentita? E lui potrà aver commesso i suoi errori, ma è stato fedele, leale, rispettoso. Tu non gli puliresti nemmeno le scarpe, tu non lo guardi nemmeno negli occhi. E non perché ti fai schifo, sono certa che non te ne vergogni nemmeno di chi sei. Ma perché devi fare la povera vittima di violenze mai esistite che, se nonna potesse vederti... non so nemmeno quante volte si sarà ribaltata nella tomba. Almeno lei è in pace, noi siamo all'inferno ed è tutta colpa tua e del tuo egocentrismo. Del tuo aver rubato la mia adolescenza, del tuo aver preso in prestito senza aver restituito una briciola dell'adolescenza che aspettava a me. E così hai fatto con l'eredità dei nonni. Mi hai portato via metaforicamente e letteralmente, mi hai fatto crescere prima del tempo. Perciò fai silenzio, sciacquati la bocca quando parli dell'uomo che ha PROVATO a farmi da madre e da padre. Per sintesi: lo hai sposato tu, non io. Hai fatto tu, mamma», sbiascicai l'ultima parola con amarezza, nemmeno più abituata a pronunciarla.

[Fine prima parte]
La divido in più parti per non farla risultare troppo pesante e lunga, in modo da favorire la vostra lettura.
Cosa ne pensate per ora?

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