3. Pezzi di carta

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Cosa ti aspetti?
Siamo maledetti,
a fare 'sta vita
si diventa freddi
-Low Low

Mi poteva mancare qualcuno che non avevo mai incontrato?
Mi soffermai spesso a rifletterci su, soprattutto durante il viaggio d'andata casa-scuola.
Tutto monotono, freddo, noioso, con l'aria ansiogena di quel che sarebbe potuto accadere nelle prossime ore.
Soffocai preoccupazioni indossando il cappuccio nero della mia felpa, guidando verso la meta non esattamente ambita alle 8:05 del mattino.

Sottrassi le chiavi, chiusi lo sportello e corsi diretta dentro all'edificio.
Mi precipitai salendo i tre piani di scale, gridando mortificata «lasciatemi passare, scusate, fate largo» alle persone che deduce o sarebbero entrate all'ora seguente.
Non era stravagante, come evenienza.
Esatto, Hayra-la-ritardataria era il mio mood perenne.

«Signor Collins, corso di biologia?».

«Sì», rivolsi un occhiata alla porta chiusa, per poi posare lo sguardo sul ragazzo muscoloso che mi ero trovata davanti.

«Non ti farà entrare, è inutile. Arrenditi», mi rispose stufato quanto me.
Abbassai lo sguardo sullo zaino blu vicino alle sue Nike e sulla giacca poggiata sopra.
Aveva il volto incorniciato dai capelli biondi e due pozze azzurre.
Le labbra erano carnose, in grado di creare un sorriso mozzafiato.

«Davvero fantastico. Se lo avessi saputo prima, sarei entrata alla seconda», sbuffai, buttando malamente via il mio, di zaino.

«Come se non fosse uno stronzo da sempre», sbuffò assieme a me e gli scoccai un altra occhiata.

«Come se non fosse stato un adolescente anche lui, bastardi senza cuore. Se fosse stata colpa dell'autobus?».

«Ti risponderebbe che sei grande abbastanza per organizzarti o per guidare una macchina tutta tua», alzò le spalle.
Notai solo con quel gesto quanto fosse muscoloso, con un fisico da paura. Il torace evidentemente scolpito visibile anche sotto la maglietta bianca che mi copriva cosa si nascondesse sotto, i suoi capelli biondi cenere a sbarrargli la vista a causa del ciuffo sulla fronte, quelle mani grandi.
Alto, fin troppo alto, se al cospetto con la mia esile figura.
Lo colsi sorridere sotto i baffi.

«Scusami, non volevo farti la vista a raggi X. Però ti trovo bene».

Mi maledissi mentalmente.
Ottima mossa, idiota.

«Sì, ecco, me lo dicono in tante. Sai, football».

«Sono stata veramente sfrontata, mi dispiace. È che tendo a parlare troppo e mi distolgo dal vero obbiettivo della situazione e-», iniziai a parlare a vanvera, mi definii patetica da sola.

«Ehi ehi ehi, tutto apposto. Sono Chase».

Emisi un sospiro di sollievo.

«Hayra».

«È un tatuaggio quello?», mi domandò piuttosto impedito.

«Oh, questo?», indicai il mio braccio con l'indice della mano sinistra.

L'inchiostro nero contornava una calligrafia impeccabile precisa e coincisa con su scritto: "Everything's gonna be alright".
Attorno ad esso, una piccola stellina di luce propria.
Ricordai ancora di non aver avuto particolari problemi, né nel resistere al dolore, né tanto meno a vedere la mia pelle divenire rossa in un primo momento, a soli tredici anni.
Accompagnata da mia zia che più che incutere sostegno a me, cercava qualcosa a cui sorreggersi lei stessa.

«"Tutto andrà bene", sussurrò risvegliandomi, «È una bellissima frase. Immagino tu non fossi ubriaca».

A quella constatazione, assunsi una faccia confusa, per la quale lui sembrò subito darmi spiegazione.

LA FIGLIA DEL CAOSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora