40. Mamma (parte 2)

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«Non sei ancora riuscita a darmi una spiegazione sul perché lo hai fatto».

Ero rigida.
Rigida sul serio.
Un pezzo di ghiaccio al contrario era una caramella da carie.
I muscoli tesi, la voce grave.

«Perchè, che ho fatto?».

«Che hai fatto? Ma te ne rendi conto? Non devi guardare me, o papà. Non devi guardare il coraggio con cui sei andata a letto con un altro mentre il padre dei tuoi figli tornava a casa la sera distrutto ma nonostante tutto non ti ha mai fatto mancare niente. Non devi guardare quei oltre trent'anni di matrimonio, quella fede, quei soldi al vento per la cerimonia e quell'amore caduto per lo più per colpa tua. Non devi guardare i traumi psicologici che mi hai creato nella mente, nel modo in cui mi hai castrato, manipolato a tuo piacimento. Hai sfruttato una bambina. E se io sono cresciuta prima, tu non sei cresciuta affatto. E mi fai pena. Mi fai tanta pena. Non sai quanto mi stia contenendo. Perché conoscendoti un minimo so cosa stai cercando di fare. So che lui è in chiamata con te anche ora perché ricordo le volte sotto casa anche dopo il divorzio in cui comandava anche me quando io non ero nessuno per lui. Ricordo ogni vostro flirt, ricordo ogni vostro bacio, ricordo ogni singolo viaggio, ogni singola menzogna, ogni singolo "grazie" alla domanda "che bella famiglia". Non sto parlando di lui, del tuo ex marito che non tratti con un minimo di ritegno e maturità, non sto parlando di me. Sto parlando del bambino di sette anni che hai lasciato nel letto a dormire, quel bambino che se non fosse stato per me avresti messo in mezzo. Io gli ho fatto da scudo, io ho subìto per due quello che avresti fatto passare a lui. Vedo che ancora il messaggio non ti è arrivato chiaro».

«Hai ragione, non sono stata una brava moglie e madre», rispose sarcastica.

«Non iniziare con il vittismo. Ti era stato chiesto di fare la madre, quella cosa che viene spontanea. Dimmi, se volevi vivere la vita che non avevi voluto fare da ragazzina, perché sono nata? Perché Fred è nato?».

«Volevo avere esperienza».

Sorrisi.

«E che stronzata è questa? Quando hai capito di aver fallito, hai preferito andartene, no? Non hai lottato per noi, questo mi è di conferma».

«Sai che ti voglio bene».

«Tu non vuoi bene a me. Tu non ami nessuno. Ami solo quel che ti dà lui ma alla prossima occasione sarà un altro come è già successo. Sono stata traumatizzata, ma ricordo. Non dimentico o archivio, per fortuna o sfortuna. Posso parlare, affrontarti, discuterne, ma non cambierai la mia opinione».

«Cerca di capire-».

«Ho capito fin troppo. Non sei mai stata una vera madre per noi e mai lo sarai. Tanto meno ora che "ci sei con il pensiero" come mi scrissi anni fa per messaggio dopo il buongiorno e buonanotte giornaliero. O ci sei o non ci sei, basta trovare vie di mezzo. Forse non hai capito. Chiamare di continuo, scrivermi "addio" nel cuore della notte, non mi fa provare pietà. Alimenta solo lo schifo come mi fai. Dillo al giudice, dillo a chi vuoi se ti fa stare in pace con te. Dillo, dì la versione che ti pare e piace a chi sta dalla tua parte, a me non importa più. Avvicinati a mio fratello, fai un passo falso che sfiora lontanamente quel che hai fatto a me, e tuo figlio lo vedi in cartolina. Sei arrivata tardi. La possibilità, il gesto conta. Non le parole. Non il tuo sguardo da cane bastonato. Ma guardati, è bello ovunque tu sia? Sì, no? Per quanto riguarda noi, puoi rimanerci. Non farti più vedere. Ma aspetta, tanto lo so. A breve ricomincerai a sbloccarci per far vedere la brava donna che sei, per riparare quel che hai rovinato. È successo, ce l'avevi fatta in passato. Mi spiace, ma la mia corazza questa volta è di polvere».

«Polvere?».

«Hai capito bene. Polvere. Quella a cui tu sei allergica».

«Sei proprio cattiva».

«Sarei io la cattiva fra noi due?».

«I tradimenti avvengono. Lo dici ora che non lo farai, ma non puoi controllarlo. Non puoi saperlo».

Si inginocchiò, avvinghiandosi alle mie gambe.
Lacrime calde cadevano.

«Non eri con la coscienza apposto?».

Placai la voglia di rompere tutto, placai i ricordi che respingevo e una volta tanto scelsi la strada tortuosa.

«Voglio solo mia figlia indietro», singhiozzò.

«E io volevo solo una mamma che mi stringesse e mi dicesse che sarebbe andata tutto bene. Una di quelle che ti accompagna a scuola - e lo facevi - ma che non si fermava solo là. Una di quelle che fa le torte con te, che ti mette al primo posto, che ti insegna a truccarsi, che è disposta ad affrontare le tematiche delicate verso i sedici anni. Io sono stata la madre di me stessa, dopo nonna. Niente cambia quel che è stato. Non puoi riparare quel che mi ero illusa di aver avuto e che invece non c'è mai stato».

«Ti prego...».

«Tu hai pensato al male che hai fatto a me quando pensavo saresti tornata qualche giorno dopo perché non era stato il primo caso? Hai pensato ad un ipotetico "non accetto" un discorso diverso dal tuo? Asciugati quelle lacrime da coccodrillo, che il trucco da pagliaccio si sta sciogliendo. Non mi tocchi, non mi inganni più. Sono viva, senza te», mi scostai in due passi.
«Sei dentro una scatolina, quella del "ci avevo sperato". Però grazie per avermi fatto capire come gira il mondo. È iniziato tutto da te».

«Amore, ci sono due camere. Se chiama papà, ricordati... insomma, ormai lo sai. Inventa. Io vado con lui, tanto tu sei grande ormai. Chiudo la porta perché altrimenti l'aria condizionata si consuma».

«Quattro notti in bianco con l'abbaiare dei cani, indecisa sul fare torto a uno dei due o se lasciare l'immagine di quel letto matrimoniale pieno nonostante l'infedeltà di una donna meschina. Complice di silenzi, forse colpevole delle tue mosse. Una pedina alle tue regole. Non l'ho dimenticato come mi ero piegata alle tue leggi. Non l'ho dimenticato».

Le strappai il telefono di mano, lo accesi e notai che il suo ragazzo-compagno-qualunque-cosa-fosse stesse ascoltando e registrando.

«Buona vita anche a te, caro», gli augurai falsamente e guardai la mia genetrice.

«Questo telefono non lo meriteresti nemmeno, in realtà non meriteresti più niente con tutto quel che hai avuto ma di cui non ti sei mai saziata. Non lo hai pagato tu, come non hai pagato tu ogni cosa che possiedi e che hai portato via dalla tua vecchia casa. Erano soldi miei e del tuo ex marito. Ma sai, ti auguro di vivere bene senza di noi perché significa che sei soddisfatta della tua scelta. E che ancora una volta sei tu quella più in basso e io quella in alto che si è mostrata più matura di un ultra cinquantenne. Tanti auguri».

Ad ampie falcate, perse le mie tracce.
I ruoli si erano invertiti.
Ero fiera di me, ma in contemporanea un bruciore al petto era potente.
Ma ero andata via, l'avevo lasciata là.
Ero riuscita ad averla ai miei piedi, eppure non mi sentivo felice.
Mi sentivo... non lo sapevo.

Non capivo come stavo.

LA FIGLIA DEL CAOSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora